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Deep State

Ecco come le aziende Usa evitano i dazi di Trump sulla Cina importando da Vietnam, Taiwan e Corea del Sud. The Donald gongola?

L'approfondimento di Andrea Mainardi

 

Cosa si celi dietro l’ennesimo tentativo di cessate il fuoco commerciale tra Cina e Usa sui dazi lo può dire davvero solo il tempo. Il G20 giapponese ha sancito una fragile tregua che ricorda una fotocopia di quella stabilita in dicembre a Buenos Aires, sempre in G20. Gli attori in campo sono gli stessi. La domanda è se la nuova apertura produrrà risultati migliori di quelli 2018. Certo: la lotta tra Donald Trump e Xi Jinping sembra spostare gli equilibri dal fu Celeste impero ad altri paesi asiatici. Ma durerà?

ALTRE VIE OLTRE LA SETA

Lo illustra bene un’inchiesta del Wall Street Journal di alcuni giorni fa e un grafico elaborato da Statista che mette a fuoco lo scenario. Le società statunitensi stanno valutando altre opzioni per evitare le tariffe attualmente applicate sui beni provenienti dalla Cina. Per i primi quattro mesi del 2019 le importazioni dal Vietnam, da Taiwan e dalla Corea del Sud sono aumentate rispettivamente del 38,4, 22,1 e 17,1 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, mentre le importazioni dalla Cina sono diminuite del 12,8 per cento. Il Vietnam, in particolare, ha tratto profitto dalla disputa commerciale in quanto fornisce molti dei beni che sono tipicamente importati dalla Cina e che ora sono colpiti dalle tariffe.

IL CASO APPLE

Apple, ad esempio, starebbe considerando di spostare fino al 30% della produzione di iPhone dalla Cina, con India e Vietnam come migliori candidati. Circa 5 milioni di posti di lavoro cinesi si basano sulla presenza di Apple nel paese, compresi quelli di oltre 1,8 milioni di sviluppatori di software e iOS, secondo uno studio disponibile sul sito web della società. L’azienda californiana impiega 10.000 dipendenti in Cina. Lentamente, ma il vento sta cambiando. Come riporta una fonte citata da Asian Review: “Un tasso di natalità inferiore, un costo del lavoro più alto e il rischio di centralizzare eccessivamente la produzione in un Paese, sono fattori negativi”. Con o senza il round finale sui dazi, Cupertino si sta guardando intorno. I fornitori ammettono che la replica oltre la Grande Muraglia richiederà tempo. La Cina rimarrà probabilmente la più importante base manifatturiera di Apple per il prossimo futuro. Assemblatori di iPhone come Foxconn, Pegatron, Wistron; i maggiori produttori di MacBook, Quanta Computer; i produttori di iPad, Compal Electronics e AirPods, Inventec, Luxshare-ICT e Goertek sono stati invitati a valutare le opzioni al di fuori della Cina, affermano diverse fonti ad Asian Review. Ma servirà tempo. Molto. Un dato: sebbene il fornitore di Apple Wistron abbia assemblato iPhone meno costosi in India dal 2017, i volumi sono stati irrisori. Oltre il 90% dei prodotti Apple è ancora preparato in Cina. Qualche mese fa il numero dei fornitori cinesi e di Hong Kong ha superato per la prima volta quelli negli Stati Uniti, rappresentando 41 dei 200 maggiori fornitori, secondo una ricerca Nikkei. Numeri che a Washington, a un anno dalle elezioni, non possono essere ignorati.

CHE FARE CON HANOI

Secondo i dati della United States International Trade Commission, citata dal Financial Times, le importazioni statunitensi di telefoni cellulari dal Vietnam sono più che raddoppiate nei primi quattro mesi del 2019 rispetto allo stesso periodo 2018, mentre le importazioni di computer sono aumentate del 79%. Anche calzature, tessuti e mobili dal Vietnam hanno visto un aumento della domanda da parte degli Stati Uniti, così come il pesce, che veniva tradizionalmente trasformato in Cina per il consumo negli Stati Uniti prima dell’impennata dei dazi. Il forte aumento delle importazioni statunitensi dal Vietnam ha visto l’economia del Paese del sud-est asiatico scavalcare diversi Paesi fino a diventare l’ottavo partner di importazione per gli Stati Uniti nei primi quattro mesi del 2019. L’anno scorso, il Vietnam si è classificato al 12° posto in classifica, superando Irlanda, Italia, India e Francia.

