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Canada

Elezioni in Canada, tutte le sfide (economiche) di Trudeau. L’articolo di Litrico

L'approfondimento di Gian Marco Litrico sulle elezioni federali in Canada che si terranno il 21 ottobre

Per i primi sette anni della sua vita, Justin Trudeau ha abitato al 24 di Sussex Drive, l’indirizzo del primo ministro canadese a Ottawa, la carica che suo padre Pierre ha ricoperto quasi ininterrottamente fra il 1968 e il 1984.

Tra le foto dell’album di famiglia, ce n’è una che lo ritrae, in fasce, sulle ginocchia della moglie di Richard Nixon, mentre Tricky Dick leva il calice in suo onore, durante una visita ufficiale a Ottawa, brindando al ”futuro primo ministro canadese”. Salvo poi essere intercettato al telefono, in uno dei suoi esilaranti momenti-verità: ”Tre giorni buttati via. Avevamo bisogno di quel viaggio come di un buco in testa”.

In un’altra foto, bebè Justin è in braccio a Fidel Castro, una specie di zio di famiglia che, insieme a Jimmy Carter, reggerà la bara di Pierre, nel 2000. A Fidel, attirandosi gli strali di larga parte dell’opinione pubblica mondiale, Trudeau il giovane dedicherà un commosso ricordo nel giorno della scomparsa del dittatore col sigaro.

Poi c’è la foto di Justin bambino, davanti a un altro celebre indirizzo, il 10 di Downing Street, con il padre e Margaret Thatcher.

Justin il Predestinato, insomma, coccolato dai potenti del mondo ma svezzato presto dalla doppiezza della politica, cresciuto a pane e diritti civili, nel mito del padre, il nazionalista canadese che ha tenuto insieme il Paese, mentre il Quebec voleva uscirne. Justin, l’idealista-pragmatico che non è arrivato per caso nella stanza dei bottoni.

Conquistata la guida dei Liberali nel 2013, Trudeau si è imposto nel 2015 da leader del terzo partito, grazie anche alle sue prestazioni nei dibattiti televisivi e senza che lo slogan dei Conservatori, “Justin? Just not ready”, che ammiccava alla sua inesperienza, riuscisse ad azzopparlo.

Con un programma tutto ambiente, giustizia sociale e deficit pubblico “controllato” per stimolare l’economia e tagliare le tasse alla classe media, e con la sua leadership inclusiva, Trudeau aveva finalmente riportato “sunny days” in Canada dopo il grande freddo dell’era Harper, il conservatore algido che accompagnava il figlio a scuola salutandolo con una stretta di mano, il fautore del rigore di bilancio e l’artefice della fuoriuscita del Paese dal protocollo di Kyoto.

Justin il fotogenico aveva fatto irruzione sulla scena politica progressista mondiale con il primo governo “gender balanced”, 15 uomini e 15 donne, con ministri nati in India, in Somalia, a Hong Kong, in Afghanistan. Con un ministero per l’Ambiente e il Cambiamento Climatico e uno per l’Immigrazione e i Rifugiati.

Quattro anni dopo, Trudeau va alle elezioni federali del 21 ottobre appaiato nei sondaggi al leader dei Conservatori, Andrew Scheer, dopo aver dilapidato il suo patrimonio di popolarità, con un indice di gradimento che si è dimezzato ed è attualmente 9 punti percentuali sotto quello di Trump.

Danni di immagine, autoinflitti, sono venuti dalla criticatissima visita ufficiale a Delhi, dove Trudeau si è presentato col turbante, con tutta la famiglia, in perfetto stile Bollywood, nelle stesse ore in cui l’India aumentava i dazi sui piselli e lenticchie canadesi.

Il gusto per il travestimento gli è costato altri 3 punti nei sondaggi nella prima settimana di campagna elettorale, con la foto, pubblicata da Time, del giovane Trudeau, nel 2001, insegnante di arti drammatiche a Vancouver in una scuola privata per milionari, truccato da Aladino col fondatinta scuro per partecipare a una festa a tema. Seconda l’ortodossia del politically correct nordamericano, un gesto razzista, di cui Trudeau si è dovuto scusare pubblicamente.

Si è trasformata in un boomerang anche la sua decisione di farsi intervistare da Hasan Minhaj, per il programma-culto Patriot Act. Una botta di ego che lo ha portato a misurarsi con un comico intelligente e di sinistra, oltre che americano e musulmano, che da 4 stagioni fa registrare ascolti stratosferici su Netflix e che Time ha inserito nella classifica delle 100 persone più influenti del pianeta.

Altro scivolone, sempre in campagna elettorale, quando, pagaiando in una canoa rossa in fibra di vetro, è arrivato alla conferenza stampa di presentazione di “Experience Canada”, un piano sociale per dare 2000 dollari a 75 mila famiglie a basso reddito, con l’obiettivo di insegnare ai giovani un’arte vanto del popolo canadese: il campeggio. John Ivison, per il conservatore National Post, ha scritto che per trovare “un’idea paragonabile bisogna andare al programma spaziale ugandese, sotto Idi Amin, una delle 100 peggiori idee del Ventesimo Secolo”.

Per giudicare il suo primo quadriennio, però, bisogna guardare al di là degli infortuni del Trudeau uomo-immagine. E anche al di là della prospettiva da cui il mondo guarda alle elezioni canadesi come ad una cartina di tornasole degli umori dell’ingombrante vicino americano. La realtà è davvero molto più complicata e gli Americani si guardano nello specchio dei cugini del Nord almeno quanto i Canadesi fanno con i cugini del Sud. Con i Democratici che vedono nel Canada il simulacro di un’America possibile, al quale ispirarsi per riformare sanità e immigrazione, mentre per la destra repubblicana, “The True North” è una distopia in salsa socialista, con 37 milioni di persone che per il 90% vivono entro 100 chilometri dal confine americano.

Questa tornata elettorale, peraltro, in tempi di rinata guerra fredda, di Brexit, di interminabili conflitti commerciali, di Amazzonia in fiamme e di Artico che si squaglia, ha un peso specifico ancora maggiore, perché su ambiente, immigrazione e diritti civili il Canada è uno dei laboratori sociali e politici più avanzati del pianeta.

Un Paese-continente che è un rompicapo geopolitico: membro del G7, una delle 9 economie al mondo con la tripla A per l’affidabilità del suo debito, 9000 chilometri di confine con gli Stati Uniti e, dall’altra parte dell’Artico, una Russia sempre più minacciosa. Un Paese-continente dove il 18% della popolazione è di origine asiatica, il capo dello Stato è la regina Elisabetta e c’è una provincia, il Quebec, che parla francese.

Uno Stato Federale scosso da spinte centrifughe dove l’Alberta, che vive di petrolio, deve chiedere alla Colombia Britannica, che ha una delle legislazioni ambientali più avanzate al mondo, di far passare un oleodotto per vendere l’oro nero alla Cina. E dove l’Ontario, che produce auto per FCA, Ford, GM, Honda e Toyota, ha in Toronto – dopo S. Francisco e New York – il terzo hub tecnologico in Nord America, e anche quello che cresce di più.

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