skip to Main Content

Vi racconto l’ostracismo sinistro contro Franco Zeffirelli

"Ocone's corner”, la rubrica settimanale di Corrado Ocone, filosofo e saggista.

Tocca ad altri, più esperti di me, tracciare la cifra umana e cultuale di Franco Zeffirelli, il grande regista teatrale e cinematografico scomparso ieri a Roma all’età di 96 anni. Qui voglio fare invece un ragionamento a latere, accennare a un aspetto più propriamente politico, o se preferite di sociologia e politica della cultura, che riguarda il grande Maestro. Riflessioni libere che mi son venute leggendo il bel ricordo fatto di “spigoature” pubblicato da Dagospia.

Anche a lui è toccato infatti in sorte l’ostracismo da parte dei “mammasantissima”, ovvero delle ben definite centrali politico-culturali che hanno tenuto in mano le redini del potere intellettuale italiano nel secondo dopoguerra (dalle accademie alla scuola, dall’editoria ai mezzi di comunicazione di massa, dalla cultura alta alle opere di più leggero intrattenimento).

Da quel grande signore che era Zeffirelli non ha fatto il vittimista, considerandosi anzi a suo modo un privilegiato: sia perché non aveva mai avuto problemi “alimentari” (non è facile fare l’eroe e opporsi al potere se si deve portare a casa il pane), sia perché da certe vicende non ne aveva avuto danni sostanziali avendo conquistato una fama internazionale prima di essere riconosciuto poi a forza anche in Italia. “Non mi è pesato l’ostracismo in patria, perché comunque non ha danneggiato la mia carriera. Mi ha indispettito perché è un ostracismo ideologico. È stato manovrato dal possesso della cultura operato dai comunisti in questi ultimi cinquanta anni. Siccome non ho mai nascosto quello che pensavo di loro e di Stalin, allora venivo messo al bando”.

La strategia comunista di “egemonia culturale”, infine persino di creazione di un “senso comune” (pseudo) culturale fatto di idee meccanicamente assunte e intollerante verso chi la pensa diversamente, era iniziata molto presto nel nostro Paese, direi addirittura quel 26 marzo del 1944 quando il “compagno Ercoli”, tanto prono al regime staliniano da esserne sopravvissuto, ritornò dopo un quasi un quarto di secolo nell’Italia liberata, anche se solo per metà (in tutti i sensi: geografico, anche se solo per poco, e sostanziale, per molto tempo ancora).

Dell’asservimento quasi totale della classe intellettuale, diventata col tempo “ceto medio riflessivo”, Palmiro Togliatti fu artefice e patrocinatore massimo. E la sua azione di conquista delle “casematte” del sapere avrebbe presto dato i suoi frutti, generando un “mondo di mezzo” completamente autoreferenziale che fa ancora oggi sentire il suo peso e che è mille miglia lontano dalla vera cultura. E che, per motivi ideologici, è pronto a ostacolare persino un genio come Zeffirelli. Certo, col tempo tante cose sono cambiate: quel mondo non fa più riferimento al marxismo, con i suoi rigidi dogmi, ma a una ideologia apparentemente meno rigida ma molto più pervasiva e intollerante quale è quella liberal, perfettamente integratasi fra l’altro col vecchio azionismo che correva nelle vene di tanta intellettualità italiana.

Anche il livello culturale dell’intellettuale di potere si è abbassato clamorosamente negli anni, tanto da farci rimpiangere certi uomini di cultura marxisti di un tempo: manichei e persino fanatici, certo, ma indubbiamente anche preparati e solidi culturalmente. Non tutti in verità hanno venduto l’anima, ma per vanità o interesse chi non l’ha fatto ha dovuto affinare l’arte della dissimulazione portando il tributo al nuovo padrone. Zeffirelli coglie bene questo punto quando dice: “La mia colpa è aver rifiutato di spargere il sale davanti alla statua dell’imperatore. Sa come facevano i primi cristiani, per sfuggire alle persecuzioni? Rendevano omaggio formale al dio in terra; che nella nostra epoca è il comunismo, la sinistra. Prenda Luchino Visconti. Comunista lui? Io l’ho visto licenziare in tronco un cameriere e una cameriera che avevano dimenticato di pettinare i suoi gatti persiani. Intendiamoci: fece benissimo”.

Viene naturale così pensare a un altro tratto che accompagna spesso l’uomo di genio, che Zeffirelli aveva in sommo grado e che oggi viene quasi del tutto edulcorato nel melenso conformismo degli “incompetenti” che si sono autodefiniti “competenti”. Mi riferisco all’anticonformismo eccentrico e non di maniera, all’imprevedibilità sincera e non a sua volta manierata dei comportamenti, al “caratteraccio” (da “toscanaccio”) che porta ad essere schietti fino al cinismo.

Genio e sregolatezza, forme e vita, arte e libertà senza regole. Un intreccio che non si può costruire a tavolino, come hanno preteso di fare certi sedicenti intellettuali che, più conformisti del re, hanno ridotto l’anticonformismo alla postura spocchiosa, al predicare la rivoluzione dal salotto di casa e al farsi lo spinello..

Back To Top