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Mes

Ecco come l’Eurogruppo ha smentito Conte e Gualtieri sul Mes

L'analisi di Federico Punzi per Atlantico Quotidiano

Per tre volte in due giorni – prima di entrare in riunione, nella conferenza stampa finale e nella lettera al presidente del Consiglio europeo Michel – le dichiarazioni del presidente Centeno sui lavori dell’Eurogruppo hanno certificato lo sdoppiamento di personalità del premier Conte e del suo ministro dell’Economia Gualtieri, che recitano una parte davanti al Parlamento e al pubblico italiani e tutt’altra a Bruxelles, dove la realtà del processo negoziale sul nuovo Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità) contraddice manifestamente la versione che si sforzano di rifilare in patria.

L’Italia non ha affatto “impedito di concludere” sulla riforma del Mes “finché tutti i punti che ritenevamo essenziali fossero stati definiti”, come ha rivendicato il ministro Gualtieri uscendo dall’ultimo Eurogruppo. Falso che non abbia dato “luce verde” al Mes, come finge di illudersi la sottosegretaria per gli affari europei grillina.

Al contrario, le dichiarazioni di Centeno di mercoledì e di giovedì confermano che l’accordo politico è stato raggiunto già a giugno e che all’ordine del giorno di questo Eurogruppo c’erano solo i dettagli, la documentazione tecnico-giuridica di secondo livello, che dovrebbe essere finalizzata entro gennaio per poter procedere alla firma del nuovo Trattato “entro il primo trimestre” 2020 e quindi alle ratifiche da parte dei parlamenti nazionali.

Le riportiamo in lingua originale: “Back in June, we already reached a broad agreement on ESM Treaty text. Leaders invited us to continue working on the legal documentation with the aim of concluding on the full package in December”. Ed è quello che l’Eurogruppo di dicembre ha fatto. Il testo del nuovo MES non è stato riaperto ieri, né lo sarà nelle prossime settimane. “Yesterday, we have reached an agreement in principle on all elements related to ESM reform”, ha ribadito Centeno.

Inequivocabili erano state le parole di Centeno anche prima dell’Eurogruppo: “Non vediamo la necessità di modifiche… abbiamo lavorato molto su questo e abbiamo preso una decisione a giugno… l’accordo politico è già stato raggiunto“. E anche nella lettera al presidente Michel in vista del Consiglio europeo del 13, Centeno non manca di usare espressioni come “the broad agreement reached at the Eurogroup last June” e “the political agreement found last June”.

L’accordo di principio è nella sostanza quello di giugno, ma anche se fosse stato raggiunto per la prima volta solo ieri, i termini della questione non cambierebbero di molto. Per questo il ministro Gualtieri ha parlato giovedì di accordo da “finalizzare”, come se il governo italiano non si fosse già impegnato – giugno o dicembre poco importa – su un testo chiuso, contraddicendo l’unico atto di indirizzo per ora adottato dal Parlamento, quello del 19 giugno scorso, e come se la risoluzione del prossimo 11 dicembre possa servire a qualcosa. Una finzione, perché da “finalizzare” non è l’accordo politico, come lascia intendere il ministro nella sua conferenza stampa al solito giocando sull’equivoco, ma sono appunto i dettagli legali per poter procedere alla firma.

Il patetico tentativo per tenere in piedi la maggioranza giallo-rossa si regge quindi su uno stop, un rinvio che sulla sostanza dell’accordo non c’è, e un risultato negoziale trascurabile su un dettaglio tecnico, la “sub-aggregazione dei titoli”.

Peggio, anche il cosiddetto “approccio a pacchetto” esce a brandelli da questo Eurogruppo. Uno stop infatti c’è stato ma riguarda uno dei tre pilastri che avrebbe dovuto far parte del “pacchetto” che il Parlamento italiano aveva impegnato il governo a porre come condizione prima di esprimere una valutazione definitiva sul nuovo Mes.

Sull’unione bancaria infatti lo stallo è totale, a tal punto che non è il caso di iniziare una discussione a livello politico ministeriale ed è inutile persino fissare una data. Mentre il testo di riforma del Mes è pronto e sarà sul tavolo dei leader Ue per la firma entro il primo trimestre 2020, il completamento dell’unione bancaria, inclusa la garanzia sui depositi, sarà un “aspetto chiave” dell’agenda dei ministri delle finanze il prossimo anno, ma non si sa nemmeno a partire da quando.

“Presi insieme – ha ricordato Centeno – tutti questi elementi contribuiscono a un pacchetto complessivo di approfondimento della nostra unione economica e monetaria”. Già, peccato che non siano “presi insieme”. Il rispetto della “logica a pacchetto” vorrebbe che la bozza di riforma del Mes venisse congelata almeno fino a quando i ministri non siano pronti a “finalizzare” anche su unione bancaria ed Eurobudget.

Da tutto questo si può concludere che lo scorso 19 giugno, mentre svolgeva le sue comunicazioni alle Camere e dava parere favorevole sulla risoluzione della sua maggioranza, il presidente Conte sapeva che un accordo politico era stato già raggiunto, e quindi il Parlamento non avrebbe potuto esprimersi se non con un prendere o lasciare, e che l’”approccio a pacchetto” che stava sposando era in realtà già saltato. Non c’era nessun pacchetto, non c’è mai stato, semmai solo un “pacco”.

Certo, l’11 dicembre ci sarà una nuova risoluzione, ma di fatto il Parlamento è stato messo di fronte al fatto compiuto, esattamente come con Fiscal Compact e Bail in: un testo chiuso, un accordo politico raggiunto, manca solo la firma. Conte e Gualtieri rivendicheranno come rispettoso delle prerogative del Parlamento il passaggio della lettera di Centeno in cui si specifica che l’accordo di principio è “subject to the conclusion of national procedures”, ma non è nulla più che un pro forma. Un eventuale disimpegno all’ultimo momento, o qualsiasi cosa diversa da un via libera, sarebbe come non presentarsi all’altare il giorno delle nozze: il prezzo politico, e probabilmente anche finanziario, sui mercati, che ci verrebbe fatto pagare sarebbe alto.

 

Articolo pubblicato su atlanticoquotidiano.it

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