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Ecco cosa (non) hanno fatto Conte e Gualtieri sul Mes

Tutte le contraddizioni fra annunci di Conte sulle modifiche al Mes e conclusioni dell'Eurogruppo sul Meccanismo Europeo di Stabilità. L'approfondimento di Giuseppe Liturri

Pare che siamo ormai prossimi alla firma della riforma del Trattato sul Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes). Infatti, l’Ansa, citando autorevoli fonti Ue, ha battuto alle 12,55 di venerdì 7 febbraio la notizia che “il trattato è chiuso e sarà firmato ad aprile dagli ambasciatori dei Paesi Ue, come già previsto dalla tabella di marcia dell’Eurogruppo… ci sono alcuni punti da risolvere… l’obiettivo è avviare la procedura di firma a partire da marzo”.

Non deve sorprendere il fatto che siano gli ambasciatori a firmare formalmente tale trattato, in quanto organi del ministero degli Affari Esteri, soggetto abitualmente titolato alla firma dei trattati internazionali.

Allo stesso modo, nessuna sorpresa per i lettori de La Verità e Startmag.it – uniche voci isolate seguite solo il 6 febbraio da Milano Finanza  – che sia l’1 che il 4 febbraio avevano avuto modo di leggere, con dovizia di particolari, quanto il Presidente dell’Eurogruppo aveva affermato in una lettera del 30 gennaio ai suoi colleghi, riassumibile in due punti fondamentali:

  1. Sul Mes c’era già un accordo in linea di massima sin da dicembre e c’erano solo da definire alcuni aspetti relativi allo status legale delle famigerate Clausole di Azione Collettiva (CAC). Entro marzo si sarebbe definito il tutto e si sarebbe passato alle firme. Le fonti Ue hanno pure precisato che è Parigi ad avere dei dubbi su queste clausole e quindi il ritardo non è nemmeno merito di Roma.
  2. Sul rafforzamento dell’Unione Bancaria, il cui pilastro principale è la garanzia comune sui depositi, c’erano delle linee guida già definite dal gruppo di lavoro presso l’Eurogruppo, su cui il lavoro sarebbe continuato fino alla fine del ciclo istituzionale in corso (2024). In particolare, erano già prefigurati alcun aspetti penalizzanti per l’eccessiva concentrazione di titoli di Stato nelle banche, davvero preoccupanti per il debito pubblico e le banche del nostro Paese.

Ma la novità – ed il problema – è invece pesante come un macigno per i rapporti tra il Parlamento ed il governo Conte bis. Senza voler risalire alla risoluzione Molinari-D’Uva del giugno 2019, ampiamente disattesa dai successivi vertici europei, è sufficiente rifarsi alla risoluzione di maggioranza approvata dal Parlamento l’11 dicembre 2019, appena prima dell’Eurosummit dei due giorni successivi, per ritrovare clamorosamente ignorati, per tabulas, i temi su cui il Parlamento aveva chiesto al governo di impegnarsi.

Riguardo al Mes, che si è pure portato avanti annunciando la nomina del nuovo capo economista, un danese che avrà un ruolo decisivo nel valutare preventivamente la sostenibilità del debito pubblico, il problema è sia di metodo che di merito e si fa fatica ad indicare quale sia il più grave. Nel merito, si deve ricordare che la citata risoluzione parla di “…mantenere la logica di pacchetto (Mes, BICC, Unione Bancaria) alla quale accompagnare ogni tappa mirata ad assicurare l’equilibrio complessivo dei diversi elementi al centro del processo di riforma dell’Unione economica e monetaria, approfondendo i punti critici…”.

Alla luce delle ultime parole provenienti da Bruxelles, ci si chiede come si possa essere un pacchetto equilibrato tra il Mes da approvare ora e subito, peraltro senza alcuna delle modifiche alle criticità emerse nel dibattito avvenuto, sia pur tardivamente, a novembre, e le altre due componenti del pacchetto che invece avranno tempi molto più lunghi e sulle quali già peraltro si addensano nubi preoccupanti. Quale potere contrattuale si potrà avere su BICC e completamento Unione Bancaria, quando una rilevante componente del negoziato è già stata definita?

