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Non solo bail-in, ecco tutti i ricatti della Germania

L'approfondimento di Giuseppe Liturri

 

“…Anche la Banca d’Italia si oppose a questo bail-in. Dalle notizie che si hanno l’Italia, allora era ministro Saccomanni, (almeno) ho letto una sua dichiarazione che fu praticamente ricattato dal ministro delle Finanze tedesco, che se l’Italia non accettava si sarebbe diffusa la notizia che l’Italia non accettava perché aveva il sistema bancario prossimo al fallimento, il che significava avere il fallimento del sistema bancario…”

Queste le testuali parole pronunciate, ieri pomeriggio in Commissione Finanze del Senato, dal ministro dell’Economia, Giovanni Tria, parlando a proposito del famigerato bail-in.

Nulla di particolarmente nuovo, infatti in un’intervista apparsa sul Corriere del 10 giugno 2017, il Governatore Ignazio Visco rimproverava sostanzialmente a Saccomanni (senza mai nominarlo) di essersi fatto fregare dai tedeschi che gli avevano promesso l’avvio contemporaneo di bail-in ed assicurazione comune sui depositi, senza poi attuarla. Visco sosteneva che

“…in altri termini abbiamo sempre sostenuto il bail-in per via contrattuale e sempre respinto il bail-in per via legale e applicato in modo retroattivo. Ma nella fretta della discussione o nella difficoltà di arrivare a un accordo sull’unione bancaria, questi tre punti non sono passati». 
Che il bail-in sia stato anticipato di due anni al 2016 comporta che chi lo voleva, la Germania, abbia fatto concessioni per indurre chi non lo voleva, l’Italia, ad accettare. Vi avevano promesso che sarebbe scattata anche l’assicurazione europea sui depositi?
«È possibile, ma la Banca d’Italia non partecipa alle trattative tra i governi a Bruxelles. Può essere che ci fu questo impegno e poi non fu attuato…”

Ma, soprattutto, Tria si riferisce a quanto dichiarato da Saccomanni il 21 dicembre 2017 nel corso dell’audizione presso la Commissione d’inchiesta sul sistema bancario.

In quella sede Saccomanni, al termine di una lunga relazione, si sofferma su quanto accaduto in quelle convulse giornate del dicembre 2013, in preparazione del Consiglio Ecofin del 18. In sostanza, pur non pronunciando mai la parola ‘ricatto’, Saccomanni afferma che quel negoziato si svolse in condizioni di urgenza dettate dall’imminente rinnovo del Parlamento Europeo del giugno 2014. Bisognava chiudere in fretta e l’Italia non disponeva di alcun appoggio negli altri Paesi per fare passare una versione del bail-in più morbida e, soprattutto, non retroattiva. La posizione della Germania era egemone e premeva verso l’adozione di una forma di bail-in estesa a tutte le passività bancarie. Saccomanni afferma che quella trattativa si svolse sotto la minaccia della reazione dei mercati verso un ritardo o, peggio, un fallimento dei negoziati. Ciò avrebbe comportato lo slittamento di ogni provvedimento di almeno 1 anno, a causa del rinnovo del Parlamento e della Commissione Europea.

“…Che cosa poteva succedere all’Italia, al debito pubblico, al nostro spread, in un periodo di tale durata? Era effettivamente un rischio importante… Pertanto, questa combinazione di fattori, con diversa composizione delle posizioni all’interno del consiglio ECOFIN, ha fatto sì che anche le argomentazioni che noi avanzavamo venissero accolte privatamente dicendo: sı`, in effetti voi avete ragione, questa situazione rischia di essere difficile da gestire, pero`… Lascio i puntini di sospensione per non dire cose più sgradevoli…”.

Addirittura arriva a citare De Gasperi, per testimoniare la drammaticità del momento: “…nei confronti dell’Italia in quel momento c’era una situazione quasi degasperiana, cioè c’era il rispetto per le persone che erano lı`, che rappresentavano l’Italia, ma non di più. Come disse De Gasperi: posso contare solo sul vostro rispetto personale…”.

Saccomanni termina dicendo che “…si era in una situazione in cui non c’era alcuna possibilità di bloccare il negoziato e, se anche ci fosse stata, sarebbe stato molto probabilmente più dannosa che altro…”.

