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Trenta

Leonardo-Finmeccanica, Fincantieri, Mbda e non solo, ecco che cosa c’è (e cosa non c’è) del Documento programmatico della Difesa

L'intervento di Arcangelo Milito, analista strategico e di intelligence, sul Documento programmatico pluriennale (Dpp) curato dal ministero della Difesa

 

Il ministero della Difesa pubblica con cadenza annuale il Documento programmatico pluriennale (Dpp), che delinea le modalità per ripartire le risorse nel settore della difesa. Il Dpp fornisce pertanto le indicazioni su un arco di tempo triennale, e ciò rende la sua lettura particolarmente interessante grazie alla possibilità di identificare delle tendenze. L’ultimo Dpp riguarda il triennio 2019-2021 ed è stato reso noto negli ultimi giorni.

In queste note si ritiene essenziale non solo confrontarsi con i bilanci a disposizione, i vari capitoli di spesa dai numeri evidenti e tendenze collegate, ma anche prefigurare scenari geostrategici, dalle implicazioni politiche complesse e cruciali anche per la stessa sopravvivenza delle realtà industriali italiane connesse con la difesa. Alcuni sviluppi sono già in atto, altri sono potenzialmente preoccupanti.

Come già ben illustrato da Start nell’articolo intitolato ‘Tutti gli investimenti del governo nella Difesa. Ecco il documento programmatico uscito tempestivamente poco dopo la diffusione, “la dotazione complessiva per il 2019 ammonta a 21.432,2M€, pari all’1,21% del PIL previsionale (1.777.899 M€). Le assegnazioni per il 2020 e per il 2021, invece, ammontano rispettivamente a 21.876,6 M€ e 21.957,5 M€ e riferite ai corrispondenti valori di PIL previsionale di 1.823.329 M€ e 1.868.945 M€, denotando un rapporto pari a 1,20% nel 2020 e 1,17% nel 2021”.

Le dotazioni della Difesa derivano dalla Legge di Bilancio 2019, che ha imposto una serie di tagli di spesa e reso evidenti le tendenze al ribasso, con ristrettezze che si ripercuotono a vari livelli. Al di là dei meri numeri del DDP, la partita è più ampia e complessa. Anche se il DPP fosse l’unica cornice all’interno della quale ricomprendere i finanziamenti per la Difesa, la partita vera si giocherebbe effettivamente anno per anno all’interno degli Uffici di programmazione finanziaria dello Stato Maggiore della Difesa, dove avviene la fusione di tutti i diversi canali di finanziamento per poi effettuare la distribuzione effettiva tra i vari programmi in esecuzione.

Andiamo con ordine:

a) Alcuni capitoli di spesa si caratterizzano per l’esiguità dei fondi a disposizione, altri sono stati salvaguardati o aumentati: si va dalle missioni militari all’estero all’operazione “Strade sicure”, dall’acquisizione del caccia multi-ruolo F-35 alle navi fregate FREMM, alla ciber-security e altro.

b) Il Dpp 2019-2021 fa ampio ricorso alla “norma di linguaggio” della “modulazione orizzontale”, cioè dello spostamento temporale in ritardo dei finanziamenti per far quadrare il bilancio del MEF: tale pratica di ritardi affligge per esempio la Marina Militare con il programma relativo a navi fregate FREMM (Fregate Europee Multi Missione), l’ammodernamento e approntamento delle navi ospitanti i primi caccia F-35B, ecc. In breve, il ruolo di marcia del “Programma Navale” (conosciuto anche come “Legge Navale” dal 2014) non è per nulla rispettato, a partire dalle incertezze su cosa portare avanti e dove (stabilimenti Fincantieri di Castellammare di Stabia? Muggiano? Ecc.) e dagli esigui fondi, ormai ridotti a €5,4 miliardi circa.

c) Il bilancio delle missioni militari all’estero torna a calare (€997,2 milioni nel 2019) dopo un picco di €1.497 milioni fra 2008 e 2011. Il valore strategico di tali missioni è ancora tutto da definire ai fini di bilancio, difesa e politica estera. Da tempo il Parlamento si limita a blandamente discutere e infine approvare tale programma. Tuttavia, inspiegabilmente, non c’è uno straccio di rapporto serio dei costi/benefici, nessuno si azzarda a fare un ‘tagliando’ a queste missioni all’estero, anche se esse assorbono risorse rilevanti e che risultano sempre carenti.

