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Rezza

Guerra mediatica Usa-Cina sul Coronavirus: fatti, accuse e fake news

C'è anche una guerra mediatica fra Usa e Cina sul Coronavirus. L'articolo di Marco Orioles

Quando, un mese fa, gli esperti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità denunciarono i pericoli della “infodemia” che, a colpi di mezze falsità o vere e proprie fake news, sta contagiando il mondo reale e virtuale come se non più di quanto stia facendo il coronavirus, non fecero probabilmente i conti con un fenomeno ancora più insidioso.

Le potremmo chiamare, con il beneficio d’inventario, “infowars”, quelle che vedono Cina e Stati Uniti fare a gara a chi la spara più grossa sulle origini del Covid-19. E non si sta parlando di anonimi e spericolati utenti social, malefici troll o diaboliche torme di bot, ma di testate giornalistiche influenti e, in certi casi, di personalità pubbliche ammantate di un’aura istituzionale.

Negli States, infatti, la teoria cospirativa per eccellenza sorta nell’era del Coronavirus – l’idea cioè che si tratti di un’arma biologica sviluppata in un laboratorio di Wuhan e poi sfuggita di mano ai suoi Frankenstein – ha goduto del sostegno di due uomini in vista nonché legati a doppio filo con la parabola di Donald Trump.

Ad aprire le danze è stato niente meno che l’ex Rasputin di The Donald, Steve Bannon. Che, per non tradire la sua reputazione di populista in chief, ha pensato bene, il 25 gennaio scorso, di ospitare nella sua trasmissione radiofonica un reporter del Washington Times, Bill Gertz, presentandolo come l’autore di uno “straordinario articolo sui laboratori biologici di Wuhan”.

Cotanta benedizione rappresentò, per Gertz, un lancio pubblicitario fenomenale che assicurò a lui e alla sua teoria almeno un’altra apparizione nell’etere Usa.

Non può stupire, a questo punto, il successivo articolo di Fox News dove si ripesca un thriller scritto nel lontano 1981 da Dean Koontz – che scelse per la sua opera il suggestivo titolo “The Eyes of Darkness” –  che avrebbe addirittura “previsto il Coronavirus”, descritto dall’autore, guarda caso, come il parto di un laboratorio militare cinese alle prese con una nuova e micidiale arma biologica.

Consola parzialmente, per così dire, il fatto che una simile teoria non abbia fatto radici nei soli States, visto che vi ha indugiato persino il tabloid inglese The Daily Mail. Ciò che sembra prerogativa degli Usa è invece il rango del personaggio che ha pensato di aggiungersi al coro.

Stiamo parlando di Tom Cotton, senatore repubblicano dell’Arkansas, protagonista di una comparsata negli studi di Fox News sfruttata per ripetere la leggenda del laboratorio militare top secret di Wuhan.

Quando, comprensibilmente, sul senatore Cotton sono piovute valanghe di critiche e censure, il reprobo ha fatto un apparente passo indietro pubblicando un tweet nel quale, oltre a sostenere di essere stato frainteso, precisava che la teoria del laboratorio di Wuhan era solo una delle ipotesi in circolazione sulle origini dell’epidemia. Aggiungendo, tuttavia, che l’ipotesi di un virus sorto nel mercato degli animali di Wuhan – sulla quale, com’è noto, si è appuntata per prima l’attenzione di medici e ricercatori – fosse proprio l’unica senza fondamento, a differenza di quelle che contemplano – Cotton dixit – “un rilascio deliberato”.

La sparata di Cotton su Fox News – su un’emittente cioè che gode, a dispetto della sua conclamata partigianeria, della più ampia audience d’America – ha avuto ovviamente un riverbero immediato. A preoccuparsi di rinforzare la teoria del senatore è stato, questa volta, il chiacchierato miliardario cinese Guo Wengui, che poche ore dopo la trasmissione di Fox si è presentato negli studi di New York della sua “G News” per registrare una trasmissione di mezz’ora.

