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Salvini, Casellati e i “pettegolezzi giornalistici”

I Graffi di Damato

Poi dicono, almeno a Roma, che stanno a zero le chiacchiere, o “i pettegolezzi giornalistici”, come le ha chiamate, stizzita, Maria Elisabetta Alberti Casellati dall’alto della sua postazione di presidente del Senato. E spero di non aver dimenticato qualche pezzo del suo lunghissimo nome.

Il sentore, o l’odore, o la puzza, come preferite, dei rubli del nuovo conio di Vladimir Putin, che hanno preso il posto di quelli svalutatissimi dei tempi sovietici, e di cui è stata attribuita una grandissima fame a Matteo Salvini, o dintorni, ha in poche ore cambiato gli scenari politici italiani. E persino quelli istituzionali.

Innanzitutto, è mutato lo stile, spero in modo permanente e non provvisorio, del leader leghista. Che ha smesso di portare le mani alle labbra per mandare baci, bacini e bacioni in tutte le direzioni possibili e immaginabili, come in una riedizione maschile della Cicciolina della fine degli anni Ottanta.

Più che portare le mani alle labbra, il “capitano” ha cominciato ad allargare le braccia, fuori e dentro le aule parlamentari, per esprimere più umanamente lo sgomento per la stupidità -almeno quella politica- dei suoi avversari. Già, perché occorre appunto stupidità per immaginare che un politico salito così rapidamente in testa alle graduatorie politiche nel suo paese, che ha fatto tornare di fatto il suo Viminale a quello che era una volta, per esempio ai tempi di Alcide De Gasperi, cioè la sede anche della Presidenza del Consiglio e non solo del Ministero dell’Interno, si metta direttamente e indirettamente a cercare soldi sapendo di tutti gli occhi e le orecchie, per non dire altro, della magistratura che ha addosso per le pendenze trasmessegli dai predecessori alla guida del suo partito. E poi avventurandosi personalmente nello scorso autunno a Mosca, o “Moscopoli”, per ripetere il titolo di copertina appena sparato da Repubblica, che è ormai in competizione diretta o esclusiva col Fatto Quotidiano, ritenendo forse irraggiungibile nelle edicole, a questo punto, il Corriere della Sera.

Inoltre, costretto dai fatti o dal copione di quella pur sempre singolarissima maggioranza gialloverde improvvisata l’anno scorso, ad avere un rapporto difficile, misto di competizione e di sospetto, col presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il leader leghista ne ha finalmente raccolto una solidarietà piena, totale, gridata ai quattro venti.

A guardarli insieme nelle ultime foto, Conte e Salvini, dev’essere stato colto da una crisi di gelosia, o simile, il vice presidente grillino Luigi Di Maio, già deluso dal silenzio-assenso opposto dallo stesso Conte all’autopromozione annunciata di recente da Salvini in persona di essere il “vicario” del capo del governo. Non a caso, del resto, gli è già capitato di presiedere qualche seduta del Consiglio dei Ministri, alla faccia di tutti quell’”io qua e io là” che Di Maio, Giggino per gli amici, pronuncia quando parla, a microfoni accesi e spenti, della sua azione pluriministeriale.

Ma soprattutto, per tornare ai “pettegolezzi giornalistici” con i quali la presidente del Senato, seconda carica dello Stato perché preposta costituzionalmente a sostituire il presidente della Repubblica eventualmente impedito, ha liquidato le cose dette e stampate sui traffici o solo sulle tentazioni da rubli di Salvini e/o dintorni, si può ben dire che forse, forse, è nata una nuova stella nel firmamento politico italiano: altro che le cinque inventate e lanciate nello spazio, fra una parolaccia e l’altra, fuori e dentro i teatri dei suoi spettacoli di comico o le piazze dei dei suoi comizi, dall’immaginifico Beppe Grillo. Che adesso -pensate un po’ che cosa gli è capitato nella vita- deve fare o recitare la parte del “garante” di Luigi Di Maio. Del quale, fra una battuta e l’altra, l’ombroso Beppe avverte che solo lui al momento opportuno, o se volesse, potrebbe parlare male, essendo l’unico a conoscerlo davvero bene. Bel tipo di garante, verrebbe voglia di dire.

Se è nata una stella per il coraggio col quale si è messa di traverso nell’aula di Palazzo Madama davanti a chi cercava di ripetere lo spettacolo rissoso svoltosi a Montecitorio, peraltro sugli stessi banchi dove qualche decennio fa sedevano uomini e donne orgogliosi dei rubli che arrivavano al loro partito da un paese potenzialmente in guerra contro l’Italia, facendo parte l’allora Unione Sovietica dello schieramento “avverso” -avrebbe detto e direbbe Walter Vetroni- alla Nato, cui noi invece partecipavamo, e partecipiamo ancora, a tutti gli effetti; se è nata una stella, dicevo, sia pure giovanile ma non giovane, senza volerne tuttavia riferire esplicitamente l’età per il rispetto e il garbo dovuto a una signora, ben arrivata. E lo dico ripetendo il mitico motto dell’Ordine della Giarrettiera: Honi soit qui mal y pense. “Sia vituperato chi ne pensa male”, tradotto in italiano.

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