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Stati Uniti Russia

Vi spiego che cosa (non) cambia dopo il duetto mediatico fra Trump e Putin

L’analisi del generale Carlo Jean sul piccolo show di Trump e Putin davanti alle telecamere Su quanto i presidenti americano e russo abbiano discusso e sugli accordi a cui sono eventualmente pervenuti nel summit di Helsinki di lunedì scorso, si conosce poco o nulla. L’incontro, durato oltre due ore, si è svolto con i soli…

Su quanto i presidenti americano e russo abbiano discusso e sugli accordi a cui sono eventualmente pervenuti nel summit di Helsinki di lunedì scorso, si conosce poco o nulla.

L’incontro, durato oltre due ore, si è svolto con i soli interpreti. Alla fine, non è stato emanato un comunicato stampa congiunto. Anche nella conferenza stampa di circa mezzora seguita all’incontro, si è detto ben poco di concreto.

Non si è parlato, se non in termini del tutto generici e scontati, né di intese né di dissensi sui grandi problemi geopolitici attualmente sul tappeto: la guerra che continua in Siria; il nucleare iraniano e quello nordcoreano; la questione Ucraina; i rapporti con la Cina e con l’India; la sicurezza cibernetica, la proliferazione, oggi qualitativa e non più prevalentemente quantitativa, come era stata nel corso della guerra fredda, degli armamenti nucleari strategici e delle altre misure di controllo delle armi nucleari, in particolare di quelle a raggio intermedio o euromissili.

La conferenza stampa è stata soprattutto incentrata sulla questione delle interferenze di Mosca sulle elezioni americane e sul sospetto che il Cremlino sia in possesso di documenti compromettenti per Trump e per suoi familiari. Essa è stata sostanzialmente uno show rivolto, per Trump, all’opinione pubblica americana e, per Putin, anche a quella mondiale.

Le affermazioni fatte dai due presidenti su altri argomenti sono state tanto generali da non aggiungere nulla a quanto già si sapeva: la volontà di riprendere i negoziati sul controllo delle armi nucleari, in particolare sul trattato “Nuovo Start” la cui validità scade nel 2021; la preoccupazione israeliana per la presenza militare iraniana in Siria e il comune auspicio che venga garantita la sicurezza dello Stato Ebraico; la lotta contro il terrorismo; la cooperazione per la pace internazionale, ma senza specificare in che cosa dovrebbe consistere; e così via. Non si è parlato della Cina, “convitato di pietra” al Summit di Helsinki.

Nello show mediatico, Putin ha decisamente surclassato Trump, che si è lasciato andare a varie affermazioni “fuori riga”, confermando nei suoi oppositori i sospetti che sia vero che Putin possegga su di lui notizie compromettenti.

In particolare, il presidente Usa ha affermato che i rapporti con la Russia si sono deteriorati a seguito anche di errori e di precise responsabilità americane e che le accuse d’interferenza della Russia nelle elezioni presidenziali americane sono una fake news. Ha così smentito e quasi ironizzato sull’Fbi e sulla Cia. Implicitamente ha ammesso che dava più credito alle “nette e forti” affermazioni di Putin sull’estraneità russa a ogni interferenza indebita.

Le parole di Trump hanno criticato il rinvio a giudizio da parte del procuratore speciale per il Russiagate, Robert S. Mueller, di 32 persone di cui 12 agenti dell’intelligence russa, accusati di aver manipolato le email di Hillary Clinton. Ciò ha dato buon gioco a Putin di rincarare la dose, proponendo che Mueller vada a Mosca a interrogare i presunti responsabili russi, in cambio della concessione a magistrati russi di interrogare altrettanti agenti dei servizi segreti americani.

In questo, Putin ha giocato con Trump, malgrado la differenza di corporatura, come un gatto con un topo. Lo ha nettamente surclassato, diffondendo costernazione a Washington, anche fra i sostenitori di Trump.

Per i suoi oppositori, Trump avrebbe addirittura tradito il suo paese, riconoscendone quasi la responsabilità per le aggressioni russe. Ha dato prova di incapacità e di ingenuità politica, subendo il fascino dell’uomo forte di Mosca, nei confronti del quale ha dimostrato un’aperta ammirazione.

Putin ha magistralmente sfruttato la situazione, cercando di seminare zizzania fra gli Usa e i loro alleati europei. E’ stato in questo incredibilmente aiutato da Trump, che ha definito gli europei nemici commerciali degli USA, riservando alla Russia la più benevola definizione di concorrente nel settore energetico.

Si è trattato insomma di una delle performance più disastrose del presidente Usa e di una completa legittimazione delle capacità strategiche e comunicative di Putin. La semplice accettazione del Summit da parte degli USA era già stata una grande vittoria di Putin, consolidandone ovunque il prestigio, soprattutto fra le forze antisistema e antiamericane in crescita nell’Unione Europea.

Sul suo indebolimento i due presidenti hanno interesse ad accordi bilaterali con i vari paesi, anziché a relazioni con un’Europa unita, che dispone di maggiore forza negoziale, sia economica che strategica.

Le critiche di Trump nei confronti degli europei, secondo lui profittatori della protezione americana nella Nato e del mercato americano, indeboliscono i legami transatlantici, essenziali per la sicurezza europea e, a parer mio, anche per la superiorità globale americana. Il mercantilista Trump sembra non esserne completamente consapevole.

Il successo diplomatico che sperava dal Summit, si è rivelato una sua personale disfatta. Beninteso, anche se la simbologia ha grande importanza in politica e diplomazia, i risultati mediatici non mutano gli equilibri di potenza.

Gli Usa, malgrado il loro presidente, rimangono al centro dell’ordine mondiale. Comunque, la Russia per merito di Putin non può essere più considerata una potenza solo regionale. E’ divenuta globale.

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