skip to Main Content

Vi racconto la guerra latente fra Usa e Iran

Il Punto di Marco Orioles

 

Stavolta, ha twittato Donald Trump, l’Iran ha commesso un “grosso errore”, abbattendo all’alba di ieri un drone spia Usa in missione nello Stretto di Hormuz.

https://twitter.com/realdonaldtrump/status/1141711064305983488?s=21

Oltre che dal cinguettio del presidente, insolitamente laconico, la riprova che l’Iran sta rischiando arriva dalla rivelazione di stamattina del New York Times: dopo intense consultazioni con il suo gabinetto e con i leader parlamentari, convocati in tutta fretta alla Casa Bianca, il presidente Usa “ha approvato strike militari contro l’Iran” in serata salvo emettere il contrordine quando gli aerei e le navi erano già in posizione, pronti a fare fuoco sugli obiettivi prescelti.

La superpotenza a stelle e strisce decide dunque all’ultimo minuto di non premere il grilletto per punire una provocazione che anche stavolta ha fatto impennare il prezzo del petrolio, con il Brent salito ieri a 63.48 dollari al barile (dopo aveva toccato la vetta di 63,88) e il West Texas Intermediate balzato a 55.50 dollari.

Il subitaneo rincaro del prezzo del greggio è il risultato inesorabile di un episodio che conferma il timore dei mercati e delle cancellerie per una tensione, quella tra Stati Uniti ed Iran, ormai fuori controllo e per la conseguente insicurezza degli approvvigionamenti energetici in una regione, quella che si affaccia sul golfo Persico, in cui transita un quinto del petrolio estratto nel mondo.

Era naturale, dunque, che la notizia del drone americano abbattuto dall’Iran – il primo asset militare degli Usa colpito da quando è iniziato il braccio di ferro tra i due paesi – facesse subito il giro del pianeta, lanciata e rilanciata su Twitter da tutte le agenzie di stampa, i giornali e da una miriade di account:

Contestualmente alla notizia, si diffondono però anche le due versioni contrastanti delle parti in causa, con l’Iran che sostiene di aver colpito il velivolo nel proprio spazio aereo – all’altezza della  provincia sudorientale di Hormozagan – e gli Usa a replicare che si trovava invece sopra le acque internazionali.

Il drone coinvolto è un RQ-4A Global Hawk dellaMarina Usa prodotto, con un costo unitario di ben 130 milioni di dollari, dalla Northrop Grumman. Dalla scheda di Miltary.com si possono apprendere tante cose su questo gioiello hi tech dalle grandi dimensioni – ha un’apertura alare maggiore rispetto a quella di un Boeing 737 – e dotato di notevole autonomia di volo (trenta ore).

Ma il Global Hawk ha un’altra caratteristica chiave, spiegava ieri la Rivista Italiana Difesa: si tratta di velivoli del tipo HALE (High Altitude, Long Endurance) che,  potendo “volare fino ad oltre 60.000 piedi di altitudine”, sono – almeno teoricamente – “fuori dal tiro di molte armi avversarie”. L’abbattimento di un drone di questo tipo è perciò, sottolinea la RID, “un evento molto significativo”.

Come ricorda Fox News, i Global Hawk sono stati trasferiti da poco dagli Usa nella base emiratina di Al-Dhafra, vicino alla capitale Abu Dhabi, nell’ambito dei rinforzi decisi il mese scorso che comprendono anche l’invio nella regione di uno Strike Group, di uno squadrone di B-52, di una batteria di Patriot e di mille uomini, cui lunedì ne sono stati aggiunti altri 1.500 su input del Segretario alla Difesa ad interim Patrick Shanahan (nel frattempo sostituito).

Ed è proprio “da una delle basi americane nelle parti meridionali della regione del Golfo Persico” che, secondo la dichiarazione rilasciata al mattino presto dai pasdaran e subito rilanciata da varie agenzie e media iraniani, alle 00:14 ora locale di ieri un Global Hawk sarebbe decollato con “i trasponder spenti in violazione di tutte le regole internazionali dell’aviazione”.

Il drone, continua la dichiarazione, avrebbe sorvolato lo Stretto di Hormuz dirigendosi “verso la città portuale iraniana di Chabahar”. A quel punto, nel fare ritorno verso lo Stretto, il drone avrebbe “violato lo spazio aereo dell’Iran e cominciato a raccogliere intelligence e spiare”. Alle 4.05 ora locale il velivolo è stato pertanto  “abbattuto” mentre si trovava “vicino alla regione di Kouh-e Mobarak”. I rottami, precisano i Guardiani, sono caduti “nelle acque territoriali dell’Iran nell’area di Ras al-Shir”.

