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Fregate

Chi vuole azzoppare Fincantieri e Leonardo-Finmeccanica in Egitto? Il commento di Gaiani

Il possibile accordo Italia-Egitto sulle forniture militari analizzato da Gianandrea Gaiani, direttore della rivista Analisi Difesa

Le polemiche esplose dopo che è emersa la volontà dell’Egitto di rivolgersi all’industria italiana della Difesa per acquisire due fregate Fremm mostrano ancora una volta i limiti di una Nazione ancora incapace di gestire in modo razionale il suo ruolo di potenza regionale e industriale.

Il Cairo è interessato a rilevare al più presto per 1,2 miliardi di euro la nona e la decima Fremm realizzate da Fincantieri per la Marina Militare Italiana, le fregate multiruolo Spartaco Schergat ed Emilio Bianchi (nelle foto sotto al momento del varo). Unità che a quanto pare la Marina Egiziana vorrebbe presentare già il 25 aprile in occasione della festa nazionale e che verrebbero rimpiazzate nei ranghi della Marina Italiana da navi di nuova costruzione.

Non ci sono ancora notizie ufficiali ma già emergono tra le forze che sostengono il governo Conte 2, Partito Democratico in testa, significative critiche legate principalmente al “caso Regeni” e alla crisi libica che vede l’Egitto schierato saldamente al fianco del generale Khalifa Haftar.

“Il governo italiano sta facendo gli approfondimenti tecnici per decidere se vendere all’ Egitto due fregate militari della nostra Marina. Oltre agli approfondimenti tecnici, servono però valutazioni politiche”, ha affermato Lia Quartapelle, capogruppo PD in commissione Esteri alla Camera: “Le fregate come ogni altro assetto militare, possono essere vendute solo dopo esplicita autorizzazione della Farnesina secondo quanto previsto dalla legge 185/90. Il governo non può non ponderare bene una decisione così delicata. Non è una semplice decisione di diplomazia economica. Le considerazioni politiche da tenere in conto sono due. Abbiamo forti divergenze strategiche con l’Egitto rispetto alla Libia, visto che è il principale sostenitore del generale Haftar, che sta attaccando il governo internazionalmente riconosciuto di Tripoli, che l’Italia sostiene. Abbiamo appena iniziato le attività della commissione di inchiesta per la morte di Giulio Regeni. Finché le autorità egiziane non collaboreranno per arrivare a un accertamento processuale regolare su chi ha rapito, torturato e ucciso Giulio e sui mandanti, non si può considerare l’Egitto come un paese con cui intrattenere normali relazioni tra alleati”.

La questione appare però più complessa. L’Italia ha ottime relazioni con l’Egitto, rafforzate negli ultimi anni anche dal contributo significativo dell’Eni nella scoperta di giganteschi giacimenti di gas di fronte alle coste mediterranee egiziane mentre nella crisi libica il Cairo, proprio perchè sostiene Haftar, è un nostro interlocutore non certo un “nemico”.

Inoltre, circa la possibilità di vendere sistemi d’arma ed equipaggiamenti all’Egitto, non esistono restrizioni di legge determinate da conflitti in atto o dall’esistenza di sanzioni imposte dalle Nazioni Unite.

Pregiudicare le commesse industriali, anche di tipo militare, indurrebbe l’Egitto a rivolgersi ad altri fornitori non certo a rinunciare al potenziamento delle sue forze armate né a collaborare in modo più incisivo con gli inquirenti italiani che indagano sull’omicidio di Giulio Regeni, né a gestire in modo più morbido la dissidenza interna.

Da tempo circolano voci circa l’interesse del Cairo a sviluppare intese profonde con l’Italia in ambito militare e richieste in tal senso erano emerse già ai tempi dell’ultimo governo Berlusconi.

Nel settore navale l’Egitto non sarebbe stato molto soddisfatto delle acquisizioni di navi francesi (una fregata Fremm, le due portaelicotteri tipo Mistral destinate originariamente alla Russia e 4 corvette tipo Gowind) a quanto pare soprattutto a causa della scarsa disponibilità a cedere agli egiziani la piena gestione dei sistemi imbarcati.

Non è un caso che la notizia della volontà egiziana di acquistare le due fregate italiane abbia scatenato polemiche in Francia trapelate sulla stampa d’Oltralpe con il quotidiano La Tribune che attribuisce la crisi dei rapporti con l’Egitto alle pressioni esercitate da Emmanuel Macron sul presidente Abdel Fattah al-Sisi circa il rispetto dei diritti umani.

