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Von der Leyen? Gli effetti del voto, le liti M5S-Lega e che cosa cambia per Bruxelles. Il commento di Polillo

Il presidente in pectore della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha fatto nulla per evitare la possibile collisione. L’asse dei suoi interventi era totalmente spostata a sinistra, nella speranza di catturare il voto dei socialdemocratici. Si può comprendere quindi il voto contrario della Lega. Ma... Il commento di Gianfranco Polillo

 

Non sono chiare tutte le implicazioni che hanno portato Lega e 5 stelle a votare, in modo difforme, sulla candidatura di Ursula von der Leyen alla testa della Commissione europea. Occorrerà aspettare qualche giorno, per vedere se i sospetti che circondano quell’affaire si mostreranno fondati. Hanno prevalso solo pulsioni identitarie? Affinità elettive diverse? Calcoli più o meno astrusi sulle prospettive di politica interna? Il tutto condito dal sugo gelatinoso del Mosca-gate. Quell’incontro di personaggi, dalle storie politiche contrapposte (dall’estrema destra alla vecchia Margherita) che, nell’albergo più sorvegliato di Mosca, luogo d’incontro tra potentati di vario genere e natura, circondati dalle più belle escort della capitale russa, imbastiscono un affare di petrolio e tangenti. Piatto prelibato per i servizi segreti di mezzo mondo, che in quell’albergo, quando non stazionano, hanno informatori e reti di sorveglianza.

Coincidenza quasi fortuita, si potrebbe dire. E forse proprio di questo si tratta. Tuttavia se gli avvenimenti si leggono in sequenza, qualche cattivo pensiero prende il sopravvento. E con esso l’amaro in bocca per le sorti di questo povero Paese. Zattera in mezzo al mare, in balia delle onde. Perché, al di là di ogni altra considerazione, questo è avvenuto. L’Italia, non in politica estera, ma in un rapporto che è quasi simbiotico (piaccia o meno, ha poca importanza) con l’Europa, non è riuscita ad esprimere un comune punto di vista, su basi nazionali. Su quello scoglio la stessa maggioranza parlamentare non solo si è frantumata, ma ha dato luogo al sorgere di un nuovo equilibrio, che non potrà non avere ripercussioni sulla sua politica interna.

In altri momenti, ad una rottura così clamorosa avrebbero fatto seguito le immediate dimissioni del presidente del Consiglio, dopo aver constatato che le sue basi parlamentari si erano dissolte. L’episodio, infatti, ha una sua rilevanza istituzionale. Non si tratta più di litigare su incontri avvenuti nelle sedi ritenute inopportune, come quelli del ministro dell’Interno con le parti sociali. Né su chi deve proporre al Paese le linee di politica da seguire ed i relativi tempi. Nemmeno sulla Flat tax o l’“autonomia differenziata”, tralasciando i temi minori quali il salario minimo o la Tav. Qui si tratta dei rapporti futuri tra la Commissione europea e l’Italia. Con chi dovrà trattare Ursula von der Leyen? Con gli esponenti della maggioranza trasversale che l’ha votata o con i rappresentanti del partito di maggioranza relativa, che gli hanno voltato le spalle, una volta che si sarà ricomposta la frattura esistente tra “Paese reale” e “Paese legale”?

Si deve solo aggiungere che il Presidente in pectore della Commissione aveva fatto nulla per evitare la possibile collisione. L’asse dei suoi interventi era totalmente spostata a sinistra, nella speranza di catturare il voto dei socialdemocratici, imbestialiti dopo il siluramento del loro candidato. Ambiente, salario minimo garantito a livello europeo, salvataggio in mare dei migranti, ma scarsi impegni sulla loro effettiva ricollocazione. E soprattutto “Europa first”. Ma non l’Europa di oggi. Quella delle politiche convenzionali. Quella che annaspa in un mondo che sta cambiando rapidamente e che rischia di determinare un suo poco auspicabile “spiazzamento” sul fronte delle tecnologie del domani. Di cui americani e cinesi si sono impadroniti e già la fanno da padrone.

Si capisce allora il malessere delle Lega. Anche il suo voto contrario. Ma questa non è la testa, bensì la coda della crisi italiana. Un ritardo che era evidente fin dall’inizio, ma che oggi è aumentato, rispetto a una politica credibile. Non fondata esclusivamente sul rancore. Sentimento sterile, tanto nei rapporti interpersonale, che su quello più generale. Ma sulla chiara percezione dei bisogni da soddisfare e quindi sulle scelte da compiere, avendo come stella polare i grandi interessi nazionali. Altro che “sovranismo”. Eravamo fuori tempo rispetto ad un’evoluzione più complessiva della realtà europea, dove il malessere, pure diffuso, non era riuscito tuttavia ad alimentare il confuso sogno della palingenesi. Speriamo solo che tutto ciò non si trasformi ora in un nuovo incubo. In quella miscela di fatti interni e fattori internazionali che può oliare la strada della possibile perdizione.

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