d) Una somma di €121 milioni è destinata all’Operazione “Strade sicure” per l’anno 2019.

e) Programma “Camm-Er”, sistema di difesa aerea (Common Anti-air Modular Missile Extended Range) di MBDA Italia ed MBDA UK. Il Camm-Er era stato avviato dal precedente Governo e ritenuto necessario per sostituire gli attuali sistemi per la difesa aerea a corto e medio raggio di Esercito (Skyguard), Aeronautica (Spada) e Marina (Albatros), basati sul missile Aspide ormai obsoleti dopo 40 anni di servizio. A dispetto delle numerose discussioni in Parlamento (specialmente Comm. Difesa del Senato), riguardanti anche il programma MALE (Medium Altitude Long-Endurance Remotely Piloted Aircraft, MALE RPAS – velivolo a pilotaggio remoto per operazioni a quote intermedie e a lungo raggio, in collaborazione fra Airbus Defence, Dassault Aviation e Divisione Velivoli di Leonardo), la sensazione netta è che non vi sia una chiara opzione strategica, ma si dipenda dai favori e umori dei possibili acquirenti esteri, dall’export. Particolare non banale, il sistema alla base di Camm-Er, realizzato congiuntamente da noi italiani e dai britannici, era valutato anche per l’imbarco a bordo delle nuove unità navali tipo Pattugliatori Polivalenti d’Altura (PPA) prevista dalla già citata “Legge Navale”. Questo è un caso di studio per approfondire la dipendenza dall’export (e dalle sue idiosincrasie) come canale di finanziamento supplementare, spesso fondamentale e fintanto condizionante degli investimenti interni. A oggi il MISE (Min. Di Maio) ha frapposto numerose obiezioni all’entità complessiva del programma Camm-Er (€545 milioni fra 2019 e 2030).

f) Pari confusione e stallo riguarda invece programmi strategici di lungo periodo su cui invece si dovrebbero avere idee chiare, decise:

  1. Programma caccia multiruolo “Tempest”, primo aereo da combattimento stealth europeo, in partenariato fra Leonardo e BAES (British Aerospace Systems), che dovrebbe sostituire tutti i Tornado esistenti e quindi il già collaudato Eurofighter “Typhoon” entro il 2035, integrandosi con l’F-35. Gli investimenti britannici nel “Tempest” dovrebbero arrivare a GPB 2,5 miliardi entro il 2025 (equivalenti a €2.785 miliardi).Come hanno giustamente notato Paolo Crippa e Chiara Rossi proprio su StartMag tra fine marzo e inizio aprile 2019, l’indecisione da parte italiana mette a rischio anche i 7.000 posti di lavoro di Leonardo (ex Finmeccanica) in Gran Bretagna e le notevoli ricadute del “Tempest” in ambito tecnologico e strategico.
  2. Programma di cyber-security: il Dpp 2019-2021 destina €1 (uno!) milione nel 2019. Giusto per capire, il progetto di “Loi de finances 2019” francese nel gennaio 2018 destinava ben €4.857 miliardi al settore Ricerca e sviluppo (R&D), di cui ben €1.431 miliardi alla ricerca specifica sulla cyber-sicurezza. La “Loi de programmation militaire 2019-2025” prevede un bilancio di almeno €78 miliardi e ben 6.000 addetti effettivi entro il 2025, con complessi impieghi in missioni aeronavali (compresi droni), intelligence, anti-terrorismo, ecc. Notasi: in Francia e all’estero. Sempre per fare un altro paragone, in Gran Bretagna il National Cyber Security Programme ha un bilancio di GBP 1,3 miliardi (equivalenti a € 1.448.200.000).In Spagna il Governo ha investito €24,3 milioni per l’INCIBE (Instituto Nacional de la Ciberseguridad) e destinato €161 milioni al CNI (Centro Nacional de Inteligencia). Comunque sempre Il DPP precisa che grazie al Fondo per investimenti e sviluppo infrastrutturale del Paese (art. 1 co. 140) è già finanziato il seguente programma, per il periodo 2019-2032: ‐ cyber security (per 88,8 M€): ovvero €6.830 milioni/anno per 13 anni (cfr. Cap. 3.3.2.3 – SETTORE INVESTIMENTO, p.128).

