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Che cosa sta facendo l’Unione europea sul Coronavirus

L'approfondimento di Enrico Martial

Il 28 gennaio scorso, l’Unione europea ha attivato il meccanismo europeo di risposta politica alle crisi (IPCR) per il coronavirus, su iniziativa della presidenza croata. Il procedimento nasce dall’esperienza. Ha consolidato la sua base legale con un atto del Consiglio nel dicembre 2018, ma i primi coordinamenti politici delle crisi risalgono all’attacco alle Torri gemelle del 11 settembre 2001, agli attentati a Madrid e a Londra nel 2005, nonché allo tsunami nell’Oceano indiano nel 2004, che riguardava beni e cittadini europei, anche da rimpatriare. Il pulsante dell’IPCR è ora al livello due: oltre al monitoraggio e al punto di contatto politico permanente politico (livello 1) si preparano rapporti analitici (di tipo politico) e si scambiano informazioni per mezzo di una piattaforma (dunque depositando le informazioni). Per capirsi, vi sono tre aeroporti europei che hanno voli diretti su Wuhan: Roma, Londra e Parigi. Il fatto che si siano interrotti solo i voli su Roma è entrato in questa piattaforma, per discuterne e vedere come procedere.

Ancora non attivato, il livello tre prevede proposte di decisioni comuni, con riunioni di crisi a livello di rappresentanti permanenti o di ministri della salute. E’ un contesto essenzialmente intergovernativo, per quanto incardinato nel Consiglio.

In sintonia con il livello di allarme di altre istituzioni come l’OMS e della stessa Agenzia dell’Unione (il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie), al livello tre non siamo ancora arrivati. Il punto è questo: l’allarme non è al massimo, e quindi siamo ancora al coordinamento delle azioni degli Stati membri, con strutture e persone che ne assicurano il funzionamento. Se peggiorerà, si riuniranno i ministri.

Oltre all’IPCR (che è un coordinamento politico tra gli Stati membri), esiste il Centro europeo di coordinamento della risposta alle emergenze (ERCC), che si trova all’interno del sistema protezione civile dell’UE, per assistere i Paesi (membri o esterni) colpiti da catastrofi. Il Centro è una struttura della Commissione europea, e dipende dal Commissario europeo per la gestione delle crisi, Janez Lenarčič. Il Centro ha personale proprio e fa da punto di contatto – come degli ufficiali di collegamento – tra i Paesi membri. Vi partecipano anche sei Paesi terzi (per esempio Norvegia e Svizzera), e opera 24 ore al giorno, sette giorni su sette. Via l’ERCC, la Commissione europea ha stanziato 11 milioni di euro di aiuti per materiale sanitario da inviare alla Cina, oltre a coordinare gli aiuti degli Stati membri, anche per rafforzarne l’effetto e corrispondere alla domanda cinese, e non mandare soltanto mascherine blu.

Il Commissario Lenarčič (che è a capo non solo della protezione civile europea ma anche dell’aiuto umanitario – quindi con valenza interna ed esterna) ha spiegato mercoledì 29 gennaio in conferenza stampa cosa fa l’Unione europea con le operazioni di coordinamento. Ne è esempio il rimpatrio di cittadini europei, che in molti voli sono arrivati insieme: circa 600 persone, con voli operati da alcuni Stati membri e che ne hanno riguardato cittadini (ma l’elenco era ancora incompleto) di un numero più ampio di Stati membri, fino a 14, dall’Italia e dalla Francia alla Polonia, dal Portogallo alla Romania e Lituania. Queste operazioni sono finanziate a livello europeo per il 75% dei costi.

Per capirci, in un sistema di Stati nazionali senza l’Unione europea, non ci sarebbe stato coordinamento se non per benevolenza, le ambasciate in Cina non si sarebbero sentite per recuperare i cittadini europei sparsi nelle megalopoli e favorire i rapporti con le autorità locali, né vi sarebbe stato scambio adeguato di notizie né il supporto del Servizio europeo per l’azione esterna (EEAS), ora guidato dal vicepresidente della Commissione, Josep Borrell. Non tutto va immaginato come facile e sistematico, ma esiste. Va peraltro ricordato, sotto il profilo politico, che la nozione di cittadinanza europea è scritta nei Trattati, e riguarda anche l’assistenza consolare.

A queste due capacità di emergenza, IPCCR e ERRC (meccanismo di risposta politica tra gli Stati e coordinamento alle emergenze gestito dalla Commissione) bisogna aggiungere le strutture europee che offrono le competenze.

La più importante è il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (European Centre for Disease Prevention and Control – ECDPC), un’Agenzia dell’Unione come quelle per esempio sul farmaco o quella per la sicurezza alimentare, la cui attività ha avuto eco anche sulla stampa italiana. E’ suddivisa in quattro unità e si occupa delle malattie in generale e di quelle infettive in particolare, con coordinamento e sorveglianza, promuovendo la ricerca e il dialogo scientifico e tecnico (anche digitale). Gestisce un Atlante delle malattie infettive, con dati e cartografia, e tutto l’insieme di accompagnamento, dai vettori e ambienti di sviluppo (acqua, animali), a vaccini, antibiotici e relative resistenze. E’ l’Agenzia che definisce il livello tecnico di rischio (risk assessment) per gli Stati membri, quello che noi sentiamo sostanzialmente ripetere dalle autorità nazionali. Per altro, in autonomia ma anche con il cappello di Stati membri, i Paesi europei si coordinano inoltre anche a livello di OMS, di G7 e anche a livello di Nato e di difesa comune.

L’Agenzia ECDPC è un riferimento essenziale per il Commissario, il Consiglio e per gli Stati membri, anche attraverso i Rappresentanti permanenti. Per dire, la Rappresentanza italiana presso l’UE a Bruxelles ha una persona dedicata a questo lavoro, dentro al COREPER II (il Comitato dei Rappresentanti permanenti, gli ambasciatori presso l’Unione), sezioni Affari interni, Ufficio protezione civile.

L’Agenzia europea ECDPC non si muove da sola e si nutre anche del lavoro di circa una ventina di reti scientifiche e di laboratori, che coordina o a cui partecipa, e che sono finanziate sia dagli Stati membri sia dal programma europeo Horizon. Tra queste reti vanno segnalate ENVID (Centro europeo sui virus importati) o l’EISS (European Influenza Surveillance Scheme), di cui fanno parte tra l’altro lo Spallanzani di Roma e il Laboratorio di virologia dell’Università di Padova, assurti alla cronaca nazionale italiana di questi giorni. Oltre alle reti, ci sono i progetti europei, come la Platform for European Preparedness Against (Re-) emerging Epidemics, coordinato dall’ospedale universitario di Anversa con una decina di Paesi.

Soltanto l’emergenza sanitaria ricade nelle competenze concorrenti dell’Unione, mentre la salute in generale resta nelle competenze statali. Tuttavia, anche in questo secondo caso, l’Unione interviene con azioni di sostegno, coordinamento e completamento che sono significative e di indirizzo: ne sono un esempio i finanziamenti del programma Horizon per la ricerca sui virus, oppure la preparazione di un piano europeo di lotta al cancro lanciato con una consultazione il 4 febbraio a Bruxelles dalla Commissaria europea per la Salute e la sicurezza alimentare, Stella Kyriakidou. Un segnale che indica che comunque si va avanti.

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