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Vi racconto la trasformazione salviniana della Lega

Fatti, approfondimenti e aneddoti sul passato e sul presente della Lega. Il post di Paola Sacchi, già inviata di politica all'Unità e a Panorama

Colpisce che il mondo cambia ma una certa sinistra e alcuni suoi cantori continuino a vedere nella Lega, ex Nord e ora nazionale, quel popolo di “barbari”, nel quale da sempre troverebbero rifugio le cosiddette “classi subalterne”. Eppure, lo stesso Bettino Craxi, antagonista davvero dei leghisti, nei primi anni ’90 fu forse l’unico leader politico il quale intuendo che la richiesta di autonomia sarebbe diventata una sfida per tutto il Paese proprio su quel tema, declinato sui poteri delle Regioni, per tentare di stoppare il secessionismo, si recò, lanciando una sfida a Umberto Bossi, proprio a Pontida, nel “sacrario” leghista per dedicare al tema un convegno.

Ma Craxi era Craxi e da politico a tutto tondo intuiva prima di altri le sfide nazionali e globali che ci stavano già da allora attendendo. E poi ci fu Massimo D’Alema che coniò la famosa “costola della sinistra” per ragioni tattiche sullo sfondo dei giochi politici del ribaltone del ’94, ma pur sempre intuendo anche lui che quella richiesta di autonomia poneva problemi a tutti.

Il centrosinistra giunse alla fine a una riforma della Costituzione con pochi voti di vantaggio che estese poteri alle Regioni. Ma, intanto, la lunga marcia da parte del Carroccio nel suo tentativo di rappresentanza ramificato e trasversale dei ceti sociali, che ha visto ora la tappa trionfale alle Europee di Matteo Salvini con il suo oltre 34 per cento, spalmato su tutto il territorio nazionale, in realtà aveva già conosciuto un primo importante segnale sempre alle elezioni europee di dieci anni fa.

La Lega ancora di Bossi raggiunse oltre il 10 per cento a livello nazionale, iniziando lo sfondamento nelle regioni rosse come l’Emilia-Romagna. Con una trasversalità di rappresentanza che già allora iniziava a inglobare non solo le cosiddette “classi subalterne” (entrò per la prima volta in Fiat, a Mirafiori, sottraendo voti alla sinistra) ma anche un ceto medio fatto da professionisti e imprenditori e non solo più quelli piccoli dei capannoni.

Un anno dopo nel 2010 Luca Zaia diventò per la prima volta governatore del Veneto, andando oltre il 60 per cento, godendo si disse anche della simpatia di importanti industriali e di significativi settori della Chiesa. Ma tornando al 2009, avanzava sempre di più un giovane direttore di Radio Padania, uno che aveva praticamente fatto dell’auto la propria abitazione, perché come scrisse Andrea Soglio sul settimanale Panorama, allora del Gruppo Mondadori, e ancora primo news magazine, Salvini già da allora non stava mai fermo in un posto.

In una sola mattina era già stato avvistato in quattro mercati diversi a parlare e volantinare, per poi recarsi nel pomeriggio al suo posto di consigliere comunale di Milano. E allora ovvio che in quella sua auto ci fossero, mescolati in un acrobatico mix, stampelle appendiabito per un cambio veloce, secchi di colla, manifesti e volantini. Un po’ alla maniera rivista e corretta di “Umberto” degli esordi.

E nei primi anni 2000, come mi spiegò l’allora presidente della Provincia di Varese, Marco Reguzzoni, ingegnere, leghista delle origini (oggi tornato a fare l’imprenditore, il più giovane presidente di Provincia prima di Matteo Renzi, e poi capogruppo alla Camera), Salvini fu l’unico ad aprire una breccia leghista tra i cosiddetti ragazzi bene, suoi coetanei, di Via della Spiga a Milano. Città che comunque è rimasta ancora oggi, nel suo centro, un ostacolo per la Lega.

Sempre Panorama, con un servizio della sottoscritta, a fronte del risultato trasversale leghista del 2009 fece questo titolo: “Lega, la nuova Balena verde” . Era 10 anni fa. Prima del caso Belsito, in seguito al quale la Lega riprecipitò a una cifra. Ma, al di là del caso Belsito e la detronizzazione del padre fondatore, presidente a vita, Bossi, Roberto Maroni una volta mi spiegò che la Lega era “un partito a fisarmonica” disegnato da Bossi sul modello di una struttura pesante, tipo il vecchio Pci. Insomma, come una sorta di grande “ombrello per resistere a tutte le intemperie”. Poi, sono arrivati i social, la “rivoluzione” del guru della comunicazione Luca Morisi, la svolta nazionale e sovranista declinata in salsa leghista.

Ma, comunque sia e comunque finirà, non c’è dubbio che la marcia trionfale di Salvini non viene dal nulla. Poggia su un percorso del vicepremier e ministro dell’Interno, su basi più solide e su un partito assai diverso, perché monolitico, rispetto al partito di Matteo Renzi. La cui foto comunque il saggio Giancarlo Giorgetti ha raccomandato a Salvini di tenere sempre sulla scrivania. Perché il consenso di questi tempi rischia sempre di evaporare presto.

Ma comunque finirà e comunque la si pensi, descrivere la lunga marcia leghista, che già più di dieci anni fa vantava nel gruppo alla Camera un alto numero di laureati, come se il tempo si fosse fermato alle corna di Vergingentorige a Pontida, o a una cosa di osterie padane campagnole, certo sembra come fare un balzo indietro rispetto a un fenomeno che neppure ai suoi esordi dai più avveduti venne liquidato così.

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