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Gilet Gialli

Così gli intellettuali francesi scrutano i Gilet Gialli anti Macron

L'analisi dello strategist Alessandro Fugnoli

Il movimento dei Gilets jaunes, che secondo l’autorevole e compassato Le Monde ha indotto alcuni prefetti a definire prerivoluzionaria la situazione nei loro dipartimenti, è nato e procede da solo e non ha dietro un’elaborazione sofisticata. È ancora più prepolitico del poujadismo della Quarta Repubblica, un movimento antifiscale e antiparlamentare degli anni Cinquanta, radicato tra i piccoli commercianti impoveriti dalla modernizzazione, che trovò comunque un leader in Pierre Poujade. I Gilets jaunes nascono dal basso e sono un movimento gassoso particolarmente forte nella Francia profonda, lontana da Parigi, quella che di solito ha subìto e non fatto la storia.

Non sono assimilabili a nessun partito e non hanno nessun riferimento nel movimento sindacale. Esprimono proposte talvolta confuse e contraddittorie, ma segnalano con evidenza e assoluta chiarezza un disagio profondo. Vivono in provincia, hanno visto negli anni chiudere l’ufficio postale, la banca, la farmacia. La qualità della loro vita è andata progressivamente deteriorandosi e ora devono usare l’auto per qualsiasi necessità.

Sentirsi dire da Parigi (dove la macchina la usano in pochi) che la benzina inquina e va tassata di più li ha portati al limite di rottura. Ora chiedono che Macron se ne vada. La risposta del governo ha segnalato una grave mancanza di empatia per questo disagio. Intellettuali mandarini come Bernard Henry Lévy hanno espresso disprezzo per il movimento, negandosi così la capacità di comprenderlo.

Le letture più interessanti sono arrivate da intellettuali meno schierati come Jean-Claude Michéa, Emmanuel Todd e Cristophe Guilly. Michéa lavora da anni sul distacco tra la sinistra e le masse. Todd, uno studioso che ha previsto la caduta dell’Unione Sovietica con dieci anni d’anticipo e le primavere arabe, studia ora il macronismo come vergogna di essere francesi.

Il più interessante è però Guilly, un geografo che da tempo descrive la Francia come un paese a tre cerchi concentrici, Parigi, la banlieu e il resto. A Parigi vive un mondo soddisfatto e globalista. Intorno a Parigi vivono gli immigrati che lavorano per i parigini del centro e che, pur non vivendo certo da ricchi, hanno l’attenzione dei politici, l’affitto sociale e tutta una serie di sussidi.

Fuori c’è invece un mondo dimenticato, con sempre meno servizi e sempre più tasse. Questa analisi non ci serve per capire dove andranno a parare i Gilets jaunes, che probabilmente torneranno un giorno all’improvviso nel nulla dopo essere all’improvviso spuntati dal nulla, ma per notare quanto siano strutturali e profondi i motivi del loro disagio. E per ricordare che ciò che è strutturale ha il brutto vizio di ritirarsi ogni tanto nell’ombra, ma di non andare mai via. Come nota Charles Gave la geografia sociale francese non è così diversa da quella inglese o americana.

(estratto dalla newsletter Il Rosso e Il Nero)

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