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Come cambieranno Bei e Bers

Presente e futuro di Bei e Bers. L’analisi di Franco Passacantando tratta da Affari Internazionali L’Unione europea ha sempre fornito un contributo importante per il supporto finanziario allo sviluppo ma le istituzioni di cui si avvale, soprattutto la Banca europea degli investimenti (Bei) e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers), sono state concepite per rispondere a esigenze…

L’Unione europea ha sempre fornito un contributo importante per il supporto finanziario allo sviluppo ma le istituzioni di cui si avvale, soprattutto la Banca europea degli investimenti (Bei) e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers), sono state concepite per rispondere a esigenze molto diverse da quelle di oggi. Per approfondire i problemi posti dall’attuale architettura finanziaria per lo sviluppo e per formulare proposte di riforma, il Consiglio europeo ha creato, su proposta franco-tedesca, un High Level Group of “Wise Persons” che in sei mesi di lavoro ha prodotto un rapporto reso pubblico lo scorso 14 ottobre. Del gruppo di saggi, presieduto dall’austriaco Thomas Wieser, hanno fatto parte esperti provenienti dall’Italia e da altri sette Paesi: Francia, Germania, Spagna, Polonia, Olanda, Danimarca e Svezia.

L’INADEGUATEZZA DELL’ATTUALE ASSETTO

L’Europa ha svolto un ruolo importante nella definizione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals), ma la sua capacità di leadership politica è del tutto inadeguata rispetto a un impegno finanziario che rappresenta il 57% dell’Official Development Assistance (Oda) globale.

Le competenze della Commissione europea sono suddivise su molteplici unità dato che le tematiche dello sviluppo interagiscono con quelle riguardanti l’agricoltura, il commercio, la concorrenza, il clima, la finanza e altre ancora.  La Bei gestisce, su mandato dell’Unione europea, un volume di finanziamenti importante (circa 8-10 miliardi di euro all’anno), che risultano essere però frammentati su una miriade di Paesi beneficiari. Nonostante la Bers sia più efficace della Bei come banca di sviluppo, la sua sfera di intervento è limitata dalla sua missione originaria di assistere i Paesi dell’Est europeo nella loro transizione verso il libero mercato. Infine, vi sono numerosi soggetti nazionali europei (agenzie di sviluppo e Development Financial Institutions) che svolgono attività importanti ma quasi del tutto scoordinate tra di loro.

Il ritardo da colmare in questo campo è tanto più evidente se si pensa che la Cina ha creato l’Asian Infrastructure Investment Bank e promosso la Belt and Road Initiative, mentre gli Stati Uniti hanno dato vita a una loro banca per lo sviluppo, la Development Finance Corporation.

CONDIZIONI DI SUCCESSO NELLE POLITICHE DI SVILUPPO

La nuova architettura istituzionale europea dovrà portare a modifiche radicali nel modo di operare dell’Ue in vari campi. Vi è anzitutto la necessità di riequilibrare il  rapporto tra finanziamento degli investimenti e azioni di supporto alle riforme delle politiche pubbliche. Gli investimenti sono indispensabili, ma ancora più importante è la disponibilità di una cornice istituzionale capace di promuovere il coinvolgimento del settore privato e una equa distribuzione dei frutti dello sviluppo. Sarà quindi cruciale che le nuove istituzioni si dotino di strumenti per aiutare i Paesi ad attuare riforme che massimizzino l’impatto della finanza per lo sviluppo.

Andrà poi rafforzato il coinvolgimento dei Paesi beneficiari nella definizione delle politiche di intervento, nella governance e nell’operatività delle istituzioni per lo sviluppo. Negli organi di governo della Bei, ad esempio, non figurano Paesi esterni all’Unione europea e in quelli della Bers i Paesi dell’Africa sub-sahariana, nonostante la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo possa quanto meno vantare una presenza significativa in alcuni Paesi in via di sviluppo. Una presenza capillare negli Stati in cui opererà sarà poi una condizione indispensabile per il successo di queste realtà.

