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Deep State

Che cosa cela la mossa di Trump di vendere tank e missili a Taiwan

Perché l'ultima mossa di Trump fa imbestialire la Cina. L'approfondimento di Marco Orioles

È servito un pugno di giorni agli Stati Uniti per passare dalle parole ai fatti. Dopo che lo scorso 1 giugno il Segretario alla Difesa Patrick Shahanan, ospite dello Shangri-la Dialogue di Singapore, aveva illustrato la nuova strategia americana nel Pacifico sintetizzandola in una frase inequivocabile – “Non ignoreremo il comportamento cinese” – ecco che la superpotenza a stelle e strisce la traduce con un atto pratico: la vendita di più di due miliardi di dollari di armamenti a Taiwan.

La notizia che Taiwan ha fatto richiesta di rifornirsi di armi americane e che è stata avviata la relativa procedura la lancia per prima mercoledì l’agenzia Reuters, che cita quattro “persone che hanno familiarità con le trattative”. Seguono a ruota varie testate internazionali, che si preoccupano di diffondere l’informazione su Twitter.

Si mobilita anche la redazione del quotidiano più famoso del mondo, il New York Times, che sottolinea immediatamente un aspetto fondamentale: si tratta di “una delle più grandi (vendite di armi) degli Stati Uniti a Taiwan negli ultimi anni”.

Un particolare, quello evidenziato dal NYT, su cui si sofferma anche l’analista di “The Diplomat” Ankit Panda, che su Twitter rimarca come quella somma, due miliardi di dollari e passa, rappresenti “più di tutto il valore della vendita di armi (compresa la manutenzione) fatte dall’amministrazione Trump a Taiwan”.

È bene precisare subito che l’affare non è ancora stato finalizzato. Come spiega la rivista specializzata Jane’s, per ottenere armi dagli Usa Taiwan deve seguire una procedura formale molto rigida che prevede alcuni passaggi. Anzitutto, il Ministero della Difesa deve trasmettere al governo americano delle “letters of request” nelle quali manifesta la volontà di procurarsi gli armamenti made in Usa. La richiesta deve quindi essere vagliata da varie branche dell’esecutivo statunitense che, in caso di accoglimento dell’istanza, produce e invia a Taiwan delle “letters of offer and acceptance”.

Si tratta, dunque, di un procedimento lungo e articolato. Che però, nel caso di cui stiamo parlando, starebbe avanzando “normalmente”, ha fatto sapere il Ministero della Difesa di Taiwan. Aggiunge, il dicastero, che gli acquisti programmati sono necessari per migliorare “le capacità di Difesa delle nostre forze armate e per consolidare la partnership di sicurezza tra Taiwan e gli Stati Uniti nonché la stabilità nella regione”.

Ma quali armamenti si accingono a essere trasferiti dagli Usa a Taiwan in base alla nuova intesa? La parte più consistente della transazione riguarda l’acquisto di 108 esemplari dei tank M1A2 Abrams prodotti dalla General Dynamics Corp, che dovranno rimpiazzare gli ormai desueti M60A3 MBT (anch’essi made in Usa) in dotazione alle forze armate di Taiwan e gli M48H CM11 MBT, che Taiwan produce localmente.

L’affare comprende poi un notevole quantitativo di munizioni anti-carro, inclusi 409 missili Javelin prodotti dalla Raytheon e dalla Lockheed Martin, per un controvalore di 129 milioni di dollari, 1.240 missili TOW (valore 299 milioni di dollari), e 250 esemplari di missili Stinger al prezzo di 223 milioni.

Come rileva Bloomberg, nel pacchetto non ci sono invece i 66 esemplari di F-16-V (la configurazione più avanzata del famoso caccia statunitense) che Taiwan avrebbe richiesto agli Usa lo scorso marzo, suscitando l’ira di Pechino.

L’assenza degli F-16 nulla toglie però al significato di questa transazione. Una volta consegnate, le nuove armi made in Usa – osserva Bonnie Glaser, esperto del Center for Strategic and International Studies – saranno di aiuto “ad impedire un’invasione” cinese dell’isola, “rendendo difficile ad una forza di invasione dell’Esercito di Liberazione Popolare di stabilire una testa di ponte nel nord di Taiwan”.

La CBS rileva in particolare che i sistemi Tow e Javelin metteranno Taiwan nelle condizioni di respingere un eventuale tentativo della Cina di sbarcare nelle coste dell’isola con i propri tank, mentre gli Stinger sarebbero di grande aiuto contro gli oltre mille caccia cinesi.

Difficile, dunque, non cogliere il senso dell’operazione. La protesta della Cina, infatti, arriva puntuale. “Siamo seriamente preoccupati”, ha affermato nel consueto briefing alla stampa il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Geng Shuang, che ha esortato gli Usa a “cessare la vendita di armi a Taiwan e recidere i legami militari” con l’isola nonché a “gestire con prudenza e appropriatamente i temi legati a Taiwan per evitare di danneggiare seriamente le relazioni Cina-Usa e la pace e la stabilità dello Stretto di Taiwan”.

Ma, come dimostra la nuova vendita di armi a Taiwan, l’amministrazione Trump non sembra affatto intenzionata ad obbedire alle ingiunzioni del Dragone. Al contrario, il governo guidato dal tycoon vuole rispettare una tradizione consolidata che vede gli Usa essere, oltre che il principale fornitore di armamenti dell’isola, il garante esterno della sua Difesa e – soprattutto – il più formidabile ostacolo dinanzi alla minaccia di Pechino, ribadita domenica scorsa dal ministro della Difesa cinese Wei, di annettere manu militari Taiwan.

Oltre a quello in itinere, sono già due gli accordi America-Taiwan per la vendita di materiale militare made in Usa siglati sotto la presidenza Trump: uno, più consistente, del 2017, del valore di 1,4 miliardi di dollari, e uno dell’anno scorso di 330 milioni di dollari.

È arcinoto che il tycoon abbia un debole per l’industria nazionale della Difesa e vada in visibilio quando alleati e partner aprono i cordoni della borsa per rifornirsi dall’America. In più, la Casa Bianca ha in parte riscritto le regole della politica dell’export di materiale militare per rendere ancora più agevole le vendite. Uno degli ispiratori di questo nuovo corso, il consigliere al commercio e falco anti-cinese Peter Navarro, ha anche – ricorda Reuters – vergato di proprio pugno a marzo un editoriale per il New York Times nel quale caldeggiava, guarda caso, la vendita di tank a Taiwan.

 

(estratto di un articolo pubblicato su policymakermag.it, qui la versione integrale)

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