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Tutti i particolari (e i nomi) del caso finanziario che scuote il Vaticano di Bergoglio

Il Punto di Andrea Mainardi sul nuovo caso finanziario in Vaticano

“Il rapporto con i beni temporali è, per molte ragioni, complesso e delicato: deve quindi essere affrontato con chiarezza e precisione, in quanto ambiguità o imprecisioni in questo ambito comportano per la Chiesa il grave rischio di compromettere parte della propria immagine e, conseguentemente, della propria credibilità”. Iniziava così la corposa tesi di dottorato di don Alberto Perlasca, discussa alla Pontificia università gregoriana nel 1996. Allora era semplice parroco in quel di Como. In seguito l’autore de “Il concetto di bene ecclesiastico” di quei beni se ne è occupato a lungo nel cuore della Chiesa cattolica.

SEGRETERIA DI STATO NELLA BUFERA

Dal 2009, fino a qualche settimana fa, Perlasca ha tenuto le chiavi della cassaforte della Segreteria di Stato, come responsabile dell’ufficio amministrativo in Terza Loggia. Alla Prima sezione, quella degli Affari generali oggi nella bufera. Quella guidata dal 2011 all’anno scorso dal Sostituto Angelo Becciu, oggi promosso cardinale e prefetto della Congregazione delle cause dei santi. Chissà se quel saggio del monsignore lombardo è stato letto dai suoi collaboratori vaticani.

BECCIU, IL MONSIGNORE CHE MEDIA COI POTENTI

Becciu è invece considerato a tutti gli effetti il primo tra i cardinali italiani. Nel senso che è il porporato più vicino a Francesco a coordinare i rapporti con Palazzo Chigi e dintorni. Irritualmente. Questo ruolo dovrebbe condurlo la Conferenza episcopale con il suo presidente. Ma i tempi di Camillo Ruini e della prima fase di Angelo Bagnasco sono un ricordo. Non a caso un molto narrato incontro informale tra Bergoglio e l’allora premier Paolo Gentiloni è avvenuto a casa di Becciu nell’agosto 2017, quando era ancora Sostituto. Anche l’allora ministro degli Interni, Marco Minniti, in piena svolta politica dem sui migranti, era andato a parlare in Segreteria di Stato. E, nel suo appartamento, Becciu ricevette riservatissimamente, tanto da finire sui giornali pochi giorni dopo, il leghista Matteo Salvini. Ça va sans dire: nessuna pax coi leghisti fu siglata. Anzi.

OBOLO IN CASSAFORTE

Papa Francesco a fine luglio ha nominato il canonista Perlasca a promotore sostituto presso il Supremo tribunale della segnatura apostolica. Una sorta di Cassazione per le cause di nullità matrimoniali e questioni squisitamente ecclesiastiche. Insomma: da amministratore è diventato pm. E non indagherà su vicende penali finanziarie. Lungo un decennio si era invece occupato della gestione dei danari necessari per il sostentamento della Curia romana e, in particolare, dell’Obolo di San Pietro, il complesso delle offerte inviate dai fedeli di tutto il mondo per le attività di carità del Papa.

LO “SCANDALO” CHE VIENE DA LONTANO

Di Perlasca non c’è traccia nell’informativa firmata dal capo dei gendarmi vaticani il 2 ottobre che sospende dal servizio e banna l’accesso al piccolo stato cinque dipendenti di prima grandezza tra Segreteria e Aif, l’Agenzi antiriciclaggio vaticana. Ricostruzioni di stampa, a cominciare da Emiliano Fittipaldi sull’Espresso, danno però ai tempi del tandem Becciu-Perlasca l’origine del presunto – tutto da accertare – nuovo guaio riguardante “operazioni finanziarie compiute nel tempo” (stando alle parole del comunicato ufficiale della Santa Sede).

QUEL PALAZZO NEL CUORE DI LONDRA

La sostanza prende la via Roma-Londra. Sotto la lente degli inquirenti ci sarebbero in particolare investimenti immobiliari iniziati intorno al 2011 in quel di Chelsea. Palazzo al numero 60 di Sloane Avenue. Valore sui 160 milioni di dollari.

È NORMALE CHE IL VATICANO INVESTA. MA CHI DECIDE CON QUALI DENARI?

