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Chi vince e chi perde dopo le consultazioni di Mattarella (per il Conte 2-La vendetta). I Graffi di Damato

Fatti, parole, umori e scenari in vista del governo tra Movimento 5 Stelle e Partito democratico. I Graffi di Damato

 

L’incarico per la soluzione della crisi di governo c’è, con tanto di annuncio dopo il secondo giro di consultazioni al Quirinale, convocazione del premier uscente Giuseppe Conte e conferimento materiale del mandato. Peccato che manchi tutto il resto, a cominciare dal programma della costituenda alleanza fra grillini e Pd: un programma non traducibile in un altro “contratto”, come quello gialloverde dell’anno scorso che Beppe Grillo avrebbe forse preferito ammettendo però sul suo blog che ormai non c’è più il tempo di farlo in un’altra edizione, tra la fretta che ha Mattarella al Quirinale di chiudere questo agosto di fuoco e la scadenza a breve della solita consultazione elettronica degli iscritti al movimento. Essa naturalmente si svolgerà attraverso la cosiddetta piattaforma Rousseau gestita da Davide Casaleggio, che non ne risponde praticamente a nessuno, neppure a Grillo, e tanto meno al capo ancora formale dei pentastellati che è Luigi Di Maio.

La crisi deve quindi fare ancora i conti con le trattative sul programma che – ha avvertito Di Maio dopo l’incontro con Mattarell a- dovrà risultare “omogeneo” non si è ben capito a che cosa: se al programma, a sua volta, non ideologico, “né di destra né di sinistra”, del movimento a 5 stelle o alle sue personali aspettative ed esigenze, ora che la propria leadership è talmente indebolita da costringere i capigruppo parlamentari a ribadirla davanti a microfoni e telecamere, ammonendo i dissidenti a non sottolinearne la precarietà. Che deriva dai sei milioni e rotti di voti perduti in un anno, fra le elezioni politiche e quelle europee, e la crescita esponenziale della figura e del ruolo di Conte nella crisi riproponendone lo stesso Di Maio la conferma a Palazzo Chigi, pur senza la garanzia di poter conservare per sé una vice presidenza.

Un altro colpo alla cosiddetta – a questo punto – leadership di Di Maio l’ha data l’ormai incontenibile Grillo lanciando nel vuoto sul suo blog, fra le stelle, il tavolo del Consiglio dei Ministri ridottosi, secondo lui, ad un poltronificio senza meriti e competenze, per cui Conte è stato invitato a mettere a capo dei vari dicasteri solo dei tecnici, che conoscano davvero le loro materie, e lasciare ai politici solo le cariche di sottosegretario.

Una precisazione seguita ad una telefonata di comprensibile sorpresa, a dir poco, da parte dello stesso Di Maio, ha in qualche modo aggravato anziché ridurre la portata della proposta grillina. Ridurre l’esigenza dei tecnici al vertice dei Ministeri “più tecnici”, come ha appunto precisato il comico, è apparsa polemicamente allusiva, a torto o a ragione, all’aspirazione attribuita a Di Maio, una volta fallita la scalata al Viminale, di spostarsi al vertice del Ministero della Difesa, a meno che il vice presidente del Consiglio e pluriministro uscente dello Sviluppo Economico e del Lavoro non abbia sconosciute competenze militari.

Per quanto l’informato quirinalista del Corriere della Sera Marzio Breda abbia scritto, dopo il secondo giro di consultazioni e l’annuncio dell’incarico, anzi del reincarico a Conte, di un Mattarella finalmente “fiducioso” e sollevato dall’accordo politico fra grillini e Pd, annunciato da Di Maio solo in riferimento al mandato al presidente uscente del Consiglio, salvo -r ipeto – tutto il resto, nella redazione della Repubblica di carta sono stati assai cauti, se non diffidenti, con quel titolo di prima pagina in cui si avverte Conte, pur incoraggiandolo, che “sarà dura”. E dura, probabilmente, sia a far quadrare i conti del programma e degli incarichi ministeriali, sia poi a durare davvero per tutto il tempo lungo che il presidente del Consiglio uscente e rientrante si è proposto di durare già quando fece l’anno scorso l’accordo con i leghisti: per tutto il quinquennio ordinario della legislatura.

Naturalmente a scommettere poco sulla durata del governo Conte 2, come il direttore del Fatto Quotidiano reclama che si chiami contestando il “Conte bis” rappresentato più diffusamente per via di quella porta girevole di Palazzo Chigi che ha ispirato, fra gli altri, il vignettista della Gazzetta del Mezzogiorno, è il leader leghista Matteo Salvini. Che si è tolta, fra l’altro, la soddisfazione nella Loggia delle Vetrate, al Quirinale, dopo l’incontro di Mattarella con la delegazione del Carroccio, di scaricare la responsabilità delle mancate elezioni anticipate soprattutto su Matteo Renzi. Ai cui amici parlamentari nel Pd ha alluso Salvini parlando dei cento, fra deputati e senatori, arroccatisi nella difesa dei loro seggi in pericolo sia per l’incognita in sé delle urne sia per la poca voglia, diciamo così, del nuovo segretario del partito di ricandidarli, nell’ottica della “derenzizzazione” del partito che lo ha portato a guidarlo.

Anche Salvini tuttavia ha rimesso un po’ di penne, cioè di credibilità, quando nella stessa loggia quirinalizia, dopo meno di un’ora, Di Maio ha confermato, con apparente gratitudine e al tempo stesso con l’orgoglio di avergli resistito, di avere ricevuto dal leader leghista la proposta di assumere la guida di un nuovo governo gialloverde, una volta constatata l’improbabilità delle elezioni anticipate reclamate imboccando la strada della crisi. A conclusione della quale si farà fatica ad assegnare il premio, diciamo così, della faccia perduta paragonando le posizioni di partenza, o della vigilia, e quelle di arrivo.

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