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Germania Francia

La Germania perde colpi. Le stime tedesche sull’industria in recessione e i consigli amerikani pro spesa pubblica

I cinque principali istituti di ricerca tedeschi hanno rivisto significativamente al ribasso le loro previsioni economiche per la Germania perché l’industria è in recessione. Il governo tedesco seguirà ora i consigli di Draghi e Goldman Sachs? L’approfondimento di Michelangelo Colombo I cinque principali istituti di ricerca tedeschi (Ifo, Iwh, Diw, IfW e Rwi) hanno rivisto…

I cinque principali istituti di ricerca tedeschi (Ifo, Iwh, Diw, IfW e Rwi) hanno rivisto significativamente al ribasso le loro previsioni economiche per la Germania. Mentre in primavera si aspettavano ancora che il prodotto interno lordo crescesse dello 0,8% nel 2019, ora stimano che la crescita sia solo dello 0,5 per cento.

Le ragioni della scarsa performance sono la caduta della domanda mondiale di beni, visto che l’economia tedesca è specializzata nell’export, nonché l’incertezza politica e i cambiamenti strutturali nell’industria automobilistica. Al contrario, la politica monetaria sta sostenendo l’espansione macroeconomica.

Per il prossimo anno, i ricercatori economici hanno ridotto le loro previsioni di crescita del pil all’1,1% dall’1,8% stimato in primavera. “L’industria tedesca è in fase di recessione e questo ha un impatto anche sui fornitori di servizi per le imprese”, afferma Claus Michelsen, capo del dipartimento di previsione e politica economica al DIW di Berlino.

“Il fatto che l’economia si stia espandendo e’ dovuto principalmente al costante stato d’animo positivo delle famiglie, sostenuto da buoni accordi salariali, agevolazioni fiscali e dall’aumento dei trasferimenti pubblici”. Inoltre, aggiunge Michelsen, “I rischi di un’escalation della guerra commerciale sono molto alti. Ma anche una Brexit disordinata potrebbe avere dei costi”.

Si susseguivano da tempo gli auspici e i suggerimenti – anche da parte della Bce di Mario Draghi – alla Germania per invertire la rotta in politica economica, come sollecitato anche dalla Confindustria tedesca. Ora è anche la banca d’affari Goldman Sachs a dirlo.

In una nota di otto pagine la banca americana ha evidenziato le tre ragioni principali per cui Berlino dovrebbe perdere l’ossessione del pareggio di bilancio e introdurre politiche espansive, ha scritto Mf/Milano Finanza: “La conclusione della banca Usa è che alla Germania servirebbe un piano fiscale rapido (per anticipare una profonda recessione), mirato (su investimenti e riduzioni di tasse) e temporaneo (in modo da evitare anche aumenti dei tassi a lungo termine)”.

Goldman Sachs ha analizzato lo spazio fiscale a disposizione del Paese. Il piano sul clima peserà solo per lo 0,4% del pil nel 2020 e per lo 0,2% l’anno successivo. «Questo sostegno fiscale sarà insufficiente per riportare vicino al potenziale la crescita tedesca, per non parlare di quella dell’area euro», ha rilevato la banca. Secondo i calcoli di Goldman, la Germania potrebbe investire un altro 0,2% senza neppure andare in deficit e un ulteriore 0,4% per rispettare anche la regola costituzionale del freno al debito, che consente un deficit strutturale fino allo 0,35% del pil. Il limite all’indebitamento può essere superato con una maggioranza semplice in Parlamento: Berlino potrebbe spendere ulteriori 50 miliardi in caso di crisi, portando lo stimolo nel 2020 attorno al 2% del pil. Peraltro anche Olanda, Portogallo e Austria avrebbero spazio per stimoli all’economia. Il secondo punto evidenziato da Goldman è che le politiche fiscali sono più efficaci quando i tassi sono negativi, in Paesi a basso debito e durante le fasi di rallentamento economico. Il terzo aspetto, infine, riguarda gli altri Stati dell’Eurozona: lo stimolo tedesco darebbe «grande sostegno ai Paesi che ne hanno più bisogno, in particolare all’Italia».

Anche Draghi, come accennato prima, non ha esitato a incalzare il governo tedesco, come ha fatto lo scorso 13 settembre. L’helicopter money? La Bce non ne ha mai discusso, ma «dare soldi ai cittadini è un compito della politica fiscale non della politica monetaria». E ancora. L’inflazione sarebbe già salita e «salirebbe più velocemente» se la Bce fosse accompagnata da adeguate politiche fiscali. Il presidente Mario Draghi, facendosi portavoce di una frustrazione condivisa da tutti i membri del Consiglio direttivo, mai come ieri ha sollecitato esplicitamente e a più riprese i governi europei che possono permetterselo – e dunque per prima la Germania – a fare di più per sostenere la crescita. Così scriveva quel giorno il Sole 24 Ore.

«La probabilità di una recessione nell’area dell’euro è ancora piccola – ha detto Draghi in risposta ai giornalisti – ma è salita. E per la Germania, sono due i think tank tedeschi a prevederne ora la recessione».

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