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Di Maio

Ha più colpe Di Maio o Grillo nel tracollo del Movimento 5 Stelle? I Graffi di Damato

Il difetto è nel manico vero del Movimento 6 Stelle, che è Grillo in persona, incapace di scegliere fra Di Maio e i suoi critici, o di trarre tutte le conseguenze dalle sue scelte, come la conferma di Conte a Palazzo Chigi. I Graffi di Damato

Neppure Giuseppe Conte, nella confusione della vertenza giudiziaria e politica sulla ex Ilva di Taranto, saprà forse indicare lo specchio giusto fra i due nei quali lo hanno raffigurato il Corriere della Sera da una parte e Il Fatto Quotidiano dall’altra.

Il Corriere, in particolare, lo ha rappresentato come il presidente del Consiglio che “tenta il rilancio” nella partita con gli indiani gestori degli impianti siderurgici, offrendo loro non solo il ripristino del cosiddetto scudo penale, abolito inopinatamente dalla sua maggioranza giallorossa nelle scorse settimane, ma anche un intervento dello Stato per aiutarli a fronteggiare la difficile congiuntura del mercato internazionale del settore, subentrata agli accordi dell’anno scorso. Il Fatto Quotidiano ha invece messo addosso a Conte una corazza d’acciaio inossidabile per portarlo “al contrattacco”, codice e pandette fra le mani, facendo vedere agli indiani i sorci verdi al tribunale di Milano con l’accelerazione della vertenza da loro stessi aperta. Sono i misteri dell’informazione e della politica, in una miscela dove l’una e l’altra diventano tossiche.

Il fatto, non quello maiuscolo di Marco Travaglio ma quello minuscolo della realtà, è che il governo Conte 2, come quello precedente del resto, anche se sembrava nelle mani dell’allora ministro leghista dell’Interno Matteo Salvini, è “ostaggio delle diatribe a 5Stelle”, come ha titolato il Quotidiano del Sud diretto da Roberto Napoletano. E “diatribe” è dir poco, se persino Travaglio in un pezzo sul governo a poco più di due mesi dalla sua formazione, pur cercando di rappresentarlo nel migliore dei modi grazie alle doti attribuite al presidente del Consiglio, ha definito “marasma” la situazione in cui versano i grillini. Le cui tensioni interne -altro che la obiettiva confusione in cui si muove Matteo Renzi e quella che procura o aggrava nel Pd di Nicola Zingaretti, abbandonato apposta per farlo esplodere il prima possibile nelle sue contraddizioni- si scaricano tutte sulla compagine ministeriale e sul presidente del Consiglio.

I grillini, la cui identità deriva solo dal nemico di turno contro cui si scatenano, come i Benetton l’anno scorso dopo il crollo del ponte a Genova e gli indiani adesso per l’ex Ilva di Taranto, sono la palude nella quale Conte è costretto a muoversi con o senza cravatta, con o senza pochette. La loro crisi d’identità, la loro originaria vocazione oppositoria, il loro rifiuto della modernizzazione perché possibile occasione di corruzione e quant’altro, il loro congenito giustizialismo si sono aggravati con la perdita progressiva di voti, inevitabile con qualsiasi alleato decidano di affrontare le urne del momento, ma anche da soli, ormai, a causa della incapacità di stare insieme a casa propria.

E’ diffusa, e anche facile, diciamo la verità, la tentazione di attribuire la responsabilità del “marasma” sotto le cinque stelle, per ripetere Travaglio, all’imperizia e quant’altro del troppo giovane “capo” Luigi Di Maio. Cui Conte ha generosamente concesso nel salotto televisivo di Bruno Vespa la sostanziale attenuante di gestire una difficile fase di “transizione” e riorganizzazione del movimento pentastellato, perdonandogli così anche gli sgarbi che ne riceve spesso e volentieri, direttamente o a mezzo stampa, con dichiarazioni e riunioni di ministri e sottosegretari quasi alternative alle sedute del Consiglio dei Ministri. In realtà, il difetto è nel manico vero del Movimento, che è Beppe Grillo in persona, incapace di scegliere fra Di Maio e i suoi critici, o di trarre tutte le conseguenze dalle scelte quando le compie, come è avvenuto allorché ha deciso la conferma di Conte a Palazzo Chigi e l’accordo di governo col Pd.

L’Europa sta festeggiando in questi giorni il trentesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino, e di tutto ciò che esso aveva costituito per tanto tempo dividendo non solo il vecchio continente ma tutto il mondo fra comunismo e anticomunismo, e  relative sfaccettature. La nostra povera Italia è paradossalmente alle prese, in questa diciottesima legislatura nata il 4 marzo dell’anno scorso dalla conquista della maggioranza relativa ad opera dei pentastellati, non col muro ma con i cancelli delle ville dove Beppe Grillo prende o non prende le sue decisioni, tra Marina di Bibbona e il quartiere genovese di Sant’Ilario.

Eugenio Scalfari, beato a lui, e alla sua veneranda età, si consola con la filosofia e la poesia recitando con Giacomo Leopardi, come ha fatto in questa domenica su Repubblica, i versi sull’immensità tra cui “s’annega il pensier mio” ed è “dolce naufragare” nel mare, anche quello a vista dalle ville del comico genovese prestatosi alla politica.

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