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Deutsche Bank

Ecco come la Germania cerca di non far scoppiare il bubbone Deutsche Bank

Fatti, numeri e commenti sulla probabile fusione tra gli istituti bancari tedeschi Deutsche Bank e Commerzbank

Germania in apprensione per lo stato di salute di Deutsche Bank. Sta per scoppiare la bomba finanziaria in Germania?

E’ quello che si chiedono non sono a Berlino. Ecco che cosa sta succedendo con informazioni, numeri, commenti e analisi.

Venerdì scorso c’è stata una seduta all’insegna degli acquisti sul listino tedesco, che ha chiuso con un rialzo dell’1,56% a 10.949,17 punti.

A spiccare sono state soprattutto le performance dei titoli bancari e, all’interno del comparto, sono due gli istituti in particolare evidenza, Deutsche Bank e Commerzbank: la prima, che nelle ultime settimane ha più volte aggiornato i minimi storici, ha messo a segno un +5,81% fermandosi a 7,862 euro mentre la seconda ha guadagnato il 5,61% fermandosi a 6,943 euro.

Ad innescare gli acquisti è stata l’indiscrezione, riportata da Bloomberg, secondo cui il governo tedesco avrebbe intensificato gli sforzi per facilitare una fusione tra i due istituti. Portavoce delle due banche e del ministero dell’economia non hanno rilasciato dichiarazioni in merito.

Nonostante quello del matrimonio tra la prima e la quarta banca tedesca per asset siano piuttosto frequenti, nel 2018 le voci si sono intensificate.

“Il modello di business delle due banche sono complementari […]ed entrambe affrontano un periodo difficile”, ha commentato il Markus Kienle, vice CEO di SdK, un associazione che raggruppa i piccoli commercianti. Ma non ci sarebbero solo aspetti positivi. “I costi di ristrutturazione –continua Kienle – potrebbero bloccare per anni la distribuzione dei dividendi e per questo motivo riteniamo che gli svantaggi di una fusione al momento siano maggiori dei vantaggi”.

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ECCO UN ESTRATTO DELL’ANALISI DEL SOLE 24 ORE PUBBLICATA IERI E FIRMATA DA ISABELLA BUFACCHI:

DB ha toccato nei giorni scorsi in Borsa il minimo storico a quota 7,24 euro, ieri è rimbalzata a 7,84 (+0,6%) ma ancora sotto la soglia degli 8 e segnando un calo in un anno del 54%.

I Cds di DB hanno chiuso ieri a 190 punti base, in miglioramento dai 220 dei giorni scorsi ma lontani dai 120 punti di settembre come sia pur lontani dai 275 della crisi del 2016 e i 325 della Grande Crisi del 2011. Anche i titoli ibridi coco-bond/AT-1 hanno acceso una spia rossa in questi giorni : il rendimento si è avvicinato al 12%, il doppio della cedola, anche se ieri ha chiuso lievemente migliorato all’ 11,26 per cento. La capitalizzazione di Borsa di DB, che ha attivi totali per 1.474 miliardi (in netto calo contro 2.000 miliardi del 2012 e 2.200 del 2008) è pari a 16,58 miliardi di euro contro 300 miliardi circa di JP Morgan, 140 di Hsbc, 120 di Citigroup e 50 di Bnp Paribas. DB batte però Commerzbank, che con una capitalizzazione di Borsa pari a 8,74 miliardi lo scorso settembre è uscita dalle 30 blue chip tedesche del Dax e ieri ha chiuso a 6,66 euro (-2,53%), un calo del 51% dal picco toccato quest’anno in gennaio.

Lo Stato federale è il principale azionista in Commerzbank, con una quota azionaria del 15,6%: a differenza dei comuni e delle regioni-Land, a livello federale in Germania le partecipazioni nelle banche non sono ben viste e lo Stato si sarebbe volentieri sbarazzato subito della quota in Commerzbank se non fosse che per evitare di accollare ai contribuenti una perdita il prezzo in Borsa dovrebbe risalire attorno ai 20 euro, mentre adesso è sotto i 7 euro.

Per facilitare la fusione e soprattutto renderla meno onerosa, lo Stato starebbe addirittura pensando di flettere le norme e ridurre una tassa ad hoc. Ma stando a fonti bene informate

Come spiegare al contribuente tedesco, che vede male i banchieri d’affari, che i suoi soldi verrebbero usati per salvare una banca come DB che proprio di recente si è conquistata le prime pagine dei giornali per nuove perquisizioni clamorose legate allo scandalo dei Panama Papers e il riciclaggio di denaro sporco oltre i 100 miliardi nel dossier Danske bank?

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ECCO UN ESTRATTO DI UN ARTICOLO DEL QUOTIDIANO LA VERITA’ FIRMATO DA ANTONIO GRIZZUTI

Le voci si sono rincorse per mesi, ma adesso sembra quasi fatta. Pare infatti che le due banche più importanti della Germania, Deutsche Bank e Commerzbank, stiano per unirsi in matrimonio.

Secondo le indiscrezioni, dietro alla fusione ci sarebbe la «manina» dello stesso ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz.

La presenza del rappresentante dell’ esecutivo guidato da Angela Merkel nella trattativa non deve stupire, dal momento che tra le soluzioni messe sul tavolo in queste ultime settimane ci sarebbe quella che prevede l’ingresso del governo federale in qualità di maggiore azionista di Deutsche Bank per un periodo propedeutico alla fusione che dovrebbe durare circa cinque anni. L’ operazione, a quel punto, si configurerebbe come una vera e propria nazionalizzazione per l’istituto guidato da Christian Sewing.

Certo, si tratterebbe di uno scenario molto distante dalla linea di pensiero che ha animato la politica europea in ambito bancario degli ultimi anni. Pensiamo al bail in, la normativa di risoluzione degli istituti in difficoltà approvata nel 2014, introdotta proprio al fine di evitare i salvataggi di stato. Ma nel recente periodo abbiamo assistito al continuo moltiplicarsi di regole in ambito creditizio.

Tutte novità che hanno reso difficile, se non quasi impossibile, la vita degli istituti di credito, in particolare quelli italiani. Una su tutte, l’ ossessione morbosa della Vigilanza e del suo capo, Daniele Nouy, per i crediti deteriorati.

E che dire dei derivati, strumenti finanziari ad alto rischio, per la quale la stessa Deutsche Bank è esposta per un valore nominale di 48.000 miliardi di euro (circa venti volte il nostro debito pubblico e quasi trenta volte il nostro prodotto interno lordo)? Non ci stupiremmo, dunque, se al momento dello scambio degli anelli tra Commerzbank e Deutsche, ancora una volta il regolatore scegliesse la via del silenzio.

Con un fatturato di 35 miliardi di euro e una forza lavoro di quasi 150.000 dipendenti, il nuovo soggetto sconterebbe sin da subito l’ incapacità strutturale di Deutsche di produrre utili. Solo nel 2017, l’ istituto di Francoforte ha chiuso con 500 milioni di perdite e il titolo è passato dai 16 euro di inizio anno ai 7 euro toccati in questi giorni.

Il timore che l’ istituto diventi la «nuova Lehman» spinge il governo federale a mettere in campo ogni soluzione possibile per salvare la baracca, che in caso di fallimento rischia di provocare una crisi finanziaria paragonabile a quella causata un decennio fa dallo scoppio della bolla immobiliare statunitense.

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