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Casaleggio

Analisi (critica) dei 10 punti programmatici del Movimento 5 Stelle. Il Pd li accetterà?

La lettura tutta d’un fiato delle proposte del Movimento 5 Stelle lascia intravvedere la voglia di una resa dei conti, nel nome del rancore. L’idea di azzerare interi capitoli della storia italiana, dopo un giudizio sommario. Il commento di Gianfranco Polillo

 

Dieci punti di programma. Dieci, se non fosse irriguardoso, come i comandamenti. L’unica novità di questa tornata. Se Giancarlo Giorgetti, vera testa d’uovo della Lega, avrà ragione: una sorta di Bignami del vecchio “contratto di governo” che si riteneva, forse a torto, morto e sepolto. Ma se è così, e non vi sono ragioni per smentire il sottosegretario alla Presidenza, allora una piccola chiosa diventa legittima e necessaria. Evidentemente i 5 stelle considerano i nuovi alleati semplici portatori d’acqua al vecchio mulino. Le cui diverse sensibilità sono del tutto trascurate.

Pura base di discussione: si dirà. Nel disperato tentativo di non perdere la calma. Ma già c’è qualcuno – il solito Renzi – che non sembra voler sentir ragioni. Le nuove accuse contro Paolo Gentiloni, dipinto come un guastatore, hanno costretto lo stesso Zingaretti a rinunciare alla bottiglietta di valium e rispondere stizzito. Ed allora vediamola questa bandiera un po’ usurata. A partire dal nodo della riduzione dei parlamentari. Tema su cui ha nuovamente insistito Luigi Di Maio. E comunque primo punto della nuova proposta.

Insistere, con tanta determinazione, su questa ipotesi è come volere una dichiarazione di resa incondizionata. Sono, infatti, note le riserve del Pd. I suoi voti contrari a ripetizione. Le argomentazioni usate in difesa della democrazia rappresentativa: punto non negoziabile dello sforzo compiuto per evitare il ricorso alle urne. Ma per i 5 stelle, questa scelta è vitale. Sono nati per distruggere un vecchio ordine, ed il significato simbolico di quell’atto mantiene un valore fondativo. Che poi questo interessi poco o niente alla stragrande maggioranza degli italiani è questione secondaria. Ma quando mai, il Movimento ha cercato di risolvere il benché minimo problema?

Sulla stessa lunghezza d’onda la revoca delle concessioni ad Autostrade. Non esplicitato nei dieci punti, ma ribadito con forza da Di Maio. Intanto il progetto della variante di Gronda, in quel di Genova, è stato congelato. Resta sullo sfondo la crisi Alitalia. Colpire Atlantia, titolare della concessione, farà, probabilmente, fallire il nuovo progetto di rilancio della compagnia di bandiera. Che ci si muova in modo contraddittorio è fin troppo evidente. L’ombrello piddino coprirà anche questo impazzimento?

Sulla politica economica i 5 stelle chiedono nell’ordine: uno stop all’aumento dell’Iva, salario minimo, taglio del cuneo fiscale, interventi a favore delle famiglie con disabilità e per l’emergenza abitativa. Solo scongiurare l’aumento dell’Iva e delle accise, più le spese indifferibili, comporta una maggiore spesa di 30 miliardi. Aggiungendo vagoni, si arriva facilmente ad oltre 50 miliardi. Se questa è una mossa preventiva per scoraggiare la discesa in campo di Carlo Cottarelli al ministero dell’economia, l’obiettivo può considerarsi centrato.

Green new deal per le energie rinnovabili. Francamente non sappiamo cosa possa significare. Si auspica un “cambiamento di paradigma per l’ambiente”. Tradotto forse in volgare: blocco degli investimenti per le infrastrutture. La Tav non è citata, ma resta nel cuore del Movimento. Forse il nuovo Presidente del consiglio avrà un piglio diverso rispetto al suo precedessore. Quel Giuseppe Conte che si è scoperto all’improvviso ossessionato dal peso dei costi eventuali, in caso di blocco del progetto. E contro il quale i 5 stelle avevano votato contro. Soli contro tutti.

Poteva mancare un accenno al conflitto d’interesse? Una pistola puntata contro il “tiranno” di Arcore: colpevole non tanto di essere un improbabile competitor, quanto espressione di un mondo che nega in radice i valori del pauperismo di cui il Movimento è portatore. E poi la riforma della Rai sul modello della BBC. Roba vecchia di cent’anni, quando Walter Veltroni gridava contro le televisioni commerciali. Sky non aveva un mercato pari a quello della TV pubblica e Netflix, potente veicolo della cultura globalizzata, semplicemente, non esisteva. Il colmo per chi vive di social e si nutre del verbo di Rousseau. Non il filosofo francese, ma più semplicemente la piattaforma della Casaleggio Associati.

Il resto non ha alcuna suspense. Riforma della giustizia, sul modello Bonafede e sorteggio per la scelta del CSM. Autonomia regionale differenziata, ma adelante e con juicio. Quindi un piano d’investimenti straordinari per il Mezzogiorno, grazie alla nascita di una Banca del sud. Vecchio pallino di Giulio Tremonti, poi abortito tra mille difficoltà. Lotta contro la mafia e carcere per i grandi evasori. Maggiore tracciabilità dei pagamenti. Il tutto condito da un inasprimento delle pene. Per terminare con il proposito di riforma del sistema bancario, separando le banche d’investimento da quelle commerciali. Ipotesi domestica senza senso, se non inserita in un adeguato contesto internazionale. Fino alla proposta più identitaria dell’acqua pubblica e all’ambiguità di una simile posizione.

La lettura tutta d’un fiato di queste proposte lascia intravvedere la voglia di una resa dei conti, nel nome del rancore, con tutto quanto ha preceduto la nascita e lo sviluppo del Movimento. L’idea di azzerare interi capitoli della storia italiana, dopo un giudizio sommario. Nemmeno fossimo al tempo della rivoluzione francese, che fu, tuttavia, rivolta dei ceti produttivi. Può aver affascinato taluni, poi costretti a ricredersi in modo repentino, come hanno dimostrato più tornate elettorali. Sta il fatto che in questa “summa” il popolo italiano, con le sue speranze, i suoi desideri ed anche le sue paure non esiste. Forse sarà interpellato via internet da Davide Casaleggio, ma, almeno al momento, non ha alcuna voce in capitolo.

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