Non è l’entità economica, sia pure enorme dell’investimento, la prima notizia. Né – come qualcuno pretende, anche ripescando un articolo del The Guardian di alcuni anni fa, già vecchio all’epoca – che il Vaticano investa in immobili e finanza. Di queste cose sanno anche i gatti di Torre Argentina. La Santa Sede opera in Inghilterra e altrove in Europa; in Italia – ovviamente – passando dagli snodi nevralgici di Svizzera e Lussemburgo. Tra palazzi e Sicav. Stime, considerate al ribasso, valutano un patrimonio immobiliare complessivo sul miliardo di euro, a cui si aggiungono somme da capogiro per 8-9 miliardi in titoli. Non è reato, né peccato. Il punto è se il denaro – sterco del demonio, ma proveniente dai fedeli – viene utilizzato come fertilizzante per far crescere opere buone, o è mal gestito. Sperperando risorse che dovrebbero servire per la carità. Per quale motivo? Imperizia, malaffare? Di questo si occupano i magistrati vaticani. E poi: perché la Segreteria di Stato si avventura in questioni che dovrebbero essere più propriamente di pertinenza dell’Apsa?

LA MOSSA (NON) A SORPRESA: ARRIVA PIGNATONE

Se sarà rinvio a giudizio per qualcuno per l’ultima uggia in re oeconomica, a decidere sarà l’ex procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, la cui nomina a presidente del Tribunale vaticano firmata da Bergoglio e pubblicata giovedì, arriva in queste intricate ore inaspettata. O forse no. Pignatone si è già interessato di Ior dall’Italia. Sul suo tavolo Oltretevere troverà il fascicolo riguardante Angelo Caloia. L’ex presidente Ior deve rispondere di peculato e autoriciclaggio. Udienza aggiornata a fine ottobre. Si dovesse arrivare a rinvio per la vicenda immobiliare deflagrata ai principi di ottobre, l’ex magistrato inquirente Pignatone dovrà giudicare. E dovrà occuparsi di altro. Di abusi nel preseminario Pio X dove studiano e alloggiano i chierichetti in servizio a San Pietro – due gli imputati. E della scomparsa di Emanuela Orlandi. Da procuratore capo aveva seguito il caso in Italia. Poi chiese e ottenne l’archiviazione. Chissà come si muoverà nei nuovi uffici accanto a Piazza San Pietro? Pignatone succede al giurista Giuseppe Dalla Torre del Tempio di Sanguineto, fratello di Giacomo, Gran maestro del Sovrano militare ordine di Malta.

L’OTTOBRE ROSSO PORPORA

L’ultimo episodio di faccende finanziarie probabilmente nella sua portata economica non è di prima grandezza tra reali e presunti scandali che da sempre attraversano il Vaticano. O forse sì, come scontro di poteri. E come evenienza piuttosto insopportabile agli occhi dei fedeli. Risultano certe opacità che evidentemente si confidavano acqua passata e che ancora riemergono. Al di là degli attuali indagati, qualche figura davvero apicale – mai toccata in passato e nemmeno oggi – comprendeva quanto stava accadendo?

IL CONTROLLATO DENUNCIA I CONTROLLORI

La sintesi è questa. Martedì 1 scatta il blitz dei gendarmi in Segreteria di Stato e negli uffici dell’Aif. Perquisizioni e sequestro di documenti e materiale informatico autorizzato dai pm vaticani (Oltretevere definiti Promotore di giustizia e Aggiunto) Gian Piero Milano e Alessandro Diddi, per chiarire i contorni delle denunce presentate a inizio estate dalla banca vaticana Ior e dall’ufficio del Revisore generale. Qualcosa di clamoroso: il controllato Ior denuncia i controllori Aif e Segreteria di Stato. La posizione di Revisore generale (un’authority anti corruzione) è attualmente vacante dopo la messa all’uscio di Libero Milone. Accompagnato alla porta con benedizione del Sostituto Becciu. Ma l’ufficio evidentemente continua a lavorare. Mercoledì 2 escono i nomi di cinque dipendenti sospesi dall’incarico: quattro funzionari della Segreteria e il direttore dell’organo antiriciclaggio Aif, Tommaso Di Ruzza. Le redazioni dei giornali si eccitano.

BECCIU IN BILICO, ANZI CHE NO

C’è chi ipotizza che la faccenda travolgerà l’ex Sostituto Becciu. Che infatti la sera del 2 viene ricevuto da Francesco. Peccato che l’udienza fosse già in agenda: si dovevano incassare i via libera dal Papa ad alcuni decreti di competenza dell’adesso prefetto per le Cause dei santi. Tra i quali il miracolo attribuito allo storico primate polacco Wyszyński. Francesco e il cardinale sardo avranno anche conversato di questioni finanziarie. Ma la mattina seguente Becciu è tranquillamente salito come da programma su un aereo per il Brasile.