A Parigi avevano mal digerito la mega commessa del Qatar che ha acquistato in Italia una flotta di sette unità di superficie realizzate da Fincantieri e sembra ora volersi dotare di sottomarini “made in Italy” ma il successo italiano in Egitto sembra venga vissuto negli ambienti politici e industriali francesi come una débacle.

Anche perché le due Fremm potrebbero costituire solo l’inizio di un ampio programma di acquisizioni egiziane di prodotti della Difesa italiani se dovessero concretizzarsi anche solo una parte delle potenziali commesse di cui si accenna in questi giorni in diversi ambienti e che includerebbero l’acquisizione di altre 4 FREMM e di una ventina di pattugliatori da produrre anche in cantieri egiziani.

Da tempo circolano inoltre voci di un interesse egiziano ad acquisire 24 cacciabombardieri Eurofighter Typhoon, altrettanti addestratori M-346 e almeno un satellite prodotti da Leonardo.

Indiscrezioni tutte da confermare certo, ma che verrebbero rafforzate dalla messa a punto di un vero e proprio programma di cooperazione bilaterale. Più concreta sembra essere invece la commessa per 20 elicotteri AW149 (più 10 in opzione) che sarebbero stati ordinati la primavera scorsa dalla Marina Egiziana che li vorrebbe impiegare anche a bordo delle due portaelicotteri Mistral per compiti di trasporto e ricerca e soccorso.

Una commessa quest’ultima mai confermata in Italia, di cui diverse fonti hanno parlato ma che non sembra essere stata gradita dalla Francia che puntava a vendere al Cairo gli elicotteri NH-90.

L’Egitto, principale potenza militare del mondo arabo e dell’Africa, ha diversificato le sue forniture militari comprando aerei da combattimento in Russia, Francia e Stati Uniti e le principali unità navali in Francia, Germania e Stati Uniti. Le sue acquisizioni militari vengono finanziate in parte da Washington (solo per i prodotti “made in USA”) e soprattutto dall’Arabia Saudita.

Al di là del valore dei contratti, potenzialmente pari a diversi miliardi di euro, per l’Italia e la sua industria le commesse egiziane rivestirebbero un grande rilievo industriale e geopolitico.

I successi in Qatar ed Egitto, due paesi arabi rivali, sottolineano la capacità di Roma di porsi come interlocutore equilibrato, credibile e affidabile in un’area delicata in cui la spesa militare è tra le più alte del mondo e, con essa, anche la competizione tra i principali paesi produttori di equipaggiamenti per la Difesa.

Inoltre, proprio nel momento in cui l’attivismo della Turchia in Libia e gli errori del nostro governo rischiano di farci perdere l’influenza su Tripoli, sarebbe assurdo non cogliere l’occasione per rinsaldare i rapporti con l’Egitto, che è da sempre un partner fondamentale nella lotta al terrorismo islamico e riveste un ruolo strategico ed energetico nel Mediterraneo Orientale (in cui sono in gioco anche nostri interessi come dimostra il recente invio della fregata Fasan a Cipro) nell’ambito di un asse con Cipro, Israele e Grecia.

Inutile farsi illusioni, non sarà rinunciando a commesse militari che rafforzeremo i diritti umani in Africa o Medio Oriente: ci limiteremmo solo a lasciare ai nostri concorrenti commesse e contratti compromettendo posti di lavoro, capacità di penetrazione, influenza e l’esistenza stessa della nostra industria.  Commesse come quelle qatarine ed egiziane rilanciano l’industria italiana scongiurando crisi finanziarie e i conseguenti rischi di declino e acquisizione da parte dei più grandi gruppi europei, cioè tedeschi e francesi.

Anche per questa ragione deve essere messo in conto un forte attivismo di Parigi per “sabotare” le nostre commesse al Cairo anche sollevando la questione “morale” sui media e negli ambenti politici. Specie quelli governativi che hanno già mostrato molta accondiscendenza nei confronti della Francia, ad esempio con l’adesione (senza neppure un dibattito nelle commissioni parlamentari Esteri e Difesa) alla European Intervention Initiative, la forza d’intervento europea varata e guidata da Parigi ma posta al di fuori delle intese previste dalla Ue, oppure con l’adesione ancora più recente alla forza navale europea (ma anche in questo caso non UE) a Hormuz, sempre guidata da Parigi .

(Estratto di un articolo pubblicato su Analisi Difesa; qui la versione integrale)

 

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