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Commissario Ue Difesa

La nuova Difesa Ue? Differenze strategiche degli Stati e sovrapposizioni

L'approfondimento dell'analista Arcangelo Milito, firma di Start Magazine, sugli scenari in materia di difesa Ue

 

Il 10/09/2019 la neo presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen ha nominato la francese Sylvie Goulard quale commissaro europeo per il Mercato Interno, esponente del partito macroniano ‘La République En Marche’ e ministro della Difesa francese per circa un mesetto tra giugno e maggio 2017. Allo stesso tempo, la Goulard avrà la responsabilità pure della nuovissima “Direzione generale per la Difesa e lo Spazio”, creata ex novo all’interno del Mercato Interno. Il bilancio della nuova direzione generale è di €13 miliardi fra il 2021 e il 2027, mentre l’Ue ha proposto per tutti i programmi di difesa e sicurezza un aumento di somme per €22,5 miliardi nello stesso periodo. L’incremento rispetto a quanto previsto per il periodo precedente (2014-2020) è notevole, rispetto ai miseri (si fa per dire) €2,8 miliardi originari.

Nel comparto difesa le sinergie e la cooperazione strategica sono aspetti essenziali, indispensabili. Ciò è estremamente vero se consideriamo l’appartenenza di tutti i Paesi dell’Ue alla Nato, per cui si deve parlare di complementarietà di obiettivi, forze e strutture. Come a ridimensionare il perimetro di azione di Goulard e le aspirazioni di grandeur macroniana, Von der Leyen ha precisato che “L’Unione Europea non sarà mai un’alleanza militare. La Nato sarà sempre la [nostra] difesa collettiva”.

Se fino al 2014 non ci si curava molto del comparto difesa, oggi varie considerazioni sui destini economici e futuri industriali hanno indotto gli Stati Ue a intraprendere una politica di cooperazione più seria e sostanziosa, sfociata nella creazione della Eu Defence Agency (Eda: non vi partecipa la Danimarca) e la definizione di varie priorità, tra cui la Permanent Structured Cooperation (Pesco) con i suoi molteplici progetti operativi. Oltre le varie iniziative e meccanismi, si aggiunga quanto compreso nella EU Global Strategy del 2016 e riguardante la necessità di un approccio integrale alle crisi regionali, alle questioni di politica estera e della sicurezza.

A fronte di molta sbandierata cooperazione e desiderata integrazione dei programmi per l’industria della difesa europea, le ambizioni si scontrano con la realtà. Questa discrepanza è evidente a vari livelli ed è stata recentemente stigmatizzata in un rapporto della Corte Europea dei Conti (Eca – European Court of Auditors) dal titolo Review 09 – European Defence, pubblicato il 12/09/2019. La fonte primaria di discrepanza individuata da ECA risiede nella difesa, vero e proprio “cuore” della sovranità nazionale. Nell’Executive Summary del rapporto, il §6 parla specificamente di “chiare differenze strategiche fra gli Stati Membri Ue”, che percepiscono le necessità di difesa e sicurezza in modo assai differente. Le criticità in materia non finiscono qui e le elenchiamo appresso:

  • Rischio di sistemi di controllo non coordinati, mancanza di coerenza complessiva fra le molteplici iniziative messe in atto;
  • Differenze nell’impegno e coesistenza di visioni/sensibilità diverse da Stato a Stato;
  • Notevole vaghezza dei concetti di ‘autonomia strategica’ ed ‘Esercito Europeo’;
  • Rischio notevole di duplicare strutture militari, programmi e obiettivi strategici, con relativa sovrapposizione.

Questo avverrebbe certamente con la Nato, pertanto, la domanda cruciale è: l’Ue è capace di rendersi complementare rispetto alla Nato o ne duplica le funzioni? Ancora: Eda prefigura l’Ue autonoma dalla Nato e/o dagli Usa? Secondo il gen. Jean nel suo articolo su StartMag, la neo-Commissaria Goulard potrebbe addirittura “penalizzare le industrie della difesa Usa nei programmi di ricerca e sviluppo e di approvvigionamento europei controllati da Eda”. Si noti che entro fine 2019 si dovrebbe eleggere il ceo di Eda. A tal proposito il vicepresidente dello Iai (Istituto Affari Internazionali) Michele Nones ha suggerito una candidatura “forte, militare e credibile”, ovviamente italiana e c’è chi pensa al generale Claudio Graziano, attualmente presidente del Comitato Militare Ue.

