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Ristrutturazione Debito Argentina

Vi racconto le ultime tensioni in Argentina

Il commento del giornalista Livio Zanotti, già in Rai e alla Stampa, per anni corrispondente dall’America Latina e inviato speciale di esteri Una rovente giornata di contrasti interni al governo sulla strategia finanziaria da seguire per controllare la crisi, confronti politici, etici e sociali in Parlamento e nelle strade spingono dallo scorso mercoledi l’Argentina in…

Una rovente giornata di contrasti interni al governo sulla strategia finanziaria da seguire per controllare la crisi, confronti politici, etici e sociali in Parlamento e nelle strade spingono dallo scorso mercoledi l’Argentina in un groviglio di conflitti. L’intero paese ne è scosso. Una nuova, improvvisa vampata d’inflazione ha bruciato d’un colpo rilevanti risorse monetarie e lo stesso presidente della Banca Centrale. Federico Sturzenegger, un navigato uomo di finanza che non più di una settimana addietro aveva annunciato il prestito straordinario del Fondo Monetario Internazionale, ricevendo le felicitazioni pubbliche del presidente Macri, è stato messo bruscamente alla porta. Inseguito da critiche e sospetti per impreviste operazioni miliardarie con la J.P. Morgan.

A sostituire Sturzenegger alla presidenza della Banca Centrale, Macri ha chiamato il suo amico personale e fino a mercoledi sera ministro delle Finanze Luis Caputo, noto più come esperto di commercio internazionale che di monete e credito. In una congiuntura che lascia intravvedere aspetti drammatici, il presidente argentino ha dunque preferito la fedeltà a una specifica competenza. Gli interrogativi sul crescendo di rovesci che nelle ultime settimane hanno sconvolto un’economia con insistenza presentata dal governo come sana e in crescita, sono infatti numerosi e finora senza spiegazioni. Al netto delle non poche e talvolta pesanti illazioni, lo sconcerto prevale in tutti i commenti, compresi alcuni interni alla coalizione “Cambiemos” che sostiene il governo.

L’eccezionale prestito stand-by di 50mila milioni di dollari (il 25% della liquidità totale del FMI), concesso dal Fondo Monetario e ritenuto uno scudo formidabile, alla prova dei fatti non ferma la speculazione. Nei 2 anni e mezzo di Presidenza Macri, il valore del dollaro contro il peso è aumentato in una misura senza precedenti. A metà giugno, l’inflazione somma un 24/25 per cento circa, schiaccia il potere d’acquisto dei salari e provoca scioperi a catena: già fermi trasporti e scuola. I camionisti presidiano centinaia di nodi stradali. Preannunciato lo sciopero generale. Libera di votare in piena coscienza, la Camera dei deputati ha espresso di misura una maggioranza trasversale che se confermata dal Senato -come è probabile- legalizza l’aborto, storica rivendicazione dell’opinione liberale e delle donne argentine.

Il quadro è quanto mai complesso. Tra i numerosi e stretti vincoli posti dall’FMI al credito straordinario, c’è quello di lasciar fluttuare la moneta nazionale sul libero mercato. Su cui, gonfiata dall’inflazione, l’incetta di dollari da parte della grande speculazione e gli acquisti del piccolo risparmiatore in quanto bene-rifugio non frena. Mentre chiunque ci sia a presiederla, la Banca Centrale non può intervenire direttamente; e insoddisfatti per l’attuale quotazione ufficiale del dollaro che ritengono artificialmente sottovalutato, oltre che per ritenute fiscali considerate eccessive pur se ridotte di un terzo dal 2015, gli esportatori agricoli non liquidano le rimesse in valute forti. La siccità, argomentano, quest’anno ha tagliato severamente i loro raccolti e profitti. Fondi internazionali, banche e intermediazione finanziaria, restano quindi i primi campioni della speculazione.

Si dice che nelle intenzioni del governo di Mauricio Macri, la battaglia aperta nei mesi scorsi per la legalizzazione dell’aborto avrebbe forse dovuto deviare almeno temporaneamente molte tensioni sul terreno etico-politico. Qualche ulteriore dissapore con la Chiesa di Papa Francesco era stato messo in conto. Ma la mobilitazione accesa dalla prospettiva di un intervento legislativo su un tema ipersensibile come l’aborto, mantenuto proprio per questo solitamente ai margini dell’agenda politica, è risultata più rapida e più ampia d’ogni previsione. E in alcune occasioni ha funzionato perfino da collante per e con altre questioni sociali in discussione. Tutto è vita.

Le donne, certo, ma soprattutto i giovani plurisessi e le adolescenti se ne sono fatti protagonisti. Non solo nelle manifestazioni di piazza, bensì anche in un pressing rispettoso (salvo eccezioni) e tuttavia implacabile sui parlamentari contrari così come su quelli favorevoli alla depenalizzazione. Fuori del Congresso, si sono misurate infatti due piazze: quella pro e l’altra contro. Senza -va sottolineato-, che vi siano state provocazioni da nessuna parte. Meno indolori gli strappi che il voto di coscienza ha prodotto in tutti i gruppi, del governo così come dell’opposizione. La pasionaria cattolica Elisa Carriò, autorevole e temuta alleata del Presidente Macri, ha lasciato l’aula minacciando una rottura.

Il governo è in evidente emergenza. Tenta di mostrarsi compatto e chiede senso di responsabilità all’opposizione. Resta per il momento riservato ciò che sarebbe disposto a cedere in cambio. Gli ambasciatori sono già all’opera. Ma la gravità del deterioro limita fortemente i margini di trattativa. Il Fondo Monetario ha posto come condizioni al mega-prestito pesanti tagli di spesa, compressione dei salari per ridurre costo del lavoro e consumi interni, in modo da favorire al massimo le esportazioni, tutte quelle agricole in primo termine e per l’industria i prodotti competitivi a maggiore contenuto tecnologico. Anche tralasciando divisioni ideologiche e qualche caso di odio personale, appare improbabile che il grosso dell’opposizione voglia condividere un simile fardello. Rischi, però, ce ne sono per tutti.

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