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Macron Msc

Chi vuole pensionare Macron sulle pensioni. Scioperi, appelli e polemiche in Francia

Lo sciopero in Francia contro la riforma delle pensioni auspicata da Bruxelles. L'appello anti Macron di 180 intellettuali (come Piketty che ha votato il presidente). E i subbugli politici (non solo per i Gilet Gialli). L'articolo di Andrea Mainardi

A Emmanuel Macron è riuscito un capolavoro: costruirsi tutto intorno un muro di improbabili mattoni assemblati, tenuti però saldamente insieme da un collante condiviso: écrasez il liberale che alberga in Manu. (Il copyrigth non è genuino, ma forse non dispiacerebbe al leader di sinistra Jean-Luc Mélanchon).

Dalla Normandia ai Pirenei la Francia è bloccata per uno sciopero generale contro una riforma delle pensioni annunciata in modo pasticciato già in estate. Non se ne conoscono nemmeno i dettagli. Ma è sufficiente per riaccordare la sinfonia dell’infelicità nazionale. Il primo ministro Édouard Philippe si è precipitato solo nelle ultime ore ad annunciare che l’architettura del piano sarà presentata. Quando? A metà della prossima settimana. Un mago del tempismo perfetto. Dato che oggi in piazza stanno scendendo (praticamente) tutti.

Monsieur le Président ha coalizzato liceali e insegnanti. Sta facendo rialzare la testa ai sindacati; mai così uniti. Contadini e allevatori picchiano duro, come da settimane del resto. A Lione – in una delle centinaia di manifestazioni che si stanno svolgendo in tutto il Paese – sfilano insieme avvocati e gilets jaunes. Gli ospedali sono aperti solo per le urgenze. Treni fermi. Aerei a terra. Torre Eiffel chiusa.

Macron, che in gioventù si innamorò della sua professoressa – poi sposata – studiando e recitando l’Arte della Commedia di Eduardo de Filippo, riesce persino a rivelare politici ossimori.

La sovranista Marine Le Pen, guida del Rassemblement national, fa ora la portabandiera della lotta all’inquilino dell’Eliseo insieme alla frenchie-economist star delle sinistre mondiali Thomas Piketty. Autore, insieme a circa 180 intellettuali e artisti francesi, di un appello pubblicato da Le Monde contro un governo “neoliberista e autoritario”. E dire che Piketty al primo turno delle presidenziali di due anni fa era sostenitore del socialista Benoît Hamon, per poi convergere al ballottaggio proprio su Macron, non tanto per il programma, ma almeno per ridimensionare il progetto identitario della destra lepenista.

Intanto l’en marche di Macron oggi si frena. Iconiche le foto dei Tgv parcheggiati sui binari di stazioni desolate. Scontata, veritiera analisi condivisa dagli analisti d’Oltralpe: questo è il momento più critico della presidenza. Manu si sta giocando tutto. Ed è anche un autodafé che si consuma in nome dell’Europa. Quella che Macron da mesi cerca di guidare in una spinta neogollista, liberandosi dalla diarchia con Berlino, profittando di un’Angela Merkel a fine corsa.

Già. Perché la riforma delle pensioni alla Francia la chiede (anche) Bruxelles. Un incoraggiamento è arrivato dalla Commissione europea. Riformare le pensioni per alleggerire il debito pubblico francese. Così l’en marche che voleva conquistare l’Unione si impantana in casa. Eterogenesi dei fini, nemesi, ananke. Ognuno la legga come più gli garba.

Macron addenta la sua madeleine proustiana, ma tutt’altro che dolce. Il muro dello sciopero del 5 dicembre 2019 gli accende il ricordo amaro degli scioperi del 1995 quando le proteste contro un precedente tentativo di riforma bloccò la Francia per tre settimane. Presidente era Jacques Chirac, premier Alain Juppé. Se ne fece ovviamente nulla.

