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Germania Elezioni

Ecco come le aziende tedesche aggirano le sanzioni alla Russia

L’approfondimento di Pierluigi Mennitti da Berlino su alcuni casi di imprese che in Germania riescono ad evitare le sanzioni Ue contro Mosca È una giornata uggiosa di fine autunno quella del 23 novembre di un anno fa sullo stretto di Kerch, il braccio di mare che separa la Crimea orientale dalla Russia continentale. Proprio lì…

È una giornata uggiosa di fine autunno quella del 23 novembre di un anno fa sullo stretto di Kerch, il braccio di mare che separa la Crimea orientale dalla Russia continentale. Proprio lì gli ingegneri di Putin stanno puntellando gli ultimi piloni di quel ponte che sei mesi dopo suggellerà di fatto l’annessione a Mosca della penisola contesa. Tra la foschia e l’andirivieni dei lavori, passa quasi inosservato il passaggio della nave cargo HHL Mississippi, dell’Hansa Heavy Lift di Amburgo. Il gigante del mare, battente bandiera liberiana con un carico di 10mila tonnellate di materiale, piega ancora verso il lato est dello stretto e si avvicina al porto di Kavkaz, un bacino protetto dalle dighe su una lingua di terra che si protende dalla costa russa. Trasporta ilmenite caricata qualche giorno prima nel porto norvegese di Jossingfjord e prodotto dalla Titania Kronos. L’ilmenite è un minerale di ferro e titanio utilizzato per produrre vernici spry di alta qualità, adoperate anche per la fabbricazione di armi. Non è chiaro se ne sia vietata la vendita ai russi ma è certo che le sanzioni imposte dall’Ue proibiscono il loro eventuale utilizzo in Crimea.

Kavkaz è di per sé un porto delle nebbie, anche quando vi splende il sole. Per la sua breve distanza dalla Crimea è l’approdo prediletto di ogni traffico che punta ad aggirare le sanzioni imposte a fatica da Bruxelles. Ma la nave tedesca non ci entra neppure, un ponte troppo basso impedirebbe le manovre di attracco. Così l’ilmenite viene scaricata in mare aperto, su una nave mercantile russa, la Nefterudovoz-2. Che, una volta fatto il pieno, invece di entrare nel porto di Kavkaz si dirige verso quello di Kamysh-Burun, in Crimea.

I movimenti sono stati registrati dai radar sensibili di una Ong, la Black Sea News, i cui attivisti monitorano le rotte di ogni nave che si approssimi alla costa della Crimea, registrando nomi, carichi, consegne. La possibile infrazione del regolamento che governa le sanzioni Ue è ora sul tavolo della procura di Amburgo. E ha sensibilizzato le antenne della radio pubblica tedesca Deutschlandfunk, che ha avviato una serie di ricerche. Anche perché i movimenti sospetti sono almeno due: il secondo riguarda un’altra nave cargo tedesca, la motonave Callisto della Heinz Corleis KG di Stade che, esattamente un mese dopo, ha portato un carico analogo seguendo lo stesso tragitto fino allo scarico su una nave russa di fronte al porto di Kavkaz. Con l’aggravante che la sua capacità di carico è più del doppio di quella della Mississippi: teoricamente la Callisto potrebbe aver trasportato fino a 25mila tonnellate di ilmenite, finite poi illegalmente in Crimea.

Le due compagnie armatrici tedesche hanno confermato ai giornalisti di Deutschlandfunk i trasporti avvenuti, dalla Norvegia a Kavkaz, ma hanno provato a declinare ogni responsabilità sulla destinazione finale in Crimea. “Non ne sappiamo nulla e se lo avessimo saputo l’avremmo immediatamente impedito”, hanno testualmente detto da Amburgo. E dalla Heinz Corleis hanno ribadito lo stesso concetto: “Confermiamo il trasporto ma non abbiamo idea di dove sia stato portato il carico dopo la consegna, perché esula dalle nostre responsabilità. Non ravvediamo ipotesi di violazione delle sanzioni”.

