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Pete Buttigieg è la nuova stella dei Democratici Usa?

Il Taccuino americano di Massimo Martinelli

A Star is born, ma non è Lady Gaga che canta “Shallow”. È nata una stella e si chiama Pete Buttigieg.
È la nuova passione della grande stampa americana. Però andiamo con ordine.

Prima di tutto il nome, veramente terribile; si pronuncia più o meno così: Bootedgedge. Ha 37 anni, è il Sindaco di una città che si chiama South Bend, Indiana, poco più di 100 000 abitanti. La città è la sede dell’Università di Notre Dame, grande, prestigiosa, selettiva e cattolica. Ci insegnano entrambi i genitori.

ui però si laurea magna cum laude all’Università di Harvard e poi prende il master a Oxford con una Rhodes scholarship (è di buon augurio, anche Bill Clinton ha vinto una prestigiosa borsa di studio Rhodes). È un ufficiale della riserva della Marina. Lavora per 2 anni con McKinsey.

Nel 2011 viene eletto Sindaco di South Bend, con il 74% dei voti, ha 29 anni ed è il più giovane Sindaco mai eletto in città con più di 100 000 abitanti. Poco prima della fine del suo primo mandato, nel 2014, è richiamato per un turno di 7 mesi in Afghanistan. È rieletto Sindaco nel 2015, con oltre 80% dei voti.

Un curriculum eccezionale per qualsiasi mestiere, ed infatti riceve riconoscimenti da tutti. Il Washington Post dice che Pete Buttigieg è “il Sindaco più interessante di cui abbiate mai sentito parlare”. Frank Bruni, nel 2016, sul New York Times scrive un articolo dal titolo: “The First Gay President?”. Sì, perché Pete Buttigieg è dichiaratamente gay.

Nel 2018, Guy Trebay, sempre sul Nyt, scriveva questo titolo: “Pete Buttigieg Might Be President Someday. He’s Already Got the Fist Man.” (P.B. potrebbe essere Presidente un giorno. Ha già scelto il Primo Uomo), con una bella foto di PB che esce dalla cattedrale Episcopale di South Bend dopo le sue nozze con Chasten Glezman, un insegnante nel scuole pubbliche dell’Illinois.

Il New York Times è stato il primo grande giornale a suggerire l’idea che PB ha tutte le carte in regola per diventare Presidente. Ed il primo di Aprile, David Brooks, sempre su Nyt, scriveva “Perché amerete Pete Buttigieg”. È un veterano! Parla 7 lingue! Viene dal Midwest! È un millennial!

Ognuno può trovare il suo motivo per amare PB, perché fa ogni cosa nel modo giusto. Una battuta su di lui: “PB dovrebbe decidersi a fare qualcosa di sbagliato, per apparire normale”. È gay ma piace ai conservatori perché propone un’idea di famiglia tradizionale. La sua infatti lo è l’unica differenza è che la sua sposa è un marito e non una moglie. È un millennial che non mostra rabbia per le istituzioni anzi ci ha sempre lavorato. Il grande stabilimento della Studebaker di South Bend ha chiuso molto prima che nascesse, però è cresciuto vivendo appieno il clima di incertezza e di povertà della deindustrializzazione.

Si potrebbe continuare.

Per scrivere queste cose ho guardato tutto quello che ho trovato di PB su YouTube e sui vari media. Parla molto bene, è sicuramente un progressista, ma senza rabbia, senza l’aggressività di una Elisabeth Warren o di Kamala Harris, non è fumoso come Bernie Sanders o ambiguo come Peto O’Rourke.
Parla e non dà l’impressione di far la guerra al mondo o almeno, alla metà di mondo che è Repubblicana.

C’è aspettativa e fiducia: in meno di un mese e mezzo ha raccolto più di 7 milioni di dollari di contributi elettorali!

Un candidato ideale……sulla carta. Cosa ne penseranno gli elettori?

Forse il punto debole di PB è che ha un po’ di tutto ma niente del tutto.

D’altro canto nella terra di PB scrittori come Sinclair Lewis o registi come Frank Capra ambientarono i loro racconti della middle class americana. PB probabilmente rappresenta la middleclass di oggi, è educato, istruito, privo di atteggiamenti bellicosi.

È lontanissimo da Trump e per questo piace a tanti Democratici.

Ma è bianco che più bianco non si può e viene da uno degli Stati più bianchi d’America. Andrà bene ai neri ed ai latinos Californiani? O a quelli di New York?

I primi scricchiolii vengono propio da qui. In pieno BLACK LIVES MATTER, nel 2015, nel discorso annuale sullo “stato della città “ disse, parlando delle tensioni razziali: “All lives matter”.

Era la frase usata dai negazionisti di una specificità della violenza istituzionale contro i neri.

In questi giorni se ne è scusato, ha detto che era solo una banalità detta per essere inclusivo. Come si dice da noi, forse “la pezza è peggio del buco”.

Vedremo.

Se veramente c’è una New Democratic Majority, nonostante il New York Times è senza speranza.

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