La risoluzione parla inoltre di “assicurare la coerenza della posizione del Governo con gli indirizzi definiti dalle Camere, e il pieno coinvolgimento del Parlamento in tutti i passaggi del negoziato sul futuro dell’Unione economica e monetaria e sulla conclusione della riforma del MES…”.

Anche in questo caso, lo stridore generato dal contrasto con le parole di Bruxelles è assordante. Infatti, qui di coerenza e di pieno coinvolgimento non ce n’è neanche l’ombra.

Nel metodo, si deve sottolineare un enorme problema di trasparenza, anch’esso evidenziato su La Verità da Antonio Grizzuti ed oggetto di un’interrogazione parlamentare della Lega illustrata proprio giovedì 6 dal senatore Alberto Bagnai. Ad essa il Presidente Giuseppe Conte ha risposto ribadendo la riservatezza ed il segreto professionale per i lavori dell’Eurogruppo ed i verbali dell’Eurosummit. Ma questo è il meno. Conte ha incredibilmente sostenuto che non c’è “…alcuna finalizzazione del pacchetto di riforma del MES…”, facendo riferimento alla dichiarazione dell’Eurogruppo di dicembre. Peccato che il 30 gennaio e ieri sia stato clamorosamente smentito da documenti ufficiali e fonti autorevoli.

Quindi, da un lato c’è un chiaro mandato parlamentare, dall’altro ci sono le conclusioni ufficiali che arrivano dalle istituzioni europee che sembrano ignorare del tutto tale mandato e, per i parlamentari ed i cittadini italiani, non è possibile nemmeno sapere se e come i mandatari (Conte nell’Eurosummit, ed il ministro Roberto Gualtieri nell’Eurogruppo) abbiano correttamente adempiuto al mandato ricevuto.

Di particolare interesse la reazione del deputato Raphael Raduzzi, uno dei parlamentari del M5S dall’inizio più critici verso il MES, che alle 19,47 di venerdì 7 scriveva su Twitter “Facciamo ciao ciao agli alti funzionari” ed allegava una nota diramata poco prima in cui definiva “irrispettoso ed inaccettabile” affermare che la trattativa sul MES sia chiusa. Aggiungeva inoltre che quel testo, così riformato, è “pericoloso per l’Italia” e “non sostenibile”.

Dall’altro lato, il Presidente Conte faceva sapere che a febbraio non è prevista alcuna discussione sul MES, come se le conclusioni di Centeno del 30 gennaio non esistessero.

A completare e complicare ulteriormente il quadro è pure intervenuto sabato il ministro Roberto Gualtieri che, intervenendo ad un congresso a Brescia, ha ribadito la contrarietà alla ponderazione dei titoli di Stato nei bilanci delle banche. Anche in questo caso non mancano le perplessità, perché Gualtieri sembra dimenticare che i documenti preparatori dell’Eurogruppo parlano esplicitamente di penalizzazione per le banche che detengono un’eccessiva concentrazione di titoli di Stato. E cos’è se non una surrettizia ponderazione degli stessi? Considerando la gravità del tema, dato per perso il negoziato sul MES, forse all’Italia conviene dedicarvi per intero le proprie forze negoziali. I titoli di Stato hanno costituito la fortuna dei bilanci delle banche italiane, soprattutto dal 2012 in avanti, e non ci possono essere limiti di nessun genere per il loro acquisto e possesso.

Siamo quindi in una situazione di stallo o, ancora peggio, un dialogo tra sordi. In cui ognuno (Conte, la Ue ed i M5S) parla della stessa cosa in termini completamente diversi. Ma ormai il tempo a disposizione per questo balletto sembra esaurito ed è difficile che al termine tutti i contendenti riescano a cadere in piedi.

(articolo integrato e aggiornato rispetto alla versione pubblicata dal quotidiano La Verità dell’8 febbraio)

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