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Perché le sanzioni Usa all’Iran provocheranno scintille tra Washington e Bruxelles

Quali possono essere le conseguenze nei rapporti fra Stati Uniti ed Europa con le sanzioni decise da Trump contro l'Iran? L'analisi di Fabio Vanorio

Il 5 novembre scorso, il Dipartimento del Tesoro statunitense ha avviato la seconda fase del regime sanzionatorio nei confronti di Teheran, introducendo sanzioni a danno dei settori energetico, dei trasporti marittimi, delle costruzioni navali e finanziario iraniani.

La decisione dà seguito al Memorandum Presidenziale per la Sicurezza Nazionale (NSPM-11) dell’8 maggio scorso relativo al ripristino entro 180 giorni di tutte le sanzioni precedentemente revocate con l’Executive Order 13716 firmato dal Presidente Obama, firmato in concomitanza con il JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action), trattato multilaterale concluso nel 2015 da Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia, Cina, Unione Europea e Russia per fermare lo sviluppo da parte dell’Iran di armamento nucleare.

Con il provvedimento del Tesoro, circa 700 persone fisiche, entità giuridiche ed aeromobili sono ora nuovamente soggetti alle sanzioni statunitensi, a cui vanno ad aggiungersi oltre 300 obiettivi non precedentemente posti sotto sanzione e più di 50 banche iraniane e le loro sussidiarie estere.

Questa è la seconda (e più importante) tranche di sanzioni dell’Amministrazione Trump a danno dell’Iran. Il Segretario al Tesoro, Steven Mnuchin, l’ha definitail più severo regime sanzionatorio statunitense mai imposto all’Iran”. La prima è stata avviata nell’Agosto 2018 dal Dipartimento del Tesoro con l’introduzione di limitazioni all’acquisto o all’acquisizione da parte dell’Iran di dollari statunitensi; al suo commercio di oro e metalli preziosi; così come alla conclusione di transazioni “significative” in Rial iraniano.

Operativamente, l’Office of Foreign Assets Control (OFAC), Divisione del Tesoro incaricata di amministrare le sanzioni imposte dagli Stati Uniti, ha modificato la classificazione delle entità denominate “governo iraniano” e “istituzione finanziaria iraniana” spostandole dalla “List of Persons Identified as Blocked Solely Pursuant to Executive Order 13599” alla “Specially Designated Nationals and Blocked Persons List” (SDN List).

Questo cambiamento introduce due regimi sanzionatori, uno “primario”, l’altro “secondario”. Schematicamente:

  • le “sanzioni primarie” si applicano genericamente a persone fisiche statunitensi nella realizzazione di transazioni che abbiano (1) un legame negli Stati Uniti e (2) come controparte il Governo iraniano o istituzioni finanziarie iraniane (salvo ottenimento di una licenza specifica da parte dell’OFAC);
  • le “sanzioni secondarie” si applicano a soggetti (anche non statunitensi) che si vincolano in “operazioni significative” con soggetti iraniani presenti nell’elenco delle “sanzioni primarie”. Persistono, comunque, ambiguità riguardo a ciò che qualifica una transazione come “significativa” ai fini delle sanzioni secondarie.

Dato l’impatto che queste nuove sanzioni potrebbero avere sulle esportazioni di greggio dell’Iran (e dunque sul mercato petrolifero mondiale), gli Stati Uniti hanno concesso otto deroghe (Italia, Grecia, Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Turchia, India e Cina) che consentono a questi paesi di continuare ad acquistare greggio dall’Iran per 180 giorni (periodo soggetto a rinnovo).

Come il Rappresentante speciale per l’Iran, Brian Hook, ha spiegato, i proventi di ogni vendita di petrolio da parte dell’Iran ad uno degli otto Paesi importatori esentati andranno in un escrow account aperto presso una banca del Paese importatore e “monitorato attentamente dagli Stati Uniti”. L’Iran è stato dunque posto in condizione di minima sopravvivenza, potendo spendere i crediti per acquistare beni limitati, come cibo e medicine, e potendo, tra l’altro, proseguire la conversione in atto di alcuni impianti nucleari (inclusi Bushehr e Fordow).

