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Conte novello Monti? L’opinione di Cazzola

Che cosa pensa Giuliano Cazzola dello scenario delineato dal Corriere della Sera sulla trasformazione "montiana" del premier Giuseppe Conte

Si può discutere a lungo se l’editoriale di Paolo Mieli sul quotidiano di via Solferino contenga elementi di una visione politica oppure sia semplicemente uno scritto visionario. È indubbio, però, che in quelle righe è indicata, per il Paese, una prospettiva non campata per aria ma che poggia su dati concreti. Innanzi tutto, Mieli ha il pregio di ricordare, anche a chi è affascinato da Matteo Salvini, che – a parte la (mala) gestione delle politiche sull’immigrazione e l’introduzione sperimentale di misure di anticipo della pensione, con esiti piuttosto deludenti – il Capitano, nonostante i vistosi consensi ottenuti il 26 maggio, ha dovuto accettare che con l’assestamento di bilancio prevalesse la linea di Palazzo Chigi (e del Quirinale) protesa ad evitare la procedura di infrazione avviata da una Commissione europea sbertucciata, insultata e vilipesa fino ad un minuto prima della resa senza condizioni (Salvini si è limitato a ‘’bigiare’’ la riunione del Consiglio dei Ministri che ha varato il provvedimento).

È altrettanto evidente che Conte e Tria hanno preso con Bruxelles (la nuova Commissione seguirà gli indirizzi di quella che ha esaurito il proprio mandato) degli impegni solenni anche per quanto riguarda la legge di bilancio per il 2020, i cui adempimenti escludono che via sia spazio per quell’aborto di flat tax messa a punto da Armando Siri e per quell’autonomia differenziata a cui tengono i potenti governatori della Lega, la cui protesta scomposta è rivolta verso lo stesso Salvini prima ancora che del governo. In sostanza, si è potuto brindare sul balcone, si è insultata la Ue in tutte le piazze d’Italia, ma sia la manovra per l’anno in corso, sia la sua correzione sono stati l’esito di un confronto con la Commissione di cui sono stati protagonisti Conte e Tria. Il Capitano ha urlato a squarciagola ‘’Arbitro cornuto!’’ ma non ha toccato palla. E la Lega non solo non conta nulla nel Parlamento europeo, ma viene tenuta alla larga anche dagli altri gruppi sovranisti (tranne che dagli eredi di Vichy). Salvini può anche vantarsi di non aver votato per Ursula, ma è stata lei a respingere come inaccettabili i suffragi della Lega e di Marine Le Pen.

Va altresì riconosciuto a Conte di aver acquisito un profilo politico, nonostante che fosse privo di una forza autonoma. E di aver influenzato un’evoluzione del M5S che, magari per opportunismo, in pochi mesi è passato dal reggere la coda ai gilet gialli fino ad essere determinante nella elezione della presidente della Commissione proposta da Angela Merkel. Duramente sconfitti in tutte le elezioni svoltesi dopo il 4 marzo 2018, i pentastellati non hanno cercato la salvezza nella loro originaria vocazione rivoluzionaria, ma hanno indossato il doppiopetto e si stanno facendo carico delle ‘’compatibilità’’ e delle coperture finanziarie. Tutto ciò premesso, l’articolo di Mieli si spinge più avanti ed arriva ad ipotizzare – così lo hanno definito i critici, non l’ex direttore – un ‘’nuovo arco costituzionale’’ simile a quello prefigurato da Dario Franceschini che nell’intervista a Maria Teresa Meli (sempre sul Corriere) ha affermato: ‘’ io vorrei che si lavorasse per cercare di costruire, e so quanto sarà difficile e faticoso, un arco di forze che, anche se non governano insieme, sono pronte a difendere insieme i valori umani e costituzionali che Salvini calpesta e violenta ogni giorno”. In sostanza, se Salvini dovesse provocare una crisi di governo – non lo farà perché prima o poi l’opinione pubblica si renderà conto della gravità del Russiagate e il Capitano non sarà così sciocco da dover condurre una campagna elettorale in difesa – non è detto che si debba per forza ricorrere alle elezioni anticipate.

Il Quirinale potrebbe mettere in campo un Conte bis (questa volta senza farsi imporre un premier sconosciuto) che riceva da una maggioranza parlamentare (Pd, M5S e – perché no ? – una parte di Forza Italia) un mandato a governare. Un’alchimia complessa sicuramente, anche sul piano delle espressioni di voto (i ‘’governi delle astensioni’’ non sono una novità in Italia). Ma chi avrebbe creduto possibile un’alleanza giallo-verde nel 2018? E chi avrebbe mai pensato che, nella XVI Legislatura, il Pd e il PdL (insieme ad altri partiti) avrebbero sostenuto il governo Monti? Oggi sono in gioco questioni ben più importanti di quelle pur gravi dell’autunno 2011. C’è uno spread di valori democratici; c’è un regime proto-fascista alle porte, pericoloso sul piano interno ed internazionale. Chi non se ne rende conto sarà chiamato a risponderne davanti al tribunale della Storia. Serve una nuova svolta di Salerno. Magari soltanto in sedicesimo.

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