Sibeth Ddiaye, portavoce del governo, a pochi giorni dello sciopero nazionale, se ne è uscita ineffabile: la riforma è una delle risposte alla crisi dei gilet gialli. Che infatti, tutt’altro che placati, puntualmente si sono riscatenati. Stamattina la parigina stazione della Gare de l’Est era vuota come mai prima – ripetono da ore i cronisti dei canali all news francesi inviati sul campo, rilanciando surreali riprese di marciapiedi deserti. All’esterno, dalle 14, migliaia erano pronti a marciare verso place de la République e poi fino a Nation, per il principale corteo del giorno.

Ce n’est qu’un début: il 5 dicembre contro la riforma Macron-Delevoye (Jean-Paul Delevoye è l’ex ministro chiracchiano considerato tra gli ispiratori della manovra) ha tutti i presupposti di un sisma di proteste che non si limiterà a un solo giorno.

Intanto: il 90% di treni e bus sono fermi. Undici linee del metrò parigino sono bloccate. Air France ha annullato il 20% dei voli interni e il 15 di quelli a medio raggio. Il 70% degli insegnanti ha aderito allo sciopero. Gli studenti suonano lungo i boulevard e mostrano cartelli colorati. Gli ospedali garantiscono solo le urgenze. Manifestazioni ovunque. Sono almeno 250.

In un contesto generalmente sereno, nei cortei si son già sparati lacrimogeni; qualche spruzzata d’acqua e si registrano azioni della polizia contro gli arrabbiati casseurs delle banlieue e i soliti infiltrati black bloc. Che la situazione fosse potenzialmente esplosiva lo ha intuito il ministro degli Interni, Christophe Castaner. Ieri – temendo defezioni in massa anche dai gendarmi? – ha inviato una lettera ai sindacati di polizia per assicurare che la riforma pensionistica prossima ventura garantirà agli agenti “i loro diritti” – prepensionamento compreso – e “livelli di pensione comparabili alle pensioni attuali”.

Insomma, per dirla con Le Nouvel Observateur: quel gâchis! Italicamente: è un gran casino.

L’idea di una riforma pensionistica in senso più equo rispetto agli attuali 42 regimi speciali – considerati fonte di privilegi, in favore di un sistema di “pensioni a punti” più razionale e sostenibile – inizialmente aveva ricevuto le aperture dei principali partiti e sindacati – in primis la Confédération française démocratique du travail (Cfdt). Analizza L’Obs: spinto dalla sua ala destra, l’esecutivo ha invece offuscato la leggibilità della manovra, aggiungendo uno strato di misure – come l’alzamento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni – e perdendosi nei rivoli di sistemi contributivi considerati penalizzanti per la maggioranza dei lavoratori medi. Il pasticcio, tra l’altro, è proprio sui punti contributivi. C’è incertezza sul valore di questi benedetti “punti”. Il timore è che si perdano i calcoli sugli anni contributivi più floridi.

Laurent Berger del Cfdt si è smarcato da un po’.

Mentre Macron – dettaglia L’Obs – lungi dall’aver appreso la lezione dei gilet gialli , ha virato ancora più a destra. Invece di sedurre un elettorato socialdemocratico – che, pensa Macron, in fin dei conti, voterà sempre per lui al fine di bloccare Le Pen – ha come tattica fagocitare il voto dei repubblicani e rosicchiare il voto del Rassemblement.

Errore di valutazione?

La rabbia negli ospedali, nei trasporti, nelle scuole, cresce. È la cronaca del giorno. E di ieri e dell’altro prima. Riduttivo rubricare le proteste di oggi alla riforma delle pensioni. Riforma che dà manforte a tutti gli scontenti verso Macron.

Scontenti che ribollono da mesi.