VENERABILI VELENI

Come fa intendere Massimo Franco sul Corsera, occorre molta attenzione in queste ore a captare segnali dal Vaticano. C’è più di un interesse dalle diverse parti ad accreditare questa o quella narrativa della vicenda. Il solito acquartieramento. Consueta lotta tra bande dove in pochi gestiscono gelosamente molti poteri. Anche qui, nulla di nuovo sotto il Cupolone.

DAL VENEZUELA CON CHIACCHIERICCIO

Non va trascurato il ruolo del successore di Becciu in Segreteria di Stato, il venezuelano Edgar Peña Parra. Vicinissimo ad uno dei porporati più ascoltati da Francesco, l’honduregno Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga. Entrambi chiacchieratissimi nelle rispettive patrie. Ascoltatissimi a Santa Marta. Difatti anche la poltrona di Peña Parra non sembra per nulla in discussione.

INEVITABILI CONSULENZE

Possono essere di interesse leggere i link tra Vaticano e ambienti finanziari romani e internazionali che si intrecciano in questa e altre vicende. Alcuni circolano da tempo come collaboratori negli affari del piccolo Stato che ha inevitabilmente bisogno di rivolgersi a consulenze esterne. Impossibile riportarle tutte. Tra dedizioni professionali, e qualche inceppo.

LE CHIAVI DI PIETRO NELLA TERRA DI SUA MAESTÀ

Già solo l’asse Roma-Londra merita attenzione. Ai tempi delle operazioni che sarebbero oggetto di indagine, era nunzio in Gran Bretagna l’arcivescovo Antonio Mennini. Figlio di Luigi – storico dirigente Ior – e fratello di Paolo, all’Apsa dal 1999, dove diventa segretario nel 2003, e fino al 2013, della Sezione straordinaria, quella che si occupa di amministrare i beni della Santa Sede. Paolo Mennini nel 2017 si è trovato coinvolto per quel ruolo in una inchiesta della procura di Roma per presunti giri di denaro su conti Oltretevere al fine di manipolare il mercato di Banca Finnat di Giampietro Nattino. Fu coinvolto un altro ex dirigente Apsa, Piero Menchini, che risulta fino al 2011 tra gli amministratori di British Grolux Investiments Limited. Così come lo stesso Mennini, che però lascia Grolux solo nel 2014. E ancora si torna a Londra. La Grolux gestisce infatti da decenni gli investimenti vaticani in terra britannica. Dai tempi di Bernardino Nogara, il primo amministratore dei beni terreni della Santa Sede. Lo stesso banchiere che nel 1926 creò anche Profima, con sede in Svizzera, per la compravendita di beni immobiliari.

MINCIONE UOMO CHIAVE

New entry delle cronache – non dei fatti – il finanziere Raffaele Mincione. È a lui, o meglio alle sue Wrm e Athena Capital Found, sede in Lussemburgo, che la Segreteria di Stato si rivolge ai tempi di Becciu e Perlasca per investire milioni. Si opta per immobili a Londra. Scrive L’Espresso: “Un business a cui partecipa direttamente sia Mincione, che con Wrm compra il 55 per cento del palazzo, sia il fondo vaticano, che ne prende il 45 per cento”. L’incontro è favorito – secondo Fittipaldi – da alcuni emissari di Credit Suisse, società di servizi finanziari con sede a Zurigo a cui non da ieri il Vaticano chiede consulenze. L’affare va in porto. È regolare e registrato. E redditizio. Per un po’ tutto fila liscio. Solo che dal Credit Suisse passano i soldi dell’Obolo di San Pietro.

CHAOUQUI: AVEVO AVVERTITO 

Tra il 2013 e il 2014 la Pontificia commissione di studio e di indirizzo sull’organizzazione della struttura economico-amministrativa (Cosea) voluta da Francesco vaglia anche questa operazione. Eccepisce. Lo twittava giovedì una degli ex membri, Francesca Chaouqui. Sostiene di avere avuto le carte, di averle consegnate in Cosea poi, nel 2015, in un dossier inviato al Papa.