“Lo dissi un anno fa”, spiegò Guo ai suoi telespettatori, “che prima che fossi morto il Partito Comunista Cinese avrebbe dato vita ad una massiccia crisi umanitaria, ad un disastro naturale o ad una pandemia”.

Allo show, naturalmente, non poteva mancare la classica ciliegina sulla torta, rappresentata dall’affermazione del magnate secondo cui “su un muro all’entrata del laboratorio P4 di Wuhan c’è una scritta che dice: ‘Quando entri in questo edificio, entri nel vaso di Pandora’”.

Se si è convinti e amareggiati della perfidia degli americani e di tutti coloro che, dalle parti dell’impero a stelle e strisce, stanno speculando su una tragedia per il puro gusto di dileggiare la superpotenza rivale in difficoltà, allora è bene leggere quanto ha scritto appena ieri il Global Times.

Evidentemente turbata dalle fake news made in Usa, l’edizione in lingua inglese – e proprio per questo incaricata di diffondere oltre i confini nazionali le parole d’ordine del regime – di un organo ufficiale del partito qual è il “Quotidiano del Popolo” ha pensato bene di replicare alla calunnia con gli stessi strumenti (inclusa la propagazione via Twitter):

Per orchestrare la propria rappresaglia, il quotidiano ha ripescato l’articolo di una emittente giapponese non proprio illustre, TV Asahi, che si è spinto a mettere in dubbio – come scrive il GT – “la notizia secondo cui molti dei decessi avvenuti negli Usa per influenza siano stati causati dal Covid-19”.

Con astuzia magistrale, il giornale riporta la secca smentita dell’americano Center for Disease Control and Prevention. Una smentita richiamata però non per smontare la balla, bensì per evidenziare come la fake news di TV Asahi sia ciononostante “diventata virale questo sabato nei social media, alimentando il timore e le speculazioni circa il fatto che il nuovo coronavirus sia effettivamente originato negli Usa”.

Con la faccia tosta di chi scandisce a gran voce una parolaccia dopo aver chiesto a tutti i presenti di evitare volgarità, il GT si preoccupa a questo punto di riferire che la notizia ha dato vita “nel cyberspazio cinese a varie teorie cospirative”, premurandosi di illustrarne un paio.

Ecco dunque la perla di un non meglio precisato “utente della piattaforma Sina Weibo” – il Twitter cinese – che, dopo aver segnala come nello scorso ottobre, in quel di Wuhan, si siano tenuti i Military World Games, si lancia in una sua originalissima spiegazione: “forse i delegati degli Usa hanno portato a Wuhan il virus, che poi avrebbe subito una mutazione che l’ha reso più mortale e contagioso”.

Ma come sanno bene i giornalisti di tutto il mondo, un conto è la parola di un twittatore qualsiasi, altra è quella di un esperto chiamato a suffragare una teoria o, a seconda dei casi, a insinuare autorevolmente il dubbio.

È un concetto che al Global Times hanno assimilato molto bene e applicato puntualmente a questa particolarissima circostanza. Ecco dunque il quotidiano scomodare Shen Yi, docente di relazioni internazionali all’Università Fudan di Shangai, che ai lettori ricorda come a “lavorare per rintracciare l’origine del virus” siano in questo momento non solo “i virologi globali”, ma anche “le agenzie di intelligence”.

E poiché al GT non manca il senso del teatro, all’importante intervista di Shen non poteva mancare una chiusa adeguata alle circostanze. “I sintomi e la contagiosità del Covid 19”, afferma il docente, “sono chiari a tutti. Ed è impossibile tenere nascosta l’origine della malattia”.

Aveva proprio ragione quel tale si chiamava Winston e, alle prese con il cataclisma del nazismo e della seconda guerra mondiale, ci consegnò una massima che resta di grande attualità anche nell’era dei social, delle fake news e dello scontro frontale tra Cina e Usa: in guerra, la verità è la prima vittima.

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