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Industria 4.0

Conte, la cultura e il mondo al tempo dei quanti

Il mondo al tempo dei quanti. Perché il futuro non è più quello di una volta. Il Bloc Notes di Michele Magno È vero: la cultura è stata colpevolmente assente nel discorso programmatico pronunciato dal presidente del Consiglio nell’aula di Palazzo Madama. E qualcuno del Pd ha subito preso la palla al balzo per ricordare…

È vero: la cultura è stata colpevolmente assente nel discorso programmatico pronunciato dal presidente del Consiglio nell’aula di Palazzo Madama. E qualcuno del Pd ha subito preso la palla al balzo per ricordare che nella Legge di stabilità 2015 il bonus di cinquecento euro già previsto per i docenti fu esteso ai neomaggiorenni, affinché (Matteo Renzi, allora premier, dixit) lo potessero spendere in “teatri, musei concerti e cultura”.

In verità, non sembra che l’idea abbia entusiasmato i diretti interessati. I più l’hanno giudicata come una paghetta di tipo elettorale. Eppure, quella misura non sarebbe stata priva di qualche positivo significato simbolico se fosse servita, almeno in parte, all’acquisto di buoni testi sulla rivoluzione scientifica che nel Novecento ha cambiato la visione del mondo e il mondo stesso. Penso, ad esempio, a libri come quello di Mario Agostinelli e Debora Rizzuto, Il mondo al tempo dei quanti. Perché il futuro non è più quello di una volta (Prefazione di Gianni Mattioli e Massimo Scalia, Postfazione di Giorgio Galli, Mimesis, 2016).

Più che nel fortunatissimo volumetto di Carlo Rovelli (Sette brevi lezioni di fisica), in questo saggio le finalità divulgative non sono scisse da un ritratto della transizione in atto nel pianeta, che intende smuovere il lettore dalle sue più inveterate pigrizie mentali. “Finché la conoscenza scientifica -scrivono gli autori- sarà riservata a specialisti e l’opinione pubblica ne sarà partecipe solo tramite una volgarizzazione grossolana, l’incontro con l’irrazionale e con la complessità ricorrente dei nostri tempi continuerà a toccare solo i più colti nella forma nobile dell’arte, o solo i più impegnati nella forma esplosiva della passione, o, ancora, i succubi in quella passiva della mistificazione. Eppure una sintesi condivisibile di intuito, ragione, sentimento e ricerca del bene comune un tempo era prerogativa della….politica!”.

In altri termini, la tesi del libro è che la politica non è esente da grosse responsabilità nelle fratture epocali che affliggono l’umanità. Nelle carte antiche le terre sconosciute venivano indicate con hic sunt leones, qui sono i leoni. Noi siamo in un mondo pieno di leoni. Non ci sono soltanto il terrorismo islamico e la polveriera mediorientale. Ci sono anche il boom demografico, gli squilibri climatici e le pressioni migratorie, l’esplosione di nazionalismi e particolarismi etnici, la diffusione degli arsenali nucleari, una globalizzazione in cui si allargano il “digital divide” e la forbice della ricchezza tra i popoli e gli individui.

Ritorna così in primo piano il tema dei diritti, vecchi e nuovi. Dei diritti umani e della natura, dei diritti del cittadino e del lavoratore. E di quelli rivendicati dalle pacifiche rivoluzioni novecentesche delle donne, degli ecologisti, della scienza e della tecnica. Sfide enormi e drammatiche, che secondo gli autori richiedono diagnosi e terapie nuove, non contraddittorie con le conquiste del pensiero scientifico più attuale.

Non è qui possibile descrivere tutte le ricette suggerite da Agostinelli e Rizzuto per un cambio di paradigma nella lotta contro la povertà e la fame, la crisi energetica e il degrado ambientale; e nella lotta, più in generale, contro un uso delle risorse naturali dissennato e subalterno ai mantra del determinismo tecnologico. Basti osservare che esse danno un forte e salutare scossone alla vecchia cultura “produttivistica” di quello che un tempo si chiamava movimento operaio. Tuttavia, non sono tra coloro che pronosticano scenari apocalittici indotti della diffusione della robotica.

Il vero nodo non è quanti lavori scompariranno e quanti ne verranno creati (interrogativo che si è proposto ad ogni rivoluzione industriale), ma quanta diseguaglianza sarà prodotta dalle applicazioni dell’intelligenza artificiale. Il “postfordismo degli automi”, per così dire, tende infatti ineluttabilmente a promuovere chi ha competenze più elevate, lasciando indietro chi ha professionalità modeste. Il rischio di una spaccatura sociale tra chi “sa” e chi “non sa” (o sa meno) quindi c’è, e sarebbe un errore madornale sottovalutarlo.

Tra i numerosi meriti del libro, non si può sottacere il suo lucido esame di come il “trading algoritmico” (in cui la velocità è tutto) stia influenzando il rapporto tra economia di mercato e sistemi parlamentari. Rapporto che è tornato problematico grazie ad un massiccio spostamento del potere di decisione verso le oligarchie finanziarie e le grandi multinazionali informatiche. D’altronde, già all’inizio dello scorso decennio Colin Crouch parlava di “postdemocrazia”. È pertanto fondata l’invocazione di una democrazia realmente deliberativa e pluralistica.

Ma con quali strumenti e forme organizzative può essere implementata? Fin qui l’unica proposta in campo è quella nata da una idea mitologica della Rete, secondo cui lo “scettro del comando” va restituito ai cittadini attraverso un uso intensivo dell’istituto del referendum (senza quorum), dove “ognuno vale uno”. Solo che, come ormai è sempre più evidente, si tratta proprio dell’aspetto più debole dell’universo ideologico-culturale costruito da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio.

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