IL “TRUCCO”

Molti prodotti verrebbero spacciati come vietnamiti per cercare di evitare le tariffe imposte dagli Usa alla Cina. Alcuni esportatori trasportano le merci dalla Cina al Vietnam, dove avviene una piccolissima parte della lavorazione, e poi riesportano la merce negli States come se fossero di produzione vietnamita doc. Oltre al Vietnam, gli altri principali beneficiari della guerra commerciale Pechino-Washington sono Taiwan, Cile, Malesia e Argentina.

A OSAKA FU VERA TREGUA?

Per Scott Kennedy, specialista di Cina presso il Center for Strategic and International Studies di Washington, né TrumpXi Jinping sono pronti a scendere a compromessi. Nel frattempo – argomenta – la guerra tecnologica continuerà ad intensificarsi.

DURO COME L’ACCIAIO

Il professor Giulio Sapelli, storico ed economista, ha spiegato che i beni che gli Stati Uniti importano dalla Cina sono di basso costo, come l’acciaio. Però di una qualità molto scadente, e l’intenzione di Trump ma soprattutto del Pentagono, che ha bisogno di avere acciaio di ottima qualità per la produzione di armi, è quello di puntare a un import di beni ad alta intensità tecnologica. Dice Sapelli: “A muovere i fili di tutti gli equilibri in America, e quindi nel mondo, non è Trump, ma il Pentagono e le grandi imprese. Trump ci mette del suo, ma essendo così debole da un punto di vista politico il complesso industriale imprenditoriale ha ripreso il potere negli Stati Uniti e sta conducendo la sua battaglia contro il complesso finanziario che invece vorrebbe mettere l’America in braccio alla Cina e smantellare il complesso industriale e di sicurezza americano e quindi mondiale”.

IN MONEY WE TRUST

Che siano le aziende a decidere l’esito della guerra commerciale lo documenta quanto gira intorno all’affaire Huawei. Mr Donald, nello spiegare la tregua concordata con la Cina, ha detto sabato: “Le compagnie americane possono vendere le loro attrezzature a Huawei. Sto parlando di equipaggiamenti per i quali non c’è un grande problema di emergenza nazionale. Abbiamo un sacco di grandi aziende in Silicon Valley, e in diverse parti del paese, che realizzano tecnologie estremamente complesse”. Ma già oggi – lo riferisce Reuters rilanciata da Milano Finanza, John Sonderman, vicedirettore dell’ufficio di Export Enforcement, che fa parte del Commerce Department’s Bureau of Industry and Security (BIS), ha cercato di chiarire in una mail ai dipendenti in che modo i suoi agenti dovrebbero trattare le richieste di licenza delle società americane che intendono collaborare con Huawei negli Usa: tutte le richieste devono essere valutate all’interno del regolamento dell’Entity List, che tratta le società oscurate (balcklisted). Analizza Mf: la conseguenza è che il bando su Huawei resta.

NAVIGANDO NEL PACIFICO

Asia News ricorda il crescente peso geopolitico del Vietnam che conferisce ad Hanoi un ruolo sempre più cruciale nella strategia degli Stati Uniti per la regione dell’Indo-Pacifico. Da anni il Paese partecipa alle più importanti organizzazioni internazionali della regione; il primo gennaio 2020, assumerà la presidenza annuale dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (Asean). Hanoi oggi beneficia della lotta Usa-Cina. Ma qualcosa anche qui può cambiare. Gli Stati Uniti stanno indurendo il loro approccio. La scorsa settimana Trump ha descritto il Vietnam come “quasi il peggiore di tutti” quando gli è stato chiesto se intendesse imporre dazi. È notizia recente: il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha annunciato che imporrà dazi fino al 456% su determinati acciai prodotti in Corea del Sud o Taiwan destinati ad essere spediti in Vietnam per lavorazione secondaria e poi esportati negli Stati Uniti.

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