Nelle parole di Juhan Parts (membro del Board Eca e coordinatore del rapporto citato), “Defence involves creating real military capabilities, with a clear potential to deter potential threats”: ovvero, la difesa implica la creazione di capacità militari reali e un potenziale di deterrenza rispetto a minacce eventuali. Sempre Parts pensa che “senza la specificazione di chiari obiettivi vi è il rischio che le attuali iniziative UE in materia di difesa rimangano lettera morta e finiscano nel nulla, senza produrre risultato alcuno” (In originale: “In the absence of critical success factors and without specifying clear goals, there is a risk that current EU defence initiatives remain a dead letter and end up with no outcome”. In breve – e ci si perdoni l’enfasi – noi qui riteniamo che in materia di difesa vi è un chiaro gap o squilibrio fra ciò che si richiede agli Stati UE di fare/dichiarare e quanto possono essere effettivamente finalizzare o raggiungere un accordo operativo su obiettivi e risultati concreti.

Circa questi risultati concreti non dobbiamo prefigurare elementi straordinari, ma una serie di condizioni e fattori essenziali come: 1) disponibilità di investimenti adeguati nel comparto militare e industriale, che potrebbe invece riservare prospettive di lavoro e sviluppo, superando i tagli degli anni passati nei vari Stati Ue. Si consideri, per es., che il Regno Unito spende di più rispetto agli altri Stati e la sua uscita dall’Unione comporta la necessità di trovare ulteriori fondi (1/4 della spesa totale); 2) riduzione delle frammentazioni esistenti; 3) introduzione e adozione di comuni standard tecnici, propedeutici a 4) piena interoperabilità delle varie Forze Armate presenti in Europa (e qui torniamo alla domanda di prima: che rapporti con la Nato?).

A modesto parere di chi scrive non c’è adeguata pianificazione o superamento delle prerogative degli Stati nazionali. Per esempio, la neo-commissaria Ue Goulard rappresenterà gli interessi di tutta l’Unione oppure è più interessata a garantire procurement (appalti e contratti) all’industria francese della Difesa? Vi è un adeguato processo di pianificazione e compartecipazione Ue? Secondo il citato rapporto Eca tutto questo non si vede proprio all’orizzonte, né vi sono una cornice di governance o chiara procedura contabile.

La frammentazione, la divergenza profonda tra le intenzioni e la realizzazione delle stesse o per finire l’attendismo, sembrano essere caratteristiche identificative dell’Unione Europea. Prendiamo in esame lo “Statement of Intent” di collaborazione sul Programma Tempest fra Gran Bretagna e Italia, che non equivale a un accordo formale vero e proprio. Leggiamo il testo originale del Ministry of Defence britannico con attenzione, in cui si specificano gli ambiti di interesse e intervento, e tralasciamo quelli meno centrali. Italia e UK auspicano:

1) il coordinamento per future migliorie sull’Eurofighter Typhoon [EUT: già esistente e operativo in seno a Raf e Aeronautica Militare];

2) l’approfondimento discussioni sui requisiti operativi del Tempest;

3) l’identificazione di una tabella di marcia per identificare quel che serve e capire come integrare le tecnologie avanzate dell’EUT nel Tempest;

4) l’integrazione delle tecnologie presenti nell’EUT nel programma F-35.

È evidente che al Ministro della Difesa Guerini, a quello degli Esteri Di Maio e degli Affari Europei Amendola tocca coordinare una politica complessiva, non più ‘a compartimenti stagni’ e non dialoganti fra loro. Per capirci, l’esaltazione del “particulare” tipico italiano non è più ammissibile, ma è meglio un approccio “alla israeliana”, per capirci, laddove tutti hanno chiari gli obiettivi strategici.

Mettersi d’accordo su nuclei essenziali e vitali della difesa appare un’impresa ardua, anche in rapporto alla visione strategica e interessi/esigenze geopolitiche dei Paesi Ue, con l’Italia sempre proiettata nel Mediterraneo e con presenze talora confliggenti (vedi Francia in Algeria e Libia, Germania in Tunisia e Mali, Usa in tutto il Nordafrica).

Quel che possiamo auspicare è l’elaborazione di un’agenda strategica di obiettivi (anche minimi, ma perseguibili), tempi e risorse a medio-lungo termini da parte dei decisori politici in Italia, a prescindere dalle maggioranze governative esistenti e dei nomi indicati dalle cordate del momento. Tale agenda dovrebbe mettere al centro l’interesse nazionale, senza dimenticare che nel XXI secolo vi possono essere non solo “conflitti caldi”, ma anche minacce di guerra ibrida, asimmetrica e non convenzionale: disponibilità di risorse alimentari e idriche, controllo e sicurezza cibernetica delle reti di distribuzione elettrica, conflitti geopolitici in forma di guerra finanziaria e tra valute nazionali, controllo e gestione delle informazioni (intelligence).

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