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Trump a Londra. Cronaca e storia dei rapporti fra Stati Uniti e Regno Unito

La visita di Trump cade in un momento molto delicato sia per gli Stati Uniti – intenti a calibrare un ordine internazionale più sensibile ai loro interessi – sia per l’Inghilterra, presa dalla febbre della Brexit e dal leadership contest in casa Tories, che già vede 13 candidati alla successione di Theresa May. Il Punto di Daniele Meloni

 

Inizia oggi la tre giorni della visita ufficiale del Presidente Usa Donald Trump nella capitale britannica. Una visita che cade in un momento molto delicato sia per gli Stati Uniti – intenti a calibrare un ordine internazionale più sensibile ai loro interessi – sia per l’Inghilterra, presa dalla febbre della Brexit e dal leadership contest in casa Tories, che già vede 13 candidati alla successione di Theresa May.

Sarà la premier dimissionaria ad accogliere il Presidente Usa, ultimo atto della sua premiership fallimentare. Il servizio di sicurezza per Trump e la delegazione americana (previste mille persone al suo seguito) sarà imponente a Winfield House, dal 2018 sede dell’Ambasciata Usa. Il costo per il contribuente britannico sarà di 18 milioni di sterline. Sarà fatto ogni sforzo anche per soddisfare i desiderata di The Donald: per l’occasione è stato allertato anche il Principe Andrea, amante del golf proprio come la guest-star in arrivo.

Trump ha preparato meticolosamente il suo viaggio come solo lui sa fare: nessuna concessione al linguaggio della diplomazia, ed entrata a piedi uniti sulla Brexit, sul ruolo di Nigel Farage e sul leadership contest che darà al paese un nuovo leader conservatore e, di conseguenza, un nuovo premier prima del mese di agosto. Sarebbe però ingeneroso parlare di ingerenze fuori luogo: la politica Usa ha una lunga storia di ingerenze nella politica inglese, basti pensare all’endorsement di Barack Obama a David Cameron ai tempi della campagna per il referendum sulla Brexit, per non dire di quando – e bisogna tornare agli anni Cinquanta – Dwight Eisenhower e John Foster Dulles decisero di consolidare il primato americano in Occidente, relegando definitivamente l’Inghilterra a junior partner nella “special relationship”, mandando a tappeto la guerra franco-britannica all’Egitto e accompagnando alla porta il premier di allora, Anthony Eden.

Si si è forse ispirato a questi due episodi The Donald? Chissà. Da quando è stato eletto Presidente, 5 mesi dopo il voto storico sulla Brexit del 23 giugno 2016, Trump ha sempre manifestato la propria soddisfazione per l’uscita dello UK dall’Unione Europea. Gli Stati Uniti vedono questo evento epocale come un fattore di destabilizzazione dell’Europa, alleata ma anche rivale commerciale nel mondo. Il Presidente Usa ha dapprima criticato il Withdrawal Bill proposto da Theresa May al Parlamento britannico affermando che in quei termini sarebbe stato impossibile per il Regno Unito firmare un comprensivo accordo di libero scambio con gli Usa. Poi, e siamo alle ultime dichiarazioni, ha sostenuto la posizione di Nigel Farage e del suo Brexit Party, arrivando persino a suggerire a Downing Street di dare a Farage il mandato di trattare con Bruxelles. Infine, dopo aver invitato lo UK a non pagare il conto del divorzio dall’UE, ha espresso il suo endorsement per l’amico Boris Johnson nella corsa alla leadership dei Tories e alla premiership. Trump sembra incarnare perfettamente l’idioma britannico “someone who speaks his mind”, uno che dice quello che pensa.

Se per gli USA gli interessi in ballo sono chiari, la posizione del Regno Unito è di attesa, ancora influenzata dalla Brexit e dalle lotte interne ai partiti. L’opposizione laburista vede come fumo negli occhi la visita di Trump. Corbyn ha assunto una posizione più sfumata finora, ma il sindaco di Londra, Sadiq Khan, ha parlato di ospite non benvenuto e di neo-fascismo. Una tradizione anti-americana che ritorna alla ribalta dopo gli anni di Tony Blair e d Gordon Brown, che avevano visto l’allineamento – qualcuno dice l’appiattimento – del centrosinistra britannico sugli interessi di Washington.

In casa Tory la tradizione pro-americana è molto più radicata, e si rifà a un testo in particolare: The History of English Speaking Peoples (sì, con la “s” finale) di Winston Churchill, che aveva sottolineato i valori comuni tra Inghilterra e Stati Uniti, toccando la carne viva della lingua, degli ideali democratico-liberali e dell’idem sentire tra i due popoli. L’ipotesi di riproporre una nuova Anglosfera dopo la Brexit è stata paventata più volte dopo il 23 giugno, ma sembra non trovare la sponda che ci si aspetterebbe dall’altra parte dell’Atlantico. Questo rappresenterebbe un problema per Londra una volta allentati i rapporti con l’Europa.

Intanto, sono stati diffusi i particolari dell’agenda di Trump. Nell’incontro con Theresa May si parlerà di cambiamento climatico e della tecnologia 5G. Poi, il Presidente visiterà l’abbazia di Westminster e, oggi stesso, si recherà a Clarence House per un tè con il Principe Carlo e la Duchessa di Cornovaglia. In serata “state banquet” a Buckingham Palace con la Regina, a cui presenzieranno anche Melania Trump e il Duca e la Duchessa di Cambridge. Martedì è previsto l’incontro tra Trump e il mondo del business anglo-americano in una colazione di lavoro a St.James’s Palace. Tra gli speaker ci saranno anche il CEO di Barclays, Jes Staley, quello di GlaxoSmithKline, Emma Walmsley, il presidente di BAE Systems, Sir Roger Carr, e, infine, quello di the National Grid, John Pettigrew. Mercoledì a Portsmouth Trump e Melania parteciperanno alla cerimonia per il 75esimo anniversario del D-Day.

Parallelamente, le proteste contro Trump colpiranno le principali città inglesi tra cui la stessa Londra, Belfast, Manchester e Birmingham. La manifestazione “ufficiale” partirà martedì da Trafalgar Square, organizzata da Stop Trump Coalition e da Stand Up To Trump, le due associazioni che promettono di “resistere al trumpismo”.

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