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Macron Msc

Vi racconto come e perché in Francia ribolle anche la classe media

Che cosa si agita davvero in Francia. Le proteste contro la riforma delle pensioni e non solo. La posizione di Macron e del governo. Le critiche dei sindacati. Le eterogenee forze in campo anti Macron. E polemiche. L'approfondimento di Andrea Mainardi

Chi si arrenderà? Emmanuel Macron e il suo primo ministro Edouard Philippe o i sindacati (e non solo) che da giovedì tengono di fatto bloccata la Francia in protesta permanente contro un’annunciata e poco chiara riforma delle pensioni?

Il re taumaturgo Macron ha perso il tocco. Tace pensoso. Finché può, scarica sull’esecutivo. Monsieur le président lo ha però convocato per un vertice ristretto questa sera all’Eliseo. Ci saranno Philippe e i ministri Agnès Buzyn (Solidarietà e Sanità), Jean-Paul Delevoye (il commissario per le Pensioni) e Jean-Baptiste Djebbari (Trasporti).

Di fatto nessuno è intenzionato a un passo indietro. È una guerra di posizionamento. Chi si logorerà per primo? Governo o manifestanti?

Il Natale alle porte potrebbe concedere una tregua agli scioperi. Ma a gennaio – è analisi diffusa – le proteste riprenderanno. Intanto i mezzi sono praticamente paralizzati da giovedì. Sncf e Ratp – treni, bus e metro – invitano chi può a rinviare spostamenti o a utilizzare mezzi propri. Delle 16 linee del metro parigino, oggi solo due saranno aperte. Non sono garantiti i servizi Rer – gli espressi dell’Isola di Francia –, né i treni regionali. E l’alta velocità dei Tgv è ridotta al minimo.

A Le Journal du Dimanche di questa mattina, il primo ministro conferma di voler tirar dritto. L’esecutivo non ha intenzione di cedere alle pressioni. Degli 800mila manifestanti del 5 dicembre (secondo il ministero degli Interni) o del milione e due (secondo i sindacati); dell’atto 56 dei gilet gialli andato in corteo ieri; del fermo dei trasporti, per ora, Matignon non tiene conto. Ufficialmente.

E nemmeno vuol dar l’aria di curarsi dell’annunciato nuovo blocco generale di martedì. Mentre altri già vorrebbero programmare un tris di sciopero per giovedì.

“Sono determinato a portare a termine la riforma”, sottolinea Philippe, che mercoledì dovrebbe fornire i dettagli del piano per unificare i quarantadue attuali piani pensionistici speciali nel nome di un maggiore eguaglianza – a suo dire – o a prezzo di un progressivo impoverimento della classe media – a parere di chi protesta. Cioè, quasi tutti. Paventa il peggio: “Se non facciamo una riforma profonda, seria, progressiva oggi, qualcun altro la farà brutale un domani. E sarà davvero brutale”.

Tanta convinzione però non c’è. L’impressione è che la riforma sia in progress. Due giorni fa Philippe si era fatto colomba, annunciando la disposizione per garantire: le transizioni saranno progressive. Parlava di necessità di trovare un “giusto equilibrio” sul futuro dei lavoratori dei trasporti. Ammetteva che le nuove regole potrebbero penalizzare gli insegnanti.

Vedremo che dirà mercoledì.

Ma Philippe deve affrontare la determinazione dei sindacati. “Terremo fino al ritiro della riforma pensionistica”, avverte Philippe Martinez, segretario generale della Confédération générale du travail, la Cgt, uno dei principali sindacati francesi. Quello a cui guardano in particolare i lavoratori dei trasporti, che attualmente godono di alcuni di quei regimi previdenziali più vantaggiosi.

Il fatto è che i francesi da un po’ non si sentono più tutelati in liberté, égalité, fraternité. E – questo è il punto – il rondò di manifestazioni è di diversa provenienza e articolato bersaglio. La riforma delle pensioni è solo uno spettro di una poliedrica infelicità. La crisi dei gilets jaunes è tutt’altro che archiviata. L’inverno dello scontento ha tracimato gli argini. Salda una classe media sempre più povera, meno garantita. E arrabbiata.

“Non è solo la riforma delle pensioni, ma piuttosto la crisi della società francese: la classe media si è fermata… Ci sarebbe meno preoccupazione per la riforma delle pensioni se avessero livelli retributivi migliori all’inizio o alla metà della carriera”. Non ha dubbi Patrick Stefanini, già capo staff del primo ministro Alain Juppé che nel 1995 si vide costretto a ritirare la riforma pensioni dopo venti giorni di sciopero continuato. Presidente era Jacques Chirac.

Oggi Macron è a un bivio. Philippe è forte perché garantisce una sponda a destra. E di sostituti all’altezza per l’Hôtel de Matignon non se ne intravvedono di altrettanto autorevoli. Ventiquattro anni fa ritirare il provvedimento non fu poi così traumatico. Secondo Stefanini oggi tutto è meno ovvio: se il presidente della Repubblica si blocca sulla riforma dei regimi speciali si gioca la reputazione di riformatore.

