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Orban

Come sta l’economia ungherese di Orban. Report Ispi

L’analisi di Antonio Villafranca e Matteo Villa dell’Ispi Con una larga maggioranza Fidesz, il partito di Viktor Orbán, ha vinto per la terza volta consecutiva le elezioni ungheresi. Se la conferma di Fidesz a primo partito della scena politica nazionale non pareva essere in discussione, più interessanti sono altri due dati: da un lato, la…

Con una larga maggioranza Fidesz, il partito di Viktor Orbán, ha vinto per la terza volta consecutiva le elezioni ungheresi. Se la conferma di Fidesz a primo partito della scena politica nazionale non pareva essere in discussione, più interessanti sono altri due dati: da un lato, la continua debolezza delle opposizioni moderate; dall’altro la consacrazione di Jobbik, partito ancora più a destra di Fidesz, a unica alternativa temibile. Sul piano internazionale, mentre nel 2010 il nazional-populismo di Orbán poteva ancora essere considerato un’eccezione in Europa, oggi c’è chi lo ritiene un precursore. A prima vista, l’Ungheria di oggi appare come un paese economicamente sano: tasso di disoccupazione che dopo la crisi è tornato rapidamente a uno dei valori più bassi in Europa (dal 11,3% del 2010 al 3,8% attuale), crescita economica dai ritmi sostenuti (+3,2% nel 2017) e finanze pubbliche piuttosto solide (il rapporto debito/PIL è al 73%, in discesa rispetto all’81% toccato all’apice della crisi).

La realtà, tuttavia, non è così rosea. Gli ungheresi sono i cittadini europei che tra il 1990 e oggi hanno visto i minori progressi dal punto di vista dell’aumento della speranza di vita, che resta oggi tra le più basse d’Europa (nel 2016 era 76,2 anni; persino inferiore a quella dell’Albania, che arriva a 78,5 anni). Ciò fa il paio con una crescita economica che non ha tenuto il passo degli altri tre paesi del gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) con cui l’Ungheria è solita confrontarsi. Infatti, malgrado il PIL pro capite ungherese sia oggi quasi raddoppiato rispetto a quello di venti anni fa (da 15 mila a 27 mila dollari), nel 1997 i cittadini ungheresi erano secondi solo a quelli cechi, mentre nel 2007 erano stati superati da quelli slovacchi, e nel 2017 anche da quelli polacchi (vedi grafico). In particolare, negli otto anni di governo Orbán la crescita complessiva dell’Ungheria è stata la più lenta tra quella dei paesi del gruppo di Visegrád.

 

Per ovviare a tutto ciò, nella costruzione del consenso interno Orbán ha adottato una classica strategia “paternalista”. Tra il 2010 e oggi Fidesz ha approvato una serie di concessioni e benefit, diretti in particolare al ceto medio e medio-basso. Le misure varate includono l’innalzamento delle pensioni, il taglio dei costi per l’energia, l’aumento del salario minimo e agevolazioni fiscali per le coppie con figli numerosi o che abbiano appena acquistato una casa. Una sorta di ricostruzione in senso conservatore del welfare state nazionale: un’inversione di rotta rispetto alla rapida liberalizzazione degli anni Novanta.

(estratto di un’analisi più ampia che si può leggere sul sito dell’Ispi)

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