L’agenzia iraniana Tasmin aggiunge un altro dettaglio: il missile che ha centrato il drone sarebbe partito da una batteria del sistema Khordad-3, capace – evidenzia l’Associated Press – di colpire obiettivi distanti fino a 30 chilometri.   .

Questa, dunque, la versione dell’Iran, ribadita in serata dal ministro degli Esteri Javad Zarif che, su Twitter, fornisce le coordinate satellitari del punto in cui è stato abbattuto il Global Hawk, aggiungendo che i suoi frammenti sono stati recuperati “nelle NOSTRE acque territoriali.”

 

Peccato che gli Usa sostengano tutt’altra cosa: ossia, come recita la dichiarazione del portavoce del Comando Centrale, Bill Urban, che, quando è stato abbattuto, il drone si trovava “nello spazio aereo internazionale sopra lo Stretto di Hormuz”.

 

“I resoconti iraniani che dicono che il velivolo si trovava sopra l’Iran sono falsi”, afferma Urban, per il quale “nessuno velivolo Usa stava operando oggi nello spazio aereo iraniano”. ”Questo”, aggiunge il portavoce del CENTCOM, “è stato un attacco non provocato su un asset di sorveglianza Usa”:

È una convinzione, quella del Pentagono, che si trasferirà più tardi nella mente di The Donald. “Questo drone”, dichiarerà nel pomeriggio il presidente mentre era in procinto di ricevere il premier canadese Justin Trudeau, “era chiaramente in acque internazionali”. Non sono ”solo parole”, precisa il capo della Casa Bianca: “è documentato scientificamente”.

Come conferma la successiva rivelazione del NYT, che descrive una riunione concitata alla presenza dei Big della Sicurezza Nazionale,il momento è grave. Donald Trump si stava accingendo ad ordinare il terzo attacco militare da quando si è insediato (gli altri due hanno avuto luogo in Siria nel 2017 e nel 2018). Ritira all’ultimo minuto il pollice dal bottone della rappresaglia conscio che un’azione del genere scatenerebbe l’inferno. D’altra parte, era stato proprio lui a far sapere, durante l’incontro con Trudeau, che tutta questa brama di scatenare “Fire and Fury” contro i pasdaran non l’aveva affatto. Declassa addirittura la loro azione come non “intenzionale”. “Immagino”, dichiara, “che sia stato un generale o qualcuno che ha fatto un errore”.

Dall’Iran, invece, suonano tamburi di guerra. Il comandante dei Guardiani, generale Hossein Salami, parla di “un preciso messaggio” lanciato agli Usa. “I confini sono la nostra linea rossa”, ha affermato ieri parlando ad una cerimonia militare. “Qualsiasi nemico che violi i confini sarà annichilito”.

Gli ha fatto eco il segretario del Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale, Ali Shamkhani, con parole riportate dall’agenzia Tasnim: “Il nostro spazio aereo è la nostra linea rossa e l’Iran ha sempre risposto e continuerà a rispondere con forza a qualsiasi Paese che lo violi”.

Pessime notizie  sopraggiungono negli stessi momenti da un fronte molto vicino e strettamente connesso, quello della guerra in corso tra i ribelli Houthi dello Yemen, alleati dell’Iran, e la coalizione araba guidata dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti.

Gli Houthi hanno lanciato ieri un missile cruise su un impianto di desalinizzazione nella città saudita di al-Shuqaiq, nella provincia di Jizan. Non ci sono vittime, ha fatto sapere il portavoce della coalizione Turki al-Maliki, ma l’episodio dimostra agli occhi di Riad – se fosse ancora necessario – che Teheran sta fornendo ai suoi alleati armi sofisticate da impiegare contro il Regno.

Tensione si aggiunge a tensione, dunque, in un contesto in cui l’allarme era già massima da quando, a maggio, quattro petroliere sono state attaccate nel porto emiratino di Fujairah in un incidente dietro al quale gli Usa hanno intravisto le responsabilità dell’Iran. Come ci sarebbero, sempre a detta dell’America, le impronte digitali dei Guardiani della Rivoluzione nel nuovo attacco a due petroliere avvenuto una settimana fa nel Golfo dell’Oman.

Mentre il mondo intero si domanda se gli Stati Uniti non decideranno di scatenare una guerra dalle conseguenze imprevedibili, il bersaglio predestinato continua ad addossare le responsabilità delle tensioni sulle spalle del nemico. Basta leggere la nota con cui l’iraniana Press Tv riportava ieri la dichiarazione dei pasdaran.

“Teheran”, scrive Press Tv, “crede che ci sia la mano degli Usa in una serie di incidenti sospetti nella regione nelle ultime settimane (…) in un tentativo di scaricare la colpa sull’Iran e di mettere ulteriore pressione sul Paese”.

Aveva proprio ragione Clausewitz quando diceva che, in una guerra, la prima vittima è la verità.

Back To Top