C’è però da chiedersi quanto il già petit garçon di Amiens, Macron, che aspira a una rinnovata grandeur francese sull’Europa, possa tenere i suoi progetti in casa. Il 70% dei francesi è contro la riforma delle pensioni. Il suo gradimento in generale è in deciso calo.

Iconiche della frattura d’Oltralpe sono le immagini dei pompieri che giovedì a Parigi aprivano i cortei di insegnanti, infermieri, studenti e tranvieri, fronteggiando gli agenti antisommossa della Compagnies républicaines de sécurité (Crs) che da mesi, e in particolare costante generosità nelle ultime ore, affronta i manifestanti senza troppi complimenti.

https://twitter.com/EnCausee/status/1202894641038798848

A Lille un vigile del fuoco è stato randellato in pieno capo.

Dai boulevard parigini ai ponti di Tolosa

https://twitter.com/Nikola_Dbrc/status/1202631677190774796

alle piazze di Marsiglia, i manganelli spesso scappano duri.

Reporter allontanati se pongono domande.

https://twitter.com/leGneral2/status/1202575894839209985

Anche su strani scatti fotografici degli agenti a ignari passanti ci si interroga. Arresti si contano a decine. Le immagini di un’aggressione a un manifestante nel X arrondissement della capitale hanno fatto aprire un’indagine in Procura.

A Caen, in Normandia, un ragazzo è stato bloccato, quasi investito dalle moto dei gendarmi. Scene da polizie sudamericane.

C’è da dire che la situazione è esplosiva.

Nelle ultime ore parecchi agenti hanno ricevuto lettere di minaccia: “Per ogni cittadino ferito, un membro della tua famiglia subirà lo stesso”. Firmato Acab, acronimo dell’inglese “all cops are bastards”: tutti i poliziotti sono bastardi. Motto di quell’estrema sinistra che si incrocia in improbabili ma non infrequenti sintonie con l’estrema destra; e che non perde occasione per insinuarsi in un corteo – Oltralpe come altrove – solo per fare casseur. La leader del Rassemblement national Marine Le Pen – a cui certo non dispiace lo scontento verso Macron coagulato sulla riforma pensioni – si è precipitata via twitter a invocare tutela per le forze dell’ordine.

E dire che i volti della protesta che attraversa la Francia sono generalmente tutt’altro che feroci. Non lo dicono i giornali militanti. Ma un vescovo – più tradizionalista che progressista – come Bernard Ginoux, titolare di Montauban, noto per essere stato fin dall’inizio in ascolto dei gilet gialli della sua regione: “C’è paura. La si avverte dappertutto e in diverse classi sociali, ad eccezione di chi guadagna molti soldi. E la riforma annunciata delle pensioni ha fatto esplodere questa paura e convinto due milioni di persone in tutta la Francia a scendere per strada e manifestare”.

“Sono troppo ricchi per mantenerci calmi, è troppo tardi per rimanere educati” si leggeva ieri in alcuni cartelli esposti ai balconi nell’Île-de-France.

Se Ginoux non può certo approvare certe mosse, non può nemmeno ignorare la frustrazione diffusa: “Oggi i pensionati sono pagati, possono vivere bene, ricevono buoni contributi ma chi è nel mondo del lavoro guarda al suo futuro con preoccupazione … Ma questo è solo il volto visibile della manifestazione. Quel che si nasconde dietro è un forte malessere sociale e l’impressione che il governo non faccia nulla”.

A Macron, il vescovo Ginoux chiede di fare uno sforzo: “Riconquistare la fiducia della gente. Come? Deve capire che a questo punto le grandi parole, i grandi discorsi non servono più a niente. Dovrà dare degli elementi solidi, delle risposte precise”.

Insomma, traduciamo: meno shopping bonapartista in Europa. Anziché vagheggiare di trionfali eserciti Ue pensionando la Nato – giudicata in stato di morte celebrale – l’inquilino dell’Eliseo dovrebbe tenere più il polso del suo Paese.

Epperò, si sa. La Francia le rivoluzioni le ha nel sangue. E i leader a volte si imperigliano. Ci si mette nulla a ghigliottinare il potente di turno. Ma i sanculotti che conquistano la Bastiglia in un batticiglio poi diventano i sacerdoti della pubblica amministrazione diplomati all’esclusivo club dell’École nationale d’administration (Ena) e si incarierano come funzionari nelle banche d’affari. Così al popolo che chiede pane, anziché le apocrife brioches di Maria Antonietta, si finisce per prospettare piani pensionistici a punti che, se pure possono avere un senso di equità, non pare colgano nel segno.

E siamo ancora lì. La strada contro il potere, il potere contro la strada. Nel mentre la rue si infiamma.

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