IL FINANZIERE E I (VECCHI?) DUBBI DEL PD SU CONTE

Mincione, l’uomo a cui si è rivolto Becciu, che aveva ribattezzato ironicamente la sua barca “Bottadiculo”, è finanziere noto. Ha tentato la scalata a Carige (qui e qui alcuni approfondimenti di StartMag). Per il Pd di opposizione al Conte 1, il premier Giuseppe avrebbe un conflitto di interesse in materia. Già. Perché il 7 gennaio scorso il governo gialloverde approva un decreto legge per introdurre misure urgenti per la banca genovese. Il capogruppo dem Marcucci insorge: “Il conflitto d’interesse riguarda il giro stretto degli amici del presidente del Consiglio. C’è il suo maestro, Guido Alpa, che è stato a lungo nel consiglio di amministrazione di Carige e poi nella Fondazione. C’è ancora Raffaele Mincione, socio della banca, di cui l’avvocato del popolo è stato consulente”.

SMENTITE E CORREZIONI

Conte smentisce da sempre la collaborazione con Alpa, rubricandola a semplice condivisione di ufficio. Prima di sedere a Palazzo Chigi ha scritto un parere pro-veritate per Retelit, una società partecipata Mincione. Il quale a sua volta nega di conoscerlo personalmente. Il Pd il 28 gennaio ha presentato una interrogazione in Senato mettendo in fila i presunti contatti tra Conte e Mincione sulla vicenda Carige. Chissà che fine faranno quelle domande in tempo di governo giallorosso. Sui presunti conflitti di interesse di Conte la Lega ha già annunciato una interrogazione.

INTANTO A LONDRA LA BREXIT MANDA IN FUMO LE SACRE ATTESE

Ma occorre ripassare ponte e Manica. Tra Oltretevere e Londra. Perché nel rapporto immobiliare ci mette lo zampino la Brexit. L’investimento a Chelsea ad un certo punto non rende più. E si interviene. Secondo la ricostruzione di Fittipaldi, un ruolo ce l’ha il successore di Becciu. È Peña Parra che deciderebbe di acquistare l’intero palazzo, uscendo dal fondo lussemburghese di Mincione. Per farlo ha bisogno dei soldi dallo Ior. Bussa per il credito. Dalla banca vaticana scatta un campanello di allarme. È dal Torrione che parte una delle due denunce che hanno portato alle perquisizioni di inizio ottobre.

LA SEGRETERIA DI STATO BUSSA, LO IOR NON APRE 

Tutto, scrive Franca Giansoldati sul Messaggero di oggi, comincerebbe il 2 luglio, quando il direttore generale dello Ior, Gian Franco Mammì, presenta denuncia ai magistrati. Non digerisce la richiesta della Segreteria di Stato di 150 milioni per estinguere il mutuo che grava sull’immobile londinese. Ad agosto l’Ufficio del Revisore fa notare che denaro e titoli della Segreteria sono depositati al Credit Suisse, non allo Ior. Il timore è che ci si avventuri in investimenti opachi. Eticamente dubbi. C’è in ballo la reputazione (e il patrimonio) della Santa Sede. Per evitare i rischi, i soldi dell’Obolo di San Pietro – annota Giansoldati – a parere dell’Ufficio del Revisore dovrebbero essere gestiti nella banca vaticana. Al contrario, “l’operazione Londra” non rientrerebbe nelle finalità religiose. Da qui una prima ipotesi di reato: per i magistrati vaticani sarebbe quella di “abuso di autorità”.

GLI AFFARI A CHELSEA

La società londinese che lavora per il Vaticano e gestisce “l’affare” è battezzata col nome dell’indirizzo del palazzo a Chelsea. Si chiama London 60 Sa Limited. Risulta attualmente attiva. Dal maggio scorso tra i direttori si leggono i nomi di alcuni dei personaggi oggi coinvolti nell’indagine vaticana. A cominciare da don Mauro Carlino (dal 10 maggio al 1 agosto). Il monsignore leccese, già segretario di Becciu, era diventato appena in luglio capo dell’Ufficio informazione e Documentazione della Segreteria di stato. Caterina Sansone, addetta di amministrazione della Segreteria di Stato, da visura risulta ancora in carica a Londra. Spunta anche il nome di un monsignore spagnolo, Josep Lluis Serrano Pentinat, non citato nelle misure di sospensione cautelari dal servizio in Vaticano disposte dalla Gendarmeria. Pentinat è stato chiamato da Bergoglio a fine marzo dalla nunziatura in Brasile alla Prima sezione della Segreteria di Stato.

“NON SOLO MATTONE”. SERVE CHIAREZZA SULL’USO DELL’OBOLO

L’indagine quindi non si concentra solo sul portafoglio immobiliare vaticano. Scrive Fittipaldi: “I pm del papa indagano non solo su eventuali irregolarità dell’operazione immobiliare londinese e di quelle della Sicav, ma pure su ipotetici giri di denaro che avrebbero arricchito alcuni mediatori e dipendenti vaticani: sono al setaccio trust e depositi sia in Lussemburgo sia in Svizzera, ma è presto per dire se siano stati o meno trovati illeciti”.