g) Che intende fare l’Italia nel Mediterraneo centrale e Nordafrica, con particolare attenzione ai suoi interessi strategici ed energetici in Libia? Per esempio, parte delle risorse impiegate nelle missioni internazionali potrebbero (o dovrebbero) essere dirottate per elaborare una strategia credibile, efficace.

h) Vero significato del “dual use”. Bisogna stabilire se trattasi di mera utopia ideologica (vincolare lo strumento militare a una logica “pacifistica”, come pare avere finora inteso il Min. Elisabetta Trenta) oppure di strategia intenzionale per innescare processi virtuosi di sviluppo imprenditoriale “à la israelienne”, per capirci. In Israele il MEIMAD è un programma in joint venture fra Innovation Authority, Ministero delle Finanze e Ministero della Difesa Defense, espressamente finalizzato a promuovere il settore R&D, ricerca e sviluppo, in ambito civile e militare, con l’obiettivo ultimo sostenere lo sviluppo di soluzioni innovative per la difesa e loro eventuale diffusione nei mercati commerciali.

Bisognerebbe riflettere attentamente sulle potenzialità o difficoltà poste dal “dual use” civile/militare e la sua cornice giuridica e tecnologica.

Infine, anche l’Unione Europea ha dedicato attenzione al tema, come si evince dall’impegno della Commissione sui progetti e strategie “dual-use”. Sarebbe interessante effettuare un bilancio dei contributi italiani.

Oppure… Tutto quanto finora detto e discusso è niente altro che l’ombra proiettata sulla parete della caverna, mentre in realtà il gioco è rimasto lo stesso: i due gruppi industriali del comparto (Fincantieri e Leonardo-Finmeccanica) che vogliono essere l’interfaccia unica con il “cliente nazionale”, cioè controllarne i finanziamenti (cosa ci si fa e chi far sedere al banchetto). Dobbiamo ancora appurare se avallare o no lo strazio delle aziende indipendenti intermedie (es. ELT, Vitrociset, Piaggio) che si barcamenano tra mance, acquisizioni salvifiche, iniezioni di soldi per programmi in profondo rosso, A ciò si aggiungano talune ‘ribellioni’ del resto delle PMI ma alla fine zittite con le briciole lasciate dai gruppi egemoni.

E se poi tutto questo finisse per essere immolato sull’altare dell’Ital-Exit sostenuta dal Dio Verde d’Oltreoceano? Per capirci: come mai noi Italiani siamo bravissimi a costruire navi e blindati ma poi i carri ce li danno i carolingi e gli aerei gli americani? C’è qualcosa di serio che non torna.

Non dimentichiamoci delle travagliate vicende patite da Fincantieri con i francesi di Naval Group fino a pochi mesi fa, il cui epilogo è rappresentato dall’accordo firmato a metà giugno 2019.

Altro scenario importante investe Leonardo (ex Finmeccanica). L’azienda ora consta di tre Divisioni: Velivoli, Electronics e Cyber-IT. Tra analisti e osservatori circola uno scenario (“rischio spezzatino”) che non trova conferme, comunque.

Lo spezzatino prefigurerebbe – secondo alcune simulazioni di analisti – la Divisione Velivoli affidata per logica ad Airbus, così i carolingi mollano la presa sul debito; la Divisione Electronics andrebbe a finire in Gran Bretagna che già ne possiede metà. Infine, la Divisione Cyber e IT rimarrà in Italia per ovvie ragioni di sicurezza interna (ma  da seguire bene, viste le vicissitudini di Tim-Sparkle, per un po’ in mano all’israeliano Amos Genish e per un altro ai francesi di Vivendi). Scenari di analisti e osservatori del settore, come detto; scenari, peraltro, da scongiurare.

Qualcuno potrebbe ripescare il tradizionale rapporto di fedeltà dell’Italia verso gli Usa. Si tenga conto che a Trump non servono aziende, serve che gli si comprino i prodotti, altrimenti sono dazi a sfinimento.

Conclusione: la partita del DPP è più complessa di quello che sembra leggendo i documenti e i commenti della stampa. Gli scenari non sono univoci e impongono la definizione di vari scenari possibili, di varie risposte conseguenti.

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