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Io, democrat, dico: il Pd si prepari bene alle elezioni

Al netto di quanto prevede la costituzione e le prerogative del capo dello Stato, al Partito democratico serve un’azione politica di preparazione alle elezioni. L'intervento di Gianni Bessi, consigliere Pd nella regione Emilia-Romagna

La fase politica che stiamo vivendo, culminata ma non terminata con la crisi di governo, è una cartina di tornasole delle indecisioni che affliggono il sistema Italia e della sua confusione morale, che non può essere ricomposta solo con un’azione parlamentare o la diretta Facebook di un qualsiasi leader.

La questione politica che mi interessa, dal punto di vista del Partito democratico, è che noi che ne facciamo parte dobbiamo capire questo nuovo ‘tempo’ politico in cui le persone non sono affatto distanti, come certa propaganda intende farci credere, e intervenire sui temi veramente sentiti. L’ho compreso in una notte calda di mezza estate, a una direzione provinciale del partito che ha visto una folta partecipazione di cittadini: un centinaio di persone stipate in un’aula dove il clima era reso opportunamente sopportabile dall’aria condizionata. Il confronto, che potrei riassumere con una frase – “elezioni o nuovo governo?” – è stato appassionato. Il segretario provinciale ha analizzato la situazione sotto ogni aspetto in una relazione puntuale e ricca di spunti, mentre un membro dell’organizzazione centrale ha ricapitolato le fasi della crisi. Poi ha presentato il programma della festa nazionale dell’Unità, che anche quest’anno sarà ospitata a Ravenna.

Ma la cosa più importante è stata la partecipazione di chi ha sfidato l’afa per andare a un incontro politico: si sono susseguiti tanti interventi che hanno portato a un dibattito acceso come da tempo non si sentiva. Dopo il gran finale con un intervento di sintesi di un rappresentante della direzione nazionale, i partecipanti alla direzione prima di disperdersi nella notte si sono riuniti in capannelli per una coda alla discussione su cosa succederà, usando le parole e i nomi del momento: Renzi, Zingaretti, nuove elezioni, coalizione giallorossa ecc…

Questa crisi ha avuto un effetto positivo: ha riportato alla luce sentimenti, paure, speranze, visioni ma soprattutto la voglia di parlare di politica per affrontare contenuti e non apparenze. Perché la politica è battaglia, sentimento… o, citando Rino Formica, la politica è sangue e merda.

Certo, a distaccarsi per un momento, con la capacità di guardare a ciò che succede su scala planetaria, tutti questi temi nostrani appaiono parziali. La geopolitica mondiale in questo momento sta vivendo fenomeni più elaborati e influenti. Uno su tutti la ridefinizione dell’anglosfera che non ha più come cardini l’oriente e l’occidente ma il settentrione e il meridione. Nella vecchia “definizione”, al tempo della guerra fredda, l’Italia era parte del limes orientale mentre oggi è stata retrocessa a quello meridionale. E in questo spostamento non ci abbiamo guadagnato, anzi.

Stiamo vivendo il tempo della Brexit e delle proteste di Hong Kong, ma anche della proposta provocatoria di Trump di acquistare la Groenlandia. Hong Kong, capitale della finanza angloasiatica, si sta mobilitando per non dovere sottostare a una legge che ne limiterebbe l’autonomia giuridica, mentre nel ricco artico la corsa alle risorse energetiche vede affrontarsi l’Anglosfera e i Sinorussi. Nel processo di destabilizzazione del sud, di cui noi come accennavo facciamo parte, l’Unione europea a doppia trazione franco-tedesca ha ruoli e compiti assegnati ad Aquisgrana con la nuova stretta di mano tra Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Un’immagine, e qui la forma diventa davvero sostanza, che non ha però l’intensità della camminata mano nella mano di Mitterrand e Kohl a Verdun. La Germania ha scelto di essere il cuore dell’Europa e il ponte con l’euroasia seguendo una vocazione a realizzare la GeRussia: il rapporto con la Russia è sostenuto da un progetto economico che viene verificato ogni tre mesi in vertici tra Angela Merkel e Vladimir Putin. Dal canto suo la Francia ha scelto, come da tradizione, una strategia autonoma, che la porta a intervenire economicamente in Africa e medio oriente.

Stanno succedendo molte cose fuori dalla crisi politica italiana. Una crisi che comunque almeno ha scatenato sentimenti, paure, speranze, visioni e l’opportunità di ridare fiato alla Politica, dove la maiuscola è necessaria. La politica italiana non deve solo superare lo scoglio “governo o elezioni”, ma ha il dovere di cominciare a pensare in grande perché il Paese non rimanga un protagonista marginale.

E qui che il Partito democratico è chiamato a fare un passo coraggioso: deve mettere al primo punto del programma il tema dell’immigrazione, che è legato alla nuova collocazione dell’Italia ai confini meridionali del mondo, a contatto con le terre che “producono immigrazione”. Le classi dirigenti debbono smettere di credere che sia prevalente l’effimero quotidiano, lo slogan svuotato di senso ma che conquista l’elettore. Non è il modo di fare politica di medio o lungo periodo, quella coi polmoni e i piedi allenati per andare lontano.

Senza una chiara visione e una scelta di campo, che può essere anche di attendismo come nel passato andreottiano o di relazioni plurime seguendo la dottrina Moro e quella di ispirazione di Montini, il Pd è destinato all’irrilevanza. Insomma, le scelte su come gestire l’immigrazione e non solo la manovra o l’Iva sono la ragione sociale per fare una nuova proposta politica.

Per dare una risposta al tema trattato nella riunione, elezioni o governo, è lo stesso, anzi. La crisi del governo del cambiamento ha certificato la sconfitta della scelta di una spettacolarizzazione dell’evento immigrazione. Ma non ha risolto nulla: Matteo Salvini rivendica successi, peraltro mai avvenuti, solo perché non è stata presentata un’alternativa che si appoggi a una visione geopolitica chiara e profonda. La crisi di governo per le forze democratiche progressiste è quindi una grande occasione per affrontare una discussione profonda, proponendo una visione politica generale di società e della missione delle persone.

Al netto di quanto prevede la costituzione e le prerogative di Sergio Mattarella, al Partito democratico serve un’azione politica di preparazione alle elezioni, non importa quando verranno indette, che preveda una condivisione del programma che parta dai territori, una consultazione con tutte le forze riformiste e progressiste, coi diversi mondi cattolici, coi corpi intermedi, col volontariato, con i sindaci, sia dei grandi sia dei piccoli comuni, perché sono loro che ogni giorno affrontano i problemi sentiti dai cittadini. Un’azione che coinvolga tutti i territori in modo aperto senza fare ricorso alla vecchia politica dedita solamente a cercare di costruire coalizioni.

Tutto questo però va realizzato in tempi brevissimi, senza paura del confronto e della discussione, sentendo e rendendo ovviamente protagonista la base del partito e tutte le altre forze che chiederanno di partecipare. E alla fine il Pd dovrà trovare una linea unitaria che tutti dovranno rispettare. Viene in mente la frase che usava Benigno Zaccagnini per insegnarci a non scoraggiarci e a guardare lontano: “Se è notte si farà giorno”. Basta arrivarci preparati.

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