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Movimento

Vi racconto che cosa succede davvero fra M5S e Pd. L’articolo di Capezzone

I tatticismi e le preoccupazioni di Di Maio. I rilanci di Zingaretti. Le divisioni all'interno del Pd. E non solo. Il punto di Daniele Capezzone

 

Stavolta Sergio Mattarella era determinato a evitare il bis di quell’esperienza post 4 marzo 2018. Di qui la sua scelta dei giorni scorsi di rendere esplicita la prospettiva delle urne: per un verso per impedire a Luigi Di Maio di alimentare due forni; e per altro verso per indurre i grillini a dire sì al Pd.

Usando un avverbio caro alla tradizione comunista, si potrebbe dire che “oggettivamente” Mattarella abbia provato a compiere, dal suo punto di vista, un’operazione convergente con quella tentata dal Pd: condurre i grillini sull’orlo del baratro (cioè far vedere loro le elezioni), mostrare ai pentastellati il baratro di una decimazione parlamentare, e poi ripeter loro la domanda: in alternativa alla morte certa, lo volete l’accordo con il Pd?

E’ questo che ha indotto Zingaretti a un rilancio continuo, ad alzare la posta, a passare dai laschi e vaghi cinque punti approvati dalla Direzione del Pd due giorni fa alle condizioni perfino umilianti e provocatorie per i grillini precisate (e aggravate) ieri.

Un’autentica richiesta di abiura per Di Maio & c: cancellare i decreti sicurezza (l’ultimo approvato con tanto di fiducia un paio di settimane fa) e rinunciare alla misura simbolo del taglio dei parlamentari.

Tutte contraddizioni in cui Salvini si è inserito ieri pomeriggio, rinfacciando ai Cinquestelle un eventuale tradimento di quegli impegni politici. E tentando fino alla fine di rendere possibile un colpo di scena, e cioè un nuovo negoziato Lega-M5S, addirittura prospettando per Di Maio l’offerta di Palazzo Chigi.

Così, per lunghe ore, si è assistito a una quadrupla prova di forza: quella del Pd verso i grillini (con la minaccia delle urne); quella dei grillini verso il Pd (rivendicando come condizione imprescindibile il taglio dei parlamentari); quella di Salvini verso Di Maio (ricordando che la Lega, diversamente dal Pd, ha già votato tre volte per il taglio di deputati e senatori); e infine quella tutta interna al Pd tra zingarettiani e renziani.

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