Alla luce di questo resoconto, le parole di Tria risultano clamorose, non tanto per il contenuto (noto) quanto per la sede in cui le ha rese e per la logica conclusione che trae dalle parole di Saccomanni. Sembra quasi una voce dal sen fuggita. In altre parole, se c’era un clima di urgenza e di pressione per evitare il fallimento dei negoziati e la soluzione da adottarsi era quella tedesca chi, se non il ministro tedesco, aveva interesse a far notare al collega italiano che, se non si fosse piegato, i mercati avrebbero picchiato inesorabilmente sull’Italia?

Ma c’è un altro, a suo modo ancora più clamoroso documento che rende plausibile il clima di ricatto in cui si svolse quel negoziato. In una lettera del 13 dicembre 2013 (soli 5 giorni prima dell’Ecofin del 18), Saccomanni sollevava numerosi dubbi sul negoziato in atto. In particolare, esprimeva perplessità sui fondi a disposizione del Fondo di Risoluzione Unico (altra gamba dell’Unione Bancaria) e concludeva dicendo che non bisognava correre per creare un’unione bancaria imperfetta ma piuttosto prendersi il tempo necessario per averne una ben funzionante. Si sa com’è finita. Il bail-in è stato approvato ed il fondo di risoluzione è rimasto ben poca cosa rispetto alle dimensioni del sistema bancario europeo.

Soli 5 giorni dopo, Saccomanni commentava trionfante su twitter “con l’Unione Bancaria risparmiatori meglio tutelati, possibilità più credito e costo denaro più basso”. Cosa gli ha fatto cambiare idea in soli 5 giorni? Accettando regole che tutti, Banca d’Italia in testa, sapevano essere letali per il nostro sistema bancario?

Ma non finisce qua. Per capire cosa possa essere accaduto nelle segrete stanze dell’Ecofin, viene in nostro soccorso quanto scritto da Varoufakis nel suo libro Adulti nella stanza, uscito in italiano nell’estate scorsa. Sono circa 500 pagine di dettagliate descrizioni delle riunioni di Eurogruppo ed Ecofin da febbraio a luglio 2015 e ne emerge un dato inequivocabile. Tutte le decisioni sono adottate sfruttando il potere coercitivo della BCE e dei mercati, opportunamente imbeccati. La linea è sempre dettata dalla Germania o dall’asse franco-tedesco, con la maggioranza dei Paesi coagulati intorno a questo asse, o per convinzione o per convenienza, allo scopo di non finire vittime del potere tedesco. La gravità delle accuse e delle ricostruzioni di conversazioni private riportate da Varoufakis è dirompente e, non a caso, poco o nulla è mai trapelato sulla grande stampa.

Uno dei passaggi più clamorosi di tale libro riguarda proprio l’Italia e Padoan. Quando questi chiese a Schauble cosa fosse possibile fare per smussare la sua aggressività, si sentì suggerire la riforma del lavoro poi nota come Jobs act. Quando quella legge passò in Parlamento, si sciolse il gelo tra i due. Padoan a quel punto suggerì a Varoufakis ‘perché non fai anche tu qualcosa del genere?’.

Dopo un episodio del genere, qualcuno ha ancora dei dubbi sui rapporti di forza che determinano le decisioni a livello europeo e sulla voce dal sen fuggita del Ministro Tria, seppur piuttosto goffamente rettificata e derubricata ad ‘espressione infelice’, addirittura ‘taggando’ il Ministero delle Finanze tedesco ed il portavoce del Governo per blandire pietà?

Se il clima è questo, l’unica ragionevole possibilità che l’Italia riesca ad ottenere decisioni meno sfavorevoli in sede europea è quella di mettere sul tavolo, con promessa di usarlo effettivamente e non per fare un bluff alla greca stile luglio 2015, il deterrente nucleare dell’uscita dall’euro e dall’Unione.

Solo così si potrà sfruttare tutto il nostro peso di contributori netti dell’Unione, e di Paese secondo solo alla Germania come produzione industriale ed attivo di bilancia commerciale.

È l’unico modo per rispondere efficacemente al ‘se ci dicono di no’ ma, per farlo, è necessaria una solida maggioranza politica che non appare esserci. Nel frattempo, ci accontentiamo di gridare al ricatto, con qualche malpensante che si spinge a credere che tale ricatto sia tuttora in corso. Ma, si sa, a pensar male, si fa peccato, ma…

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