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Conte

Vi racconto le pene di Conte (coccolato solo da Zingaretti)

Tutte le tribolazioni del premier Conte che deve assistere a una inedita intesa di fatto fra Di Maio e Renzi su alcune misure fiscali. I Graffi di Damato

Altro che il sabato del villaggio lasciatoci nella mente e nel cuore da Giacomo Leopardi. Questo penultimo di ottobre del 2019, cui seguirà fra una settimana la vigilia delle temute elezioni regionali in Umbria, dove la maggioranza giallorossa raccoltasi attorno ad un candidato civico ha deciso di giocare la sua prima partita di periferia, come assaggio della sua prospettiva addirittura strategica, o sistemica, è un sabato bestiale per il governo Conte 2, o Bisconte. Che è alle prese con l’opposizione esterna di centrodestra – chiamata in piazza a Roma da Matteo Salvini, fresco di una “leadership” riconosciutagli in un sussulto di realismo anche da Silvio Berlusconi, pur a costo di spingere verso l’altro Matteo, Renzi, la sofferente Mara Carfagna – e con quella interna radunata dallo stesso Renzi a Firenze per la decima edizione della Leopolda, o prima edizione di Italia Viva: il nuovo partito messo su dall’ex segretario del Pd. Cui è peraltro capitata la paradossale avventura di ritrovarsi in sintonia col capo ancòra del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio, nella prova di forza con Conte sulla manovra finanziaria appena varata con la solita, evanescente formula del “salvo intese”: la stessa che con felice arguzia il vignettista Stefano Rolli sulla prima pagina del Secolo XIX ha messo in bocca a Renzi, affiancato da Di Maio, per replicare alla rivendicazione del proprio ruolo di premier da parte del presidente, appunto, del Consiglio.

Come potete chiamarlo se non bestiale un sabato del genere per Conte e per il suo secondo governo, non dissimile per disordine interno, diciamo così, dal primo? Che si era dissolto in agosto per la crisi imprudentemente aperta da Salvini scommettendo sulla serietà, affidabilità e quant’altro dell’impegno preso dal segretario del Pd Nicola Zingaretti di andare pure lui alle elezioni anticipate, piuttosto che accodarsi con i grillini prendendo il posto dei leghisti.

Con Salvini il professore Conte si era trovato a trascorrere i suoi week end “al telefono” – parola dello stesso presidente del Consiglio – con i suoi omologhi europei per chiedere “la cortesia personale” di ospitare nei loro paesi una parte dei migranti che il suo ministro dell’Interno teneva bloccati al largo o negli stessi porti italiani, senza lasciarli sbarcare dalle navi che li avevano soccorsi, qualche volta battenti anche il nostro tricolore militare. Da Renzi, spalleggiato -ripeto- da un Di Maio che si è fatto assegnare un ufficietto anche a Palazzo Chigi per riunirvi i ministri grillini, in alternativa alla più lontana Farnesina, Conte si deve sentire invitare, come gli è capitato di leggere in una intervista del leader di Italia Viva ai giornali del gruppo Monti-Riffeser, a “pensare al futuro più del Paese che suo”. Che non è, francamente, un bell’invito neppure per uno come Conte, appunto, che si diverte, volontariamente o no, a navigare con il linguaggio delle commemorazioni e delle dichiarazioni all’intervistatore amico di turno fra la “solidarietà nazionale” del compianto corregionale Aldo Moro e la “rivoluzione culturale” di un altro e più lontano compianto: Mao Tse Tung.

Se questo sabato è bestiale, il venerdì che lo ha preceduto è stato bestialissimo per il giornale che con più entusiasmo, impegno e quant’altro sostiene Conte: Il Fatto Quotidiano diretto da Marco Travaglio. Che, oltre a minimizzare con un richiamino la “provocazione”, cioè l’autorete, di Beppe Grillo in persona sul diritto di voto da togliere agli anziani, presumibilmente sopra gli 80 anni, avendone il comico 71 e volendo forse continuare a votare ancora per un po’, ha dovuto montare la prima pagina contro la indigesta coppia Di Maio-Renzi, in ordine rigorosamente alfabetico, uniti praticamente nella difesa degli evasori dalla guerra dichiarata loro da un Conte smanioso di mandarli tutti in galera, o ammanettati negli stadi, vista la insufficienza delle prigioni esistenti in Italia già per altri reati, figuriamoci per questo.

La ciliegina, diciamo così, sulla torta della prima pagina del quotidiano di Travaglio è “la cattiveria” di giornata contro il pubblico di Salvini e alleati radunato in Piazza San Giovanni perché “per le strade di Roma il sabato si raccoglie l’umido”. O si dovrebbe raccogliere, visto lo stato in cui la sindaca pentastellata Virginia Raggi, anch’essa molto cara al Fatto Quotidiano, che la difende in ogni occasione possibile e impossibile, ha ridotto la città e, in particolare, il settore di quella che una volta si chiamava Nettezza Urbana, oggi più propriamente Monnezza Urbana, per non dire peggio.

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