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Vi spiego perché è bizzarra e tardiva la promessa di Conte di cambiare il Patto di Stabilità Ue. Il commento di Polillo

Il presidente incaricato Conte, alla festa del "Fatto" di Travaglio, ha parlato della necessità di introdurre modifiche profonde nel “patto di stabilità”. Perché questo tentativo non è stato fatto prima? In questi 15 mesi di confronto continuo con la Commissione Ue l’atteggiamento di Conte è stato puramente assertivo.

 

“Non c’è posto per misure contro chi crea lavoro, contro chi produce ricchezza, contro chi ogni giorno rende l’Italia un Paese migliore. Il mio messaggio a chi produce è chiaro: non avete nulla da temere da un governo che nasce per evitare l’aumento dell’Iva, che abbassa lo spread e che riporta l’Italia nell’Europa che conta. Nulla da temere. Nessuno vi vuol far male. E se qualcuno vi volesse far male, sappiate che quel qualcuno non avrà i numeri in Parlamento. Voglio rappresentare chi lotta contro la povertà, non chi lotta contro chi crea e distribuisce la ricchezza.” Così disse Matteo Renzi, nella sua lunga intervista a Il Sole 24 ore. Parole che vanno conservate e ricordate. Una sorta di rogatoria, che dovrebbe garantire da possibili sbandamenti futuri, ai quali, purtroppo, il fiorentino ci ha abituati.

Non sarà semplice onorare quest’impegno, e lo si vedrà fin dalle prime battute che accompagneranno la nascita del nuovo governo, sempre che l’evento si compia. Se l’idea di revocare la concessione ad Atlantia, per i dolorosi fatti di Genova, dovesse essere portata avanti, come reagirà il senatore semplice del Pd? E se in conseguenza di questa scelta, dovesse saltare la privatizzazione di Alitalia, Renzi presenterà una mozione di sfiducia nei confronti di Giuseppe Conte?

Si dirà: c’è il programma di governo. È vero, ma non sarà quello “made in Germany“. Sarà un’indicazione alquanto generica, se parametrata con una prospettiva di più lungo periodo. A meno che non si pensi soprattutto a chiudere l’anno con la manovra di bilancio e poi si vedrà. Del resto il vecchio “contratto”, scritto con il crisma delle forme giuridiche e l’indicazione di un vero e proprio “forum“ per risolvere le eventuali controversie, ha fatto la fine, che ha fatto.

La stessa crisi del governo giallo-verde ha dimostrato quanto sia stato difficile coniugare le esigenze di sviluppo complessivo del Paese con la formula della “decrescita felice”. Che non è un semplice slogan, ma elemento costitutivo del Movimento. Cacciato dalla porta, se sarà possibile grazie all’impegno di Giuseppe Conte, è facile prevedere che rientrerà dalla finestra, come elemento condizionante ogni successivo atto del nuovo governo.

La speranza del Pd resta sempre quella di “romanizzare i barbari”. Operazione non facile, date le caratteristiche del Movimento. Ma l’eventuale successo di una simile azione ne snaturerebbe il profilo, trasformandolo in qualcosa di diverso dalle sue origini. Una nuova formazione di sinistra: sempre possibile, ma difficile in un Paese che non ha il tempo necessario per attendere cambiamenti epocali. Perché la crisi incalza. La recessione bussa alle porte e se l’Italia non si rimette rapidamente in cammino, ogni soluzione diventa sempre più difficile e costosa.

Lo diceva Ferruccio De Bortoli, nel suo editoriale, su Il Corriere della Sera. Le promesse vanno bene, ma devono fare i conti con i dati della realtà. Cosa che, almeno finora, non è avvenuta. Stessa esortazione da parte dell’ex direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, che la stampa ha pure indicato come possibile ministro dell’Economia. La sua idea di una profonda riforma del budget dello Stato, per trovarvi le risorse necessarie per un cambio di passo, presuppone condizioni politiche ed una stabilità che, almeno al momento, non si vedono.

Il presidente incaricato Giuseppe Conte, nel suo ultimo intervento alla festa de Il Fatto Quotidiano, a Marina di Pietrasanta, ha parlato della necessità di introdurre modifiche profonde nel “patto di stabilità”. Condizione necessaria ma non sufficiente per dare respiro all’economia italiana. Resta solo da capire perché questo tentativo non è stato fatto prima. In questi 15 mesi di confronto continuo con la Commissione europea. Periodo in cui l’atteggiamento italiano è stato puramente assertivo. A giustificazione si potrebbe citare il mutato clima congiunturale. Il fatto che la stessa Germania, oggi tema, per la sua economia. Ma questi sono semplici corollari.

È l’approccio complessivo che deve mutare. Non tanto giungere ad una modifica dei Trattati: cosa quanto mai complicata. Ma porre l’accento su quelle regole, facenti parte dello stesso ordinamento europeo, volutamente silenziate per non mettere in discussione un primato non solo politico, ma culturale. Il che la dice lunga sulla difficoltà dell’impresa.

Nonostante tutto speriamo che, alla fine, Matteo Renzi non debba pentirsi delle affermazioni appena enunciate. Che i 5 stelle siano in grado di dare al Pd ciò che non hanno dato alla Lega. E di conseguenza subiscano quella trasformazione genetica che li porti ad essere, dopo tanti no, il partito del si. O meglio del Pil, come recitava il titolo di quella intervista. Ma nel frattempo è bene incrociate le dita.

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