Inoltre, per raggiungere i Sustainable Development Goals, verranno richiesti investimenti ingentissimi, stimati, solo per l’Africa, in circa 1,1 trilioni di dollari entro il 2030. Diventerà indispensabile creare le condizioni per attrarre capitali privati con interventi complementari a quelli di natura pubblica.

RISULTATI E RACCOMANDAZIONI DEL GRUPPO DI LAVORO

Un primo risultato positivo si è avuto con la convergenza di opinioni, pur in un gruppo assai eterogeneo al suo interno, sulle finalità ultime dell’azione di riforma, in particolare rafforzare gli impegni in Africa e quelli necessari per far fronte ai cambiamenti climatici sia nel campo dell’adaptation sia della mitigation. Importante è stata anche la condivisione, raggiunta dopo lunghe e complesse discussioni, dell’obiettivo di creare, nel medio terme, una sola istituzione europea che si occupi del finanziamento per lo sviluppo e il clima.

Sono state però indicate tre strade diverse su come arrivare alla creazione di una nuova European Climate and Sustainable Development Bank. Il motivo è dovuto non solo a divergenze di opinioni ma anche alla oggettiva necessità di effettuare maggiori approfondimenti di natura sia tecnica che politica.

La prima ipotesi sarebbe quella di fondere la Bers con la componente della Banca europea degli investimenti operante al di fuori dell’Europa, il che permetterebbe di realizzare notevoli sinergie tra le due istituzioni, in termini di risorse umane, di dotazioni di capitale e di diversificazione dei rischi. Richiederebbe però un complesso negoziato politico con i Paesi non europei azionisti della Bers, che sarebbero molto probabilmente riluttanti ad accettare una diluizione della loro quota nel capitale della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo.

La seconda proposta, quella di una creazione di una filiale partecipata dalla Bei, dalla Commissione europea, dalla Bers e da altri attori, può apparire come un compromesso ma presenta anche maggiori difficoltà rispetto alla prima. Il principale ostacolo è che i Paesi membri non avrebbero alcun ruolo negli organi di governo dell’istituzione. Inoltre, anche questa opzione richiederebbe un complesso negoziato per convincere i Paesi azionisti della Bers a investire in una istituzione di cui deterrebbero una quota del tutto minoritaria.

La terza proposta avrebbe i costi di realizzazione e tempi di attuazione più contenuti. Secondo molti membri del gruppo di saggi però, la Bei non ha il Dna di una development bank e difficilmente potrebbe acquisirlo. Non dispone di strumenti di policy lending o di modalità di assistenza tecnica capaci di assistere i Paesi a migliorare l’efficacia delle istituzioni locali e a migliorare l’enabling environment per il settore privato. È un’ipotesi che non pregiudicherebbe però l’obiettivo finale di creazione di un’unica banca di sviluppo e ne costituirebbe anzi una premessa indispensabile.

Infine, vi è il problema del coordinamento delle istituzioni nazionali. Alcune di queste, come l’olandese Fmo o la tedesca Deg, hanno un volume di attività simile, se non superiore a quello della Bei. È importante mantenere una pluralità di approcci ma è anche cruciale armonizzare le pratiche operative nei Paesi in via di sviluppo che spesso pagano costi altissimi per far fronte a una molteplicità di standard e criteri operativi.

L’UE PER UNA CRESCITA GLOBALE SOSTENIBILE

La sfida che l’Europa si trova a fronteggiare è molto complessa ma costituisce anche un’opportunità, non solo di una maggiore convivenza civile tra Paesi profondamente diversi, ma anche per una più elevata ed equilibrata crescita globale. La speranza è che anche questa non si riveli come una occasione persa per il Vecchio continente.

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Franco Passacantando, già direttore centrale alla Banca d’Italia e direttore esecutivo alla Banca Mondiale, è docente alla LUISS, Senior Fellow della School of European Political Economy e consigliere scientifico dello IAI. Ha fatto parte del gruppo dei saggi per la riforma dell’architettura finanziaria europea per lo sviluppo.

Articolo pubblicato su affarinternazionali.it

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