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Elezioni Germania

Lo sapete che in Germania scarseggia la manodopera qualificata?

L’approfondimento di Pierluigi Mennitti da Berlino La Germania di questi tempi sembra una grande agenzia del lavoro in servizio permanente. Annunci sui terminali dei call center, sui giornali specializzati, sui mezzi pubblici, in tv: “Manodopera specializzata cercasi”. Imprenditori sull’orlo di una crisi di nervi cercano disperatamente forza lavoro qualificata, senza trovarla. Fachkräftermangel è il termine…

La Germania di questi tempi sembra una grande agenzia del lavoro in servizio permanente. Annunci sui terminali dei call center, sui giornali specializzati, sui mezzi pubblici, in tv: “Manodopera specializzata cercasi”. Imprenditori sull’orlo di una crisi di nervi cercano disperatamente forza lavoro qualificata, senza trovarla. Fachkräftermangel è il termine utilizzato per definire l’assenza di lavoratori e potrebbe concorrere a vincere il titolo di “parola più odiata dell’anno”, lo speciale riconoscimento assegnato dalla Società della lingua tedesca a un termine che si impone negativamente nel corso dell’anno.
Di fronte a tassi di disoccupazione in continuo calo da tredici anni (dai quasi 5 milioni del 2005 si è passati ai 2 milioni e mezzo attuali) non è una novità che l’industria tedesca incontri da qualche tempo difficoltà a occupare tutte le caselle disponibili. Quel che c’è di nuovo è uno studio realizzato dall’Istituto economico di Colonia IW (l’Institut der deutschen Wirtschaft) che ne ha quantificato il peso sulla crescita del paese: secondo i ricercatori il Fachkräftermangel costa all’anno lo 0,9% delle performance economiche della Germania. Tradotto in moneta sonante, sono circa 30 miliardi di euro.

La strozzatura del mercato del lavoro è anche il motivo principale dei bassi investimenti degli imprenditori tedeschi negli ultimi anni, uno dei problemi evidenziati dai recenti studi economici, e congestiona le capacità produttive delle aziende. Il fenomeno si è accentuato a partire dal 2011 e, secondo gli esperti dell’IW, il suo effetto negativo sulla crescita complessiva era stato finora sottostimato.
Un altrettanto recente rapporto fornito dall’associazione delle medie e piccole imprese tedesche ha evidenziato come il fenomeno pregiudichi particolarmente le aziende minori, la cui capacità di battere il mercato alla ricerca di personale è inferiore rispetto alle potenzialità dei grandi gruppi. Del milione e 200 posti di lavoro scoperti quantificati dallo IAB, l’Istituto del mercato del lavoro e della ricerca professionale, più del 90% si trova in aziende con meno di 500 addetti. Il problema affligge dunque principalmente la spina dorsale dell’imprenditoria tedesca, rappresentata dalle PMI.

La mancanza di manodopera adeguata è un problema crescente anche in settori non industriali, nel commercio (scarseggiano tra l’altro i parrucchieri) e nei servizi, privati e pubblici. In tutto il paese mancano i medici (specie nei piccoli centri e nelle aree rurali) e gli infermieri in ospedali e ambulatori, gli addetti all’assistenza degli anziani, gli insegnanti e gli educatori in asili e scuole, i funzionari nelle amministrazioni pubbliche, gli agenti nei corpi di polizia. Per quanto riguarda il settore pubblico, molto è dovuto alle politiche di contenimento delle spese adottate negli anni passati: le minori assunzioni (o i tagli di personale) oggi coincidono con i pensionamenti di quanti erano stati assunti negli anni in cui le amministrazioni erano più corpose. In più sono aumentati i compiti di sicurezza (per la polizia) e di gestione burocratica (la politica migratoria degli ultimi anni richiede funzionari per le anagrafi, ma anche l’erogazione dei servizi per l’integrazione così come educatori e insegnanti per le scuole). E formare in breve tempo personale qualificato per tali compiti è impresa non facile.
A marzo l’ufficio federale del lavoro di Norimberga ha quantificato in 778.000 i posti di lavoro complessivamente scoperti in tutta la Germania, 86mila in più rispetto allo stesso mese dello scorso anno e ha registrato un allungamento fino a 110 giorni in media) del tempo che occorre a un’azienda o a un’istituzione per coprire un posto vacante.

