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Africa

L’Africa, i sermoni domenicali e gli errori di accoglienze generalizzate

Federico Fubini, sulle pagine del Corriere della sera, ha tracciato un quadro drammatico della situazione africana. Sebbene il suo tasso di sviluppo sia superiore – quasi il doppio di quello europeo, pur avendo una base di partenza estremamente bassa – l’incremento demografico marcia ad un ritmo di gran lunga superiore. Considerazioni riprese da Piero Fassino,…

Federico Fubini, sulle pagine del Corriere della sera, ha tracciato un quadro drammatico della situazione africana. Sebbene il suo tasso di sviluppo sia superiore – quasi il doppio di quello europeo, pur avendo una base di partenza estremamente bassa – l’incremento demografico marcia ad un ritmo di gran lunga superiore. Considerazioni riprese da Piero Fassino, in una lettera allo stesso giornale, per invocare una politica europea volta a contribuire alla soluzione del rebus. Ottime intenzioni.

Nella realtà mondiale, l’Africa resta un’eccezione. Nelle altre grandi aree del Pianeta, la politica tesa al controllo delle nascite ed un tasso di crescita maggiore ha scongiurato la vecchia previsione di Thomas Robert Malthus. Che nel suo ”Saggio sul principio di popolazione”, pubblicato nel 1798, riteneva di aver individuato una regola generale secondo la quale mentre le risorse disponibili crescevano con una progressione aritmetica, la popolazione si sviluppava, invece, con un ritmo geometrico. Risultato? Una cronica insufficienza di risorse, per cui il necessario riequilibrio naturale sarebbe avvenuto per effetto di guerre e carestie.

Queste teorie furono variamente contestate. Soprattutto da Carlo Marx che nelle sue “Teorie del plusvalore” usò parole di fuoco contro l’abate di Sieyès. Aveva ragione. Il limite di quelle teorie era la sottovalutazione della forza del sorgente capitalismo. Che avrebbe, da un lato, accelerato il ