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Trattato Francia-Italia? Una sciagura per noi. Parola del prof. Pelanda

Indiscrezioni giornalistiche parlano di un'imminente firma di Francia e Italia sul trattato del Quirinale. Ecco tutte le ragioni contrarie esposte da Carlo Pelanda, analista, saggista e docente di geopolitica economica, in una conversazione con Start

In uno scenario europeo fluido, mentre Emmanuel Macron fa il duro per conquistare la leadership dell’Unione, conviene all’Italia ritirare fuori dal cassetto le bozze di un robusto trattato bilaterale con la Francia? L’analista di geopolitica economica Carlo Pelanda non ha dubbi: “Assolutamente no. Il rischio è di formalizzare una posizione subordinata al comando di Parigi che cerca Roma per sovrastare il potere tedesco”.

È un revival della posizione gollista: utilizzare l’Europa come moltiplicatore della forza nazionale francese. Da sola la Francia è troppo piccola per rapportarsi con i grandi imperi. Per questo Parigi cerca trattati diarchici dentro l’Unione europea. Dopo quello di Aquisgrana siglato a gennaio tra Macron e Merkel – che ha rinnovato quello dell’Eliseo del 1963 – adesso la spinta per un trattato con l’Italia che giace in cantina dallo scorso anno.

Nel gennaio 2018, su pressione francese, si era cominciato a lavorare con un team composto da tre funzionari francesi e tre italiani. Parigi aveva messo sul tavolo alcuni temi che, nella sostanza, condizionano l’Italia agli interessi d’Oltralpe in materia economico finanziaria. Tutto si era poi interrotto dopo le elezioni del 4 marzo. Ora quel piano viene riesumato e sarebbe pronto per essere firmato dall’Italia, ha scritto Mf/Milano Finanza venerdì scorso. La diplomazia francese evidentemente annusa il vento. Si prevede che l’Italia possa andare al voto il prossimo anno. E spinge sull’acceleratore.

Del Trattato finito in congelatore nel 2018, circolano delle bozze. Ufficialmente lo scopo è rafforzare la cooperazione tra Roma e Parigi su crescita, occupazione, politica migratoria, ambiente. Ma una partita cruciale si gioca sulla difesa comune europea che l’Eliseo vorrebbe gestire in uno scenario post Nato. Ambizioni contrastate da Berlino. “Parecchi attori italiani intravedono vantaggi, ma prevalgono gli svantaggi”, chiosa Pelanda.

Parigi da tempo investe sulle élite italiane. Riferimento alla comunione di intenti tra Macron e Matteo Renzi? “Non credo che Renzi conti davvero qualcosa di significativo in queste relazioni”.

Intanto gli sgambetti francesi all’Italia non sono mancati. Sono cronaca.

Dalla fusione Psa-Fca agli intralci di Parigi a Fincantieri su Stx, dai rumors sulle mire francesi nella finanza italiana (Assicurazioni Generali) fino allo scontro tra l’industria della difesa americana e quella francese per il motore del nuovo elicottero di Leonardo-Finmeccanica e la competizione nello spazio. Per non dire di un altro importante snodo: l’Italia è entrata ufficialmente nel programma britannico Tempest con Leonardo (ex Finmeccanica), Elettronica, Avio Aero e Mbda Italia. Tanto per l’industria nazionale. Significativo anche per l’equilibrio politico atlantico.

Siglare un trattato con la Francia equivarrebbe, inoltre, a dichiarare guerra alla Germania. “L’Italia dovrebbe prendere posizione contro l’idea di forti trattati bilaterali all’interno dell’Unione europea. Pericoloso quello di Aquisgrana tra Macron e Merkel”, secondo il saggista ed editorialista di La Verità e Italia Oggi. Perché “cedere la sovranità o suo pezzo ad un agente europeo è una cosa, ben altro ad un asse franco-tedesco, che equivale a sottomettersi ad un impero travestito da Europa”.

Altro punto, non irrilevante, è che trattati diarchici non hanno senso dentro l’Unione europea: “Sono in contrasto con l’Ue. O ci affidiamo tutti a Bruxelles oppure sciogliamo l’Unione”.

Intanto tra Parigi e Berlino volano gli stracci. Dice Pelanda, docente di geopolitica economica all’Università Marconi di Roma: “Macron è astuto. Nelle sue mosse di conquista dell’Italia c’è tutto il suo passato di banchiere d’affari”.

Già: la Francia detiene tra l’altro una fetta consistente del nostro debito pubblico. Un’accumulazione frutto di una continua campagna di penetrazione finanziaria in Italia. Anche per questo occorre prudenza e responsabilità, per non assecondare la grandeur dell’Eliseo in uno scenario europeo fragilissimo. “Un Trattato del Quirinale sarebbe preso malissimo da Berlino. Con la Germania condividiamo la necessità di massimizzare l’export a livello globale, e di mantenere attiva la Nato, conservando una vocazione pro-atlantica”.

Del resto, nello scontro America-Cina, l’Europa è un terreno di battaglia. La Francia ha bloccato l’allargamento Ue a Macedonia del Nord e Albania. Macron mostra i muscoli, vuole comandare. E immaginiamoci cosa si appresterebbe a fare in Italia con un eventuale Trattato del Quirinale per affermare ulteriormente la potenza d’Oltralpe nella nostra economia.

Aggiunge Pelanda: “Neanche sul piano della competitività tecnologica ci conviene. Nell’industria spaziale, aerospaziale, della robotica e dell’intelligenza artificiale, il potenziale francese è buono, ma di serie B. Al contrario l’aggancio con il settore privato e militare americano e inglese farebbe interagire l’industria italiana con la serie A”.

Del resto è un rapporto già in atto. “L’Italia è molto più forte di come viene descritta. A cominciare dal rapporto dell’Agenzia spaziale italiana con la Nasa per lo sbarco sulla luna”. L’Italia è presente nel settore spaziale con Thales Alenia Space Italia, frutto della joint venture tra Leonardo e la francese Thales. Quindi il link stretto con la Nasa ça va sans dire non è gradito a Parigi.

E allora che fare con l’Eliseo? “Accordi sono possibili e utili su specifiche tematiche, come un rafforzamento del presidio militare nel Mediterraneo e una fattiva collaborazione sulla Libia. Se Parigi vuole comandare di più sull’Africa, ok. Non dimentichiamo però che ci sono criticità aperte su Algeria e Marocco. Servono relazioni decenti sull’Egitto. E la partita su gas e petrolio. Eni e Total si stanno già muovendo”.

Ma, appunto, un trattato più forte, all’Italia non converrebbe. Le asimmetrie sostanziali sono ovvie, “ma è nostro interesse che almeno non ci siano asimmetrie formali”. Nemmeno avremmo vantaggio a litigare con Parigi.

Ragionevole “è rimanere neutrali nello scontro tra Francia e Germania e continuare nelle cooperazione tecnologica con gli Stati Uniti, come sui progetti spaziali. E incidere per spostare sempre di più l’Europa verso gli Stati Uniti su Nato e mercato integrato. Ovviamente senza umiliare la Francia. Un accordo vincolante con Parigi rischia invece di peggiorare la situazione per la ricchezza reale del nostro Paese”.

Intanto Macron ha posizionato un suo uomo in Commissione europea, Thierry Breton, con un portafoglio importante di deleghe, proprio a industria, difesa e spazio.

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