ROGATORIE IN ITALIA PER SETACCIARE CONTI BANCARI

Nel frattempo, riferisce Il Messaggero oggi in edicola, si muove la Procura di Roma. È una richiesta di collaborazione partita da San Pietro: gli inquirenti vaticani intendono verificare presunte attività di riciclaggio in territorio italiano. Prime acquisizioni documentali sarebbero già state condotte in diverse banche romane.

L’ANTIRICICLAGGIO VATICANO SI ARRABBIA

L’informato Massimo Franco sul Corriere della Sera racconta poi un dettaglio rilevantissimo: il coinvolgimento dell’Aif – con la sospensione del direttore Di Ruzza – avrebbe mandato su tutte le furie il presidente dell’Agenzia, René Bruelhart che, scrive il Corriere, avrebbe saputo del provvedimento solo a cose avvenute. Riportano da via Solferino: “Le ultime indiscrezioni parlano di un consiglio dell’Aif orientato a ottenere rassicurazioni sul modo di agire della giustizia vaticana; convinto che sia in corso un attacco da parte di gruppi di interessi che non hanno gradito il tormentato tentativo di rendere i conti dello Ior più trasparenti. C’è chi ha sentito parlare perfino di dimissioni dell’intero consiglio”. Quanto credito dare a queste voci? Lo stesso Franco avverte di un clima tossico oltre le Mura, dove abbondano i veleni: “Difficile districarsi in un microcosmo di potere nel quale tutti tendono a accusare tutti e a sospettare di tutti”.

PAROLIN DEFILATO

Ma anche il Segretario di Stato, sulla carta il numero due del Vaticano, braccio destro del Pontefice nel governo della Chiesa, sarebbe stato informato dell’inedita perquisizione nella “sua” Terza Loggia non tempestivamente. Appena poco prima del blitz. Segno che i rapporti tra il cardinale Pietro Parolin e il Papa – che avrebbe dato il via libera all’azione di polizia – si sono fatti un poco, se non tesi, meno cordiali? O c’è una strategia – non del Pontefice, ma forse di qualche suo avventuroso consigliere in quel di Santa Marta – di svuotare i ruoli di comando sgraditi tramite logoramento? O era quella discrezione solo un modo per blindare il porporato veneto? Per ora, solo domande.

POCO CARITATEVOLI VOLANTINI STILE WANTED

Come domanda forte è quella del direttore del Sismografo Luis Badilla, molto addentro alle Sacre Stanze, che si chiede se il Papa fosse stato informato della circolare della Gendarmeria con nomi e foto dei dipendenti sospesi cautelativamente e pubblicata in anteprima dall’Espresso. Un volantino diffuso ampiamente all’interno delle Mura vaticane: “Era ovvio che in pochi minuti sarebbe finito nelle redazioni dei giornali”, scrive Badilla. C’era proprio bisogno di questa “mossa imprudente, offensiva e poco cristiana, una condanna sommaria” verso persone alle quali “nessun tribunale ha imputato colpe incontestabili di reato e nessun giudice ha firmato una sentenza di colpevolezza?”. Ricorda: “In passato in casi simili e forse più gravi, non si è mai agito in questo modo”.

INTANTO L’OSSERVATORE ROMANO SE LA PRENDE COI GIORNALI

Il quotidiano ufficioso della Santa Sede, L’Osservatore Romano, da parte sua, ha poi mandato in pagina un editoriale in cui si taccia la “gogna mediatica” verso le persone sottoposte agli accertamenti con tanto di pubblicazione delle loro foto. Peccato che, appunto, il volantino stile Wanted era stato servito in qualche modo da dentro le Mura. Qualcosa, anche qui, si è inceppato. Una serie di imprecisioni, per dirla con le espressioni usate da monsignor Perlasca per altri contesti – quelli delle opacità finanziarie – che rischiano di compromettere l’immagine e la credibilità della Chiesa. E proprio alla vigilia del Concistoro di oggi, quando Francesco imporrà la berretta cardinalizia a tredici suoi fedelissimi (dieci gli elettori in un futuro Conclave) e soprattuto di un Sinodo (al via domenica) che si annuncia campo di scontro tra i vari, indecifrabili nel loro sovrapporsi e ricomporsi, partiti ecclesiali.

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