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Ecco come la Germania discute e si divide su come evitare il burrone della recessione

Tutte le analisi della stampa tedesca sull'economia teutonica che fa registrare anche oggi dati non confortanti. Numeri, fatti, commenti e analisi. L'approfondimento di Pierluigi Mennitti da Berlino

 

“Impotente”. È l’aggettivo scelto da Die Welt per raccontare il gigante che scivola nelle sabbie mobili. Il gigante è la Germania che finisce impotente nel pantano della recessione. Gli ultimi avvertimenti sono arrivati dall’istituto Ifo di Monaco, l’oracolo che predice quasi infallibilmente il bello e il cattivo tempo dell’economia tedesca. Lunedì con l’indice di fiducia delle imprese, calato ad agosto per la quinta volta di seguito a quota 94,3, il livello più basso dal novembre 2012: un punto e mezzo in meno rispetto a luglio, quando era a 95,8. Ieri con le attese sulle esportazioni, uno dei sismografi più indicativi per un’economia troppo dipendente dalle commesse estere: l’Ifo parla in sostanza di una situazione stagnante, anche se in questo caso le indicazioni potevano essere più nere.

L’indice di saldo che l’istituto bavarese usa è addirittura salito leggermente, da – 2,7 di luglio a – 2,1 di agosto, ma il piccolo progresso inganna: a dare un po’ di ossigeno sono le imprese che commerciano con la Gran Bretagna, che si sono avvantaggiate di un’accelerazione delle commesse per timore che con la Brexit i prodotti finiscano sotto la mannaia dei dazi. “Per il resto la guerra commerciale in corso fra Usa e Cina continua a danneggiare l’industria esportatrice tedesca”, scrive l’Ifo. A fronte di un leggero ottimismo diffuso nel settore chimico e del respiro di sollievo in quello dell’auto, in lieve recupero rispetto ai rovesci dei mesi precedenti, crescono le preoccupazioni per le esportazioni di altri due pilastri dell’economia tedesca: l’industria della costruzione di macchinari industriali e il settore metallurgico. L’ultimo dato, sull’occupazione, è infine di oggi e annuncia un raffreddamento anche sul mercato del lavoro, che inizia a subire le conseguenze del rallentamento economico: l’indice mensile dell’Ifo sull’occupazione è sceso in agosto a 98,1 punti dai 99,5 di luglio. “Gli imprenditori pigiano sempre più sul freno nelle nuove assunzioni”, è il commento dei ricercatori. Resiste l’edilizia, calano settore metallurgico e industria elettrica, crollano i servizi. Sembrano per ora finiti i mesi di record, uno dopo l’altro, che hanno portato al dimezzamento dei quasi 5 milioni di disoccupati all’inizio del secolo, anche grazie alla crescita del settore del lavoro temporaneo.

IL QUADRO PESSIMISTICO

Si tratta di nuove indicazioni che sostanziano il dato pessimistico di lunedì. La crisi del manifatturiero perdura e non sembra trovare soluzione nel prossimo futuro, mentre la crisi dell’industria sta infettando anche il settore dei servizi, che finora aveva tenuto, e quello della logistica. Nei report di queste ultime settimane si parla più correttamente di rallentamento dopo anni di crescita tumultuosa, ma da Monaco fanno sapere che stati d’animo così negativi tra gli imprenditori non si registravano dai tempi della crisi globale del 2009. “I segnali di recessione in Germania si addensano”, ha commentato il presidente dell’Ifo, Clemens Fuest, che ha poi ribadito la costellazione di ostacoli che rendono improbabile una svolta nella seconda metà dell’anno: la guerra commerciale fra Usa e Cina si è inasprita rendendo gli investitori sempre più insicuri, la Brexit in autunno aggiungerà un nuovo colpo a tutti i paesi dell’Ue, che rischia tuttavia di essere molto pesante per l’industria tedesca. Fattori esterni su cui Berlino non può esercitare alcuna influenza. Ecco perché la Welt parla di “impotenza”, riprendendo di fatto le osservazioni di un politico economista come Friedrich Merz, che qualche giorno fa avvertiva come la Germania non fosse attrezzata per affrontare una crisi, anche per l’eccessiva pressione fiscale su aziende e famiglie che deprime gli investimenti e contiene i consumi.