Non ne è convinta la procura di Amburgo, presso la quale è stata sporta denuncia contro i due armatori. E dubbi assillano anche gli inquirenti norvegesi, dal momento che indagini sono in corso anche in Scandinavia proprio per sospetta infrazione delle sanzioni europee alla Russia, come ha confermato alla radio tedesca il ministero degli Esteri di Oslo. Il coordinatore di Black Sea News, il giornalista Andrij Klymenko, invita invece a guardare oltre l’ipocrisia: “È stato probabilmente interrotto un triangolo losco tra la parte russa, il produttore norvegese e le due compagnie armatrici tedesche per il trasporto di materiale nel porto russo di kavkaz, ben sapendo che la spedizione sarebbe poi finita in Crimea”, ha detto a Deutschlandfunk. Per Klymenko, che ha dovuto lasciare la Crimea perché la sua attività di giornalista era diventata rischiosa, le giustificazioni non reggono: la Russia non ha bisogno di ilmenite, perché la produce in quantità sufficiente negli Urali per i suoi fabbisogni interni, mentre ce n’è bisogno in Crimea, dove a Simferopoli è posizionata la flotta del Mar Nero. Lì c’è un impianto che lavora il metallo fin dai tempi dell’Urss e bisogna assicurare che non manchino mai i rifornimenti. Non c’è molto da sorprendersi se un trasporto viene commissionato per giungere nel porto di Kavkaz, conclude il giornalista, le ditte europee dovrebbero aprire le orecchie perché quel porto è spesso utilizzato proprio per aggirare le sanzioni Ue.

Non è la prima volta che aziende tedesche vengono sospettate di eludere quelle sanzioni così strenuamente volute e difese dal governo di Berlino, nonostante l’opposizione del mondo economico, di un folto gruppo trasversale di deputati del Bundestag e soprattutto della Ost Ausschuss-Osteuropaverein, la potente associazione che tutela gli interessi delle imprese tedesche in 29 paesi dell’Europa orientale e dell’Asia centrale. Due settimane fa si è concluso con successo il test di due turbine Siemens nella centrale elettrica di Simferopoli. Altre due verranno a breve testate nella centrale di Sebastopoli e tutte e quattro entreranno ufficialmente in funzione nel prossimo autunno. Si tratta di quattro turbine a gas del valore di 200 milioni di euro ordinati nel 2015 alla Siemens dalla russa Technopromexport, società controllata dal gruppo statale Rostec. Una commessa che l’azienda di Monaco non aveva segnato a registro e che non sarebbe mai venuta alla luce se i media russi non l’avessero scoperta e rilanciata pubblicamente.

Siemens è dovuta correre ai ripari. I suoi manager hanno sostenuto che il trasporto in Crimea aveva violato gli accordi con i russi, i quali avevano assicurato l’impiego delle turbine a Taman e per questo aveva fatto causa alla Technopromexport, tentando anche il riacquisto. Ma a Taman (che curiosamente si trova nella regione di Krasnodar, ad appena 20 chilometri da Kavkaz, quindi oggi a un tiro di schippo dal nuovo ponte che porta in Crimea) nessuna centrale è mai stata pianificata. Al contrario sono state realizzate a Simferopoli e Sebastopoli, per l’urgente bisogno di superare l’emergenza energetica che ha colpito la Crimea dopo che gli ucraini avevano tagliato le forniture.

Interpellato da Deutschlandfunk, Tobias Weihmann, attivista dei diritti civili tedesco residente a Kiev e grande esperto del Siemens-gate, ha avanzato dubbi sulla limpidezza della reazione dei tedeschi: per il ricorso non è stato concordata una sede come ad esempio Stoccolma, dove in caso di inadempienza contrattuale sarebbe stato possibile ottenere qualche successo, ma il tribunale di Mosca, un organo non noto per la sua indipendenza. Il mese scorso il tentativo giudiziario di Siemens è fallito definitivamente. Un anno fa, per questa vicenda, l’Ue ha imposto nuove sanzioni a tre russi, due funzionari del governo e il direttore della società che aveva acquistato le turbine.

Intanto la procura di Amburgo è ancora al lavoro per stabilire se Siemens debba essere accusata di aver violato le sanzioni o meno. L’articolo 9 del regolamento delle sanzioni infatti demanda ai singoli Stati dell’Ue l’osservanza delle misure e le punizioni per le eventuali violazioni.

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