Gli esperti hanno individuato diversi punti deboli nel sistema duale di formazione tedesco, un tempo fiore all’occhiello dell’educazione tanto da essere stato preso a modello da altri paesi, da ultimo anche dall’Italia. In Germania sono al momento 92.000 i giovani impegnati in corsi di studio duali, nei quali lo studio sui libri di testo si accompagna a esperienze sul campo nelle aziende. Un vero e proprio boom dal 2004, anno di nascita di questa esperienza, quando gli studenti erano appena 3.300. La frequenza insomma è positiva, la fama di tali corsi resta buona. Ma i docenti dell’Università delle forze armate Helmut Schmidt di Amburgo hanno realizzato una ricerca secondo la quale il 37% degli studenti intervistati si è rivelato insoddisfatto. Un’indagine a tutto campo e in tutto il paese, ha detto all’Handelsblatt Wilfried Hesser, uno dei coordinatori della ricerca ed egli stesso professore alla facoltà di Disegno e progettazione industriale, che ha fatto emergere “una scioccante discrepanza tra l’entusiasmo nella società per la formazione duale e la realtà con cui gli studenti devono confrontarsi nelle imprese”. Per i ricercatori di Amburgo la responsabilità risiede in larga parte in una sorta di inceppamento comunicativo tra le componenti coinvolte: aziende, scuole e agenzie di accreditamento. Gli studenti si ritrovano così spesso immessi nel circuito produttivo aziendale senza l’assistenza dei docenti scolastici. Viene meno così la specificità dello studio duale, cioè lo stretto legame tra studio e esperienza lavorativa: “Di fatto questo tipo di formazione si svolge al di fuori di regole e in maniera poco trasparente”.

Nel settore iperspecializzato dell’alta tecnologia c’è anche una mancanza di attrattiva competitiva da parte delle aziende tedesche rispetto a quelle statunitensi o canadesi, così come nel campo accademico una difficoltà per esperti provenienti ad esempio da paesi come l’India a vedersi riconosciuti i titoli di studio. I ministri competenti avevano promesso negli anni passati di rendere più flessibili i criteri, ma poco è stato fatto. In altri settori i posti di formazione disponibili sono superiori al numero di studenti che vi si iscrive. In questo caso sono i corsi di formazione a non godere di grande fama. Il problema riguarda mestieri come quelli legati al commercio (venditori in genere, macellai) o alla gastronomia. Gli interessati si rimpallano le responsabilità: i potenziali studenti (spesso persone provenienti da altre esperienze lavorative che intendono cambiar mestiere) denunciano la scarsa qualità degli insegnamenti e il trattamento da cittadini di seconda classe (specie per quanto riguarda le remunerazioni), gli operatori economici lamentano mancanza di disciplina e il fatto che, specie per i più giovani, siano le famiglie a preferire per i propri figli un percorso di studio accademico, snobbando i settori professionali.
Come che sia, il problema resta, tanto nei servizi e nel pubblico, quanto nelle imprese. Molte aziende cercano ormai manodopera qualificata (o da qualificare) direttamente all’estero, soprattutto nei paesi dell’Unione Europea dove la disoccupazione morde le giovani generazioni. L’istituto IW di Colonia spinge il governo affinché promuova una politica migratoria mirata, dando per scontato che il tipo di migrazione che ha interessato la Germania negli ultimi tre anni non sarà in grado di attenuare il problema. Una volta tanto è il settore pubblico a voler tracciare la strada: è di questi giorni la notizia che la polizia del Brandeburgo, regione attorno a Berlino confinante con la Polonia, ha aperto la propria scuola di formazione ad aspiranti poliziotti polacchi.

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