Clamoroso – ma non inedito in Francia – l’appello dei 180 intellettuali affidato a Le Monde. Si squaderna una saldatura tra élite “educata” e movimenti popolari. Le scrittrici Annie Ernaux e Daniele Sallenave, la drammaturga Alice Zeniter, il filosofo Etienne Balibar, il regista Robert Guediguian e, appunto, l’economista Thomas Piketty – per citarne solo alcuni – propongono l’associazione con i movimenti “giallo, verde, rosso, nero o arcobaleno”.

Tutti uniti nell’offensiva a un governo “neoliberista e autoritario”.

Per questo affermano: “Il nostro presente e il nostro futuro emergeranno dalle lotte sociali e politiche”.

Se non è un manifesto di manifestazione su place e boulevard permanente, poco ci manca. “Esistono molti movimenti popolari che attraversano la nostra società e il nostro mondo: si contrappongono ai dogmi di un’economia che incoraggia e invita a un consumo irragionevole; inventano alternative alle disuguaglianze sociali, razziali e di genere che troppo spesso vengono considerate parametri insuperabili; affrontano i seminatori di odio e paura che vogliono fratturare la nostra società”.

A loro dire l’occhioliono “a destra” di Macron non farà che portare acqua ai movimenti identitari. “La Francia che vogliamo – riassumiamo dal loro appello – è fatta di condivisione di ricchezza e poteri; protezione professionale e sociale per tutti, per tutta la vita; uguaglianza politica e sociale delle minoranze. Ecologia”.

Petizione non dissimile fu pubblicata ai tempi della crisi 1995.

Macron ha tutte le colpe? Le stime dicono che nel 2025 il sistema pensionistico subirà un disavanzo tra 7,9 e 17,2 miliardi di euro, tra -0,3% e -0,7% del prodotto interno lordo. Il 5 ottobre a Rodez, mettendo in guardia contro qualsiasi “soluzione magica”, il presidente aveva riaffermato il suo desiderio di vedere tutti i regimi in linea nel 2025, quando il nuovo sistema universale dovrebbe conoscere battesimo.

Ma che propongono le forze politiche di opposizione?

France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon tiene il punto su un’età pensionabile fissata a 60 anni e assegno non inferiore al salario minimo (1.326 euro).

Difficile rebus per i Repubblicani. L’imbarazzo è evidente: una riforma la tentarono proprio nel 1995, cercando di allineare i piani tra pubblico e privato. Conciliare oggi l’opposizione a Macron e sistemi che in fondo potrebbero non dispiacere ai simpatizzanti della destra, è opera acrobatica. E allora si attacca il metodo. Il leader Christian Jacob denuncia “false promesse” e lamenta “un vago progetto senza una linea guida che genera preoccupazione e ansia”. Si ipotizza alzamento dell’età pensionabile, ma garantendo il valore contributivo per conservare il potere d’acquisto.

Su pensione minima garantita insistono i Socialisti. Tassare le transazioni finanziarie e i redditi elevati è la ricetta proposta per reperire i fondi necessari.

Da destra, i lepenisti srotolano: pensionamento a 60 anni con 40 di contributi; risparmio denaro per le casse statali da attingere con riduzione dei contributi a Ue e immigrazione. E poi, che fa sempre cassetta: creare posti di lavoro: “Un milione di nuovi occupati equivale a 25 miliardi di entrate supplementari”. Marine Le Pen – che appoggia lo sciopero ma non scende in piazza perché le sembra inopportuno affiancarsi a sindacati che hanno contribuito all’elezione di Macron – non esclude di giocare la carta referendum.

I Verdi vogliono mettere in discussione la stabilizzazione dei fondi pensione al 14% del Pil per far fronte all’aumento del numero di pensionati. Per loro intoccabile è la soglia dei 62 anni. Così come la linea di una riduzione dell’orario di lavoro per abbassare la disoccupazione e favorire un aumento dei salari.

Comunque vada: quel gâchis per Manu. Se non è casino, educatamente: è almeno un gran guazzabuglio

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