CHE COSA INDICA IL SURPLUS

L’unica buona notizia del surplus di bilancio di 45,3 miliardi di euro nella prima metà dell’anno ha riacceso il confronto. Si tratta di un avanzo pari al 2,7% del Pil, costituito dalla somma di tutte le entrate delle amministrazioni federali, statali e locali e dei fondi di previdenza sociale, meno le spese, che potrebbe rappresentare un tesoretto importante da investire per far fronte a una dinamica congiunturale difficile. Il problema è come.

LA PROSPETTIVA DI UNA CRISI

Ora tutti parlano di un piano congiunturale per affrontare i tempi duri ed evitare che un rallentamento, forse anche fisiologico, si avviti in una grave crisi. Ma ogni componente lo declina a modo suo. Gli esponenti favorevoli al libero mercato (imprenditori, economisti e stampa di area liberale) spingono per un programma di coraggiosi alleggerimenti fiscali, per le aziende e per le famiglie e respingono la tesi di far nuovi debiti. “La Germania di tutto ha bisogno, tranne che di un programma di spesa di corto respiro, non siamo di fronte a una grave crisi finanziaria come nel 2009 ma a una flessione congiunturale dopo dieci anni di crescita”, scrive in un commento ancora Die Welt: “Il robusto surplus dello Stato indica che vi è spazio di manovra per un alleggerimento fiscale per lavoratori e imprese. La Germania è in testa ai paesi industrializzati per quel che riguarda la pressione su redditi da lavoro e profitti delle aziende, un segnale disastroso per investitori e manodopera qualificata”. A nome degli industriali, il ceo di Basf Martin Brudenmüller sprona il governo a “impostare un vasto programma di riforme, dal sistema fiscale alla regolamentazione del mercato del lavoro, accentuandone gli aspetti di flessibilità, fino alla riduzione dei costi per l’energia rinnovabile”. Una sorta di nuova Agenda 2010, dal nome del programma riformista varato da Gerhard Schröder tra il 2003 e il 2005.

LE CRITICHE

Fa eco l’Handelsblatt: “Piuttosto che aumentare le tasse sarebbe opportuno varare mirati tagli fiscali per i percettori di bassi redditi e per gli imprenditori, che avrebbero effetto di stimolo congiunturale”. E invece, lamenta il quotidiano economico, il governo si impantana nella solita storia dei veti incrociati: il ministro delle Finanze Olaf Scholz sa che la riduzione delle tasse alle imprese non lo aiuterebbe nella corsa a dicembre per la guida dell’Spd, mentre la Cdu non ha alcun piano economico oltre alla parziale sospensione della tassa di solidarietà. Come prima (e per ora unica misura anti-crisi il governo ha deciso l’abolizione dal 2021 della Soli, la tassa di solidarietà tra Ovest ed Est, per la grande maggioranza dei contribuenti, con l’eccezione dei cosiddetti ricchi (il 10% della popolazione). Se la Groko preparava un suo bazooka finanziario, per ora ha lanciato solo un colpo di fionda.

I PIANI DI SCHOLZ

Dei 50 miliardi che il ministro Scholz dovrebbe destinare a una serie di misure straordinarie in caso di aggravamento della crisi si è parlato più di una settimana fa. Come spesso accade per gli annunci, nulla di più concreto è trapelato in seguito. In compenso l’Spd ha messo sul piatto la proposta di un’imposta sui patrimoni, una forma di tassazione di questi tempi amata da molte sinistre europee, che dovrebbe incidere per l’1% dei patrimoni di privati e aziende. Gli imprenditori non l’hanno presa bene, la Neue Zürcher Zeitung ha parlato di ritorno “della lotta di classe” e di addio alla socialdemocrazia moderata. Secondo l’Handelsblatt, “da un punto di vista politico, per una Spd disperata, la proposta ha un senso, ma dal punto di vista economico pregiudicherebbe una buona situazione finanziaria esattamente quanto ricorrere a nuovi debiti”.

I SONDAGGI ELETTORALI

Il tutto si inserisce nell’ultimo colpo di reni della campagna elettorale in due strategiche regioni dell’Est. Secondo i sondaggi, domenica gli elettori di Sassonia e Brandeburgo dovrebbero inviare un nuovo avvertimento ai partiti di governo a Berlino. I nazional-populisti di Afd insidiano al primo posto la Cdu in Sassonia e l’Spd in Brandeburgo e i Verdi potrebbero per la prima volta crescere in maniera massiccia nei Länder orientali. E se nella formazione dei nuovi governi regionali i due ex partiti di massa manterranno il boccino in mano, sarà per loro in ogni caso un’altra doccia fredda elettorale.

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