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Merkel Macron

Perché Brexit e Aquisgrana cambieranno il volto Ue e Occidente

L'analisi di Federico Punzi

Brexit e Aquisgrana sono due eventi che sommati cambieranno per sempre il volto dell’Unione europea e dell’Occidente: un Atlantico più largo, divisioni geopolitiche e culturali più marcate tra Anglosfera ed Europa centrale. Evidentemente intrecciati, sarebbe riduttivo concludere che l’uno sia causa dell’altro o viceversa.

Non si tratta di un fulmine a ciel sereno, ma di un processo avviato almeno dalla fine della Guerra Fredda. Forse accelerato dalla Brexit e dalla presidenza Trump, ma certamente non determinato da tali eventi, non più di quanto essi non siano la reazione al prendere forma di un’Europa franco-tedesca, o meglio germano-francese.

Già oggi dal punto di vista economico e istituzionale l’Unione europea appare come il frutto di una “spartizione” tra tedeschi e francesi. Ai primi la governance, le regole economiche, ai secondi i ministeri, la burocrazia e, fuori gli inglesi, un ruolo guida nella difesa.

L’Ue somiglia sempre più allo Stato francese replicato in scala: centralista e dirigista, napoleonico. Forse, un misterioso intuito collettivo ha guidato gli elettori britannici nella loro decisione di uscire dall’Ue proprio ora: come si poteva immaginare che il Regno Unito potesse accettare di venire ridotto a mera provincia periferica di una Ue sempre più caratterizzata dal centralismo franco-tedesco?

Molti lamentano rispetto alle firme di Aquisgrana l’isolamento dell’Italia, di cui si attribuisce la responsabilità al governo gialloverde, colpevole di guardare altrove invece che a Berlino e Parigi. Ma nonostante un ventennio di inchini di molti dei precedenti governi nelle due capitali, a quel tavolo noi non siamo mai stati in grado di sederci, non alla pari, e ammesso che fossimo mai stati invitati, è almeno dal 2011 che ne siamo esclusi. E negli ultimi anni, non mesi, Parigi e Berlino hanno fatto di tutto per farcelo capire.

Piuttosto, ci sarebbe da chiedersi se non avessimo impiegato meglio le nostre risorse lavorando a rafforzare i nostri possibili contrappesi, sia interni (Uk, Paesi dell’est) che extra-Ue (Usa, Russia, Giappone). Berlusconi, a tratti, ci ha provato. Non sembra che Lega e M5S abbiano sufficienti consapevolezza e profondità strategica, impegnati come sono in schermaglie di corto respiro.

Bisogna anche fare i conti con la realtà. In effetti, il livello di integrazione – economica, finanziaria, sociale, culturale – tra Francia e Germania (con Belgio e Lussemburgo) non si riscontra tra altri stati membri. È, in un certo senso, l’unico caso in cui l’Europa sembra cosa fatta, un fatto compiuto a cui manca solo il suggello dell’unione politica.

È innegabile infatti che lungo quel confine, da settant’anni non più bagnato dal sangue, si respira un vero sentimento europeo, alimentato da legami storici, dal passaggio di merci, aziende e persone, da una vera integrazione economica, finanziaria, di interessi, come probabilmente lungo nessun altro confine tra stati europei. Sotto questi punti di vista, il centro-nord Italia avrebbe potuto far parte di tale processo di integrazione (come fece già parte del Sacro Romano Impero), ma è anch’esso uscito da questa partita con l’unità d’Italia.

Va detto però che il Vecchio Continente e il Mediterraneo non sono così centrali come mille o cinquecento anni fa. Un’Europa neocarolingia che coltivasse una sorta di equidistanza tra Washington da una parte e Pechino e Mosca dall’altra, che si illudesse di poter “fare da sola”, sganciandosi dal legame transatlantico, finirebbe per rivelarsi velleitaria. Un pericolo serio, se invece dovesse rappresentare un completamento dell’“Heartland” euroasiatico facendosi attrarre nell’orbita di Cina e Russia. Di sicuro è tornata la questione tedesca, a cui abbiamo dedicato un capitolo in “Brexit. La Sfida” (2017). La prospettiva concreta di una Germania egemone in Europa preoccupa gli anglo-americani, così come il fantasma di un nuovo patto Ribbentrop-Molotov, l’assenza di un confine naturale tra Mosca e Berlino, tormenta le capitali dei Paesi dell’est.

(Tratto da Atlantico Quotidiano)

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