Una questione importante riguarda la pressione relativa al blocco delle attività iraniane esercitata dagli Stati Uniti su SWIFT (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication), network di messaggistica globale che consente alle banche di condividere informazioni sensibili sulle transazioni finanziarie. Sugli aspetti pregressi relativi allo SWIFT come terreno di scontro tra Washington e Teheran rimando ad un esaustivo studio del 2012 dell’Istituto Italiano di Studi Strategici “Nicolo’ Machiavelli”.

Ad oggi, il Segretario al Tesoro, Mnuchin, ha chiarito in un’intervista del 2 novembre scorso la posizione di Washington. L’Amministrazione statunitense si aspetta che SWIFT disconnetta ogni istituzione finanziaria iraniana assoggettata al regime sanzionatorio, minacciando di introdurre analoghe sanzioni per SWIFT in caso di mancata collaborazione. Da parte sua, SWIFT ha annunciato la volontà di collaborare con Washington ed applicare le sanzioni statunitensi, “in linea con la missione di sostenere la resilienza e l’integrità del sistema finanziario globale come fornitore di servizi globale e neutrale”.

In linea generale, guardando la composizione del Board of Directors di SWIFT fanno sorridere le idee di scontri o ricatti tra l’Amministrazione Trump e SWIFT. Andare in guerra con Citi o JP Morgan non è sicuramente tra le priorità di Trump. Piuttosto ci sono effetti sistemici derivanti dalla collaborazione tra le due parti da approfondire laddove:

  1. più Washington cerca di sanzionare “bad actors” con l’esclusione dal network, meno il sistema SWIFT stesso può essere considerato “neutrale”, più SWIFT diventa (agli occhi dell’opinione pubblica) uno strumento di potere statunitense;
  2. più la Comunità finanziaria internazionale inizia a considerare SWIFT in tal senso, maggiore è la spinta verso la ricerca di un’alternativa o di una soluzione di riforma del sistema bancario-finanziario internazionale. Questo avrebbe come effetto immediato una contrazione della liquidità mondiale in Dollari statunitensi, il rafforzamento della liquidità in valute alternative (Euro, Renmimbi, Rubli), ed il deterioramento delle prospettive future di egemonia del Dollaro.

Conseguenze che nessun serio osservatore può considerare lasciate al caso.

Il 5 novembre scorso, il Presidente iraniano Hassan Rouhani ha definito le sanzioni statunitensi “un atto di guerra economica”. Poche ore dopo il ripristino delle sanzioni, l’esercito iraniano testava nuovi missili come parte del suo sistema di difesa aerea. Il portavoce del portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Bahram Qasemi, ha dichiarato alla tv di Stato che l’Iran ha “la conoscenza e la capacità di gestire gli affari economici del paeseaggiungendo l’impossibilità che gli Stati Uniti “raggiungano i loro obiettivi politici attraverso tali sanzioni”. Il Governatore della Banca Centrale Iraniana, Abdolnaser Hemmati, ha affermato, dalla sua pagina Instagram, che la politica sanzionatoria perseguita dagli Stati Uniti e’ fallimentare nei suoi effetti sul petrolio iraniano.

A fronte di tale escalation, Francia, Germania e Regno Unito hanno risposto con una dichiarazione congiunta nella quale è stato espresso un profondo rammarico per le decisioni sanzionatorie assunte da Washington contro Teheran, citando 12 rapporti consecutivi dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) che mostrano che il JCPOA sta ancora lavorando nel conseguimento del suo obiettivo. La dichiarazione ha espresso anche la volontà dell’Unione Europea nel proteggere la propria attività economica in corso in Iran mediante l’impiego di uno Special Purpose Vehicle (SPV) che possa conferire legittimità formale alla realizzazione di transazioni aventi come oggetto il petrolio iraniano.

In quest’ultimo senso, le posizioni non sono univocamente definite, in particolare a Berlino. Nell’agosto scorso, il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, ha pubblicato un editoriale su Handelsblatt dove ha esaltato il valore strategico di un canale di pagamento indipendente da SWIFT. Di tutt’altra opinione il Cancelliere tedesco Angela Merkel la quale ha scoraggiato ogni alternativa europea all’attività del network SWIFT vista la sua fondamentale importanza nel tracciamento dei canali di finanziamento del terrorismo. Nel frattempo, la Bundesbank, nel settembre scorso, ha già respinto una richiesta iraniana di prelievo di 300 milioni di Euro dalla banca commerciale Europaeische-Iranische Handelsbank con sede ad Amburgo. Il motivo è facilmente intuibile, ossia proteggere le relazioni della Banca Centrale tedesca con istituzioni di “Paesi terzi” (leggasi Stati Uniti nell’ambito del suindicato regime di “sanzioni secondarie”).

Nel settembre scorso, il Dipartimento di Stato americano ha twittato una dichiarazione del Segretario di Stato, Mike Pompeo, espressione del “fastidio e della delusione nel sentire che parti nell’accordo sul nucleare iraniano cerchino di aggirare le sanzioni statunitensi mediante la creazione di uno speciale sistema di pagamento“. Secondo Mike Pompeo, “questa è una delle misure più controproducenti che siano immaginabili per la pace e la sicurezza regionali e globali.

Ad un giornalista della CNN il 2 novembre scorso sullo stesso argomento Mnuchin ha dichiarato: “Non mi aspetto transazioni significative che passino attraverso un SPV ” ma, qualora emergessero dettagli di un SPV, gli Stati Uniti “attuerebbero rimedi aggressivi”.

Come scrivono David Mortlock e Brian O’Toole, entrambi ex funzionari statunitensi che hanno lavorato sulla policy statunitense in materia di sanzioni operativi, l’azione dell’Unione Europea riflette uno sforzo di cercare di minare l’efficacia e la credibilità delle sanzioni comminate da Washington a Teheran, e di conseguenza, l’intera politica estera statunitense.

Ad aggiungere carne al fuoco, venerdì scorso l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, ha anticipato che l’Unione Europea sosterrà l’Iraq in ogni conseguenza negativa dovesse subire a causa delle sanzioni statunitensi all’Iran. Quasi contestualmente, gli Stati Uniti avevano consentito all’Iraq di godere di un’esenzione di 45 giorni dall’ambito del regime sanzionatorio nei confronti di Teheran per le importazioni di gas naturale ed elettricità.

Alcuni osservatori hanno evidenziato come indebolendo l’Iran, le sanzioni statunitensi abbiano aumentato l’influenza russa sui mercati petroliferi globali. Ed infatti Mosca ha espresso il suo pieno supporto a Teheran. In un’intervista al Financial Times, il ministro dell’Energia russo Alexander Novak ha affermato che Mosca non riconosce sanzioni introdotte unilateralmente senza l’avallo dell’ONU, e considera i metodi adottati dagli Stati Uniti come illegali. La Russia continuerà quindi il suo “2014 oil-for-goods program”, in base al quale acquista circa 100.000 barili di petrolio al giorno dall’Iran, utilizzando i proventi nell’interscambio commerciale.

Nel frattempo, da quando gli Stati Uniti si sono ritirati dal JCPOA, le esportazioni di petrolio iraniane sono diminuite di circa un terzo (circa 1 milione di barili al giorno), quasi il doppio di quanto gli esperti americani si aspettavano. Goldman Sachs prevede che le esportazioni di petrolio greggio dell’Iran continueranno a scendere a 1,15 milioni di barili al giorno entro la fine dell’anno, in calo rispetto a circa 2,5 milioni a metà del 2018. Poiché i produttori petroliferi internazionali hanno aumentato la produzione per contrastare l’impennata dei prezzi causata dalle ridotte esportazioni dell’Iran, è improbabile che l’Iran tragga gli introiti programmati.

 

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Fabio Vanorio è un dirigente in aspettativa del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Attualmente vive a New York e si occupa di mercati finanziari, economia internazionale ed economia della sicurezza nazionale. È anche contributor dell’Istituto Italiano di Studi Strategici “Niccolò Machiavelli”.

DISCLAIMER: Tutte le opinioni espresse sono integralmente dell’autore e non riflettono alcuna posizione ufficiale riconducibile né al Governo italiano, né al Ministero degli Affari Esteri e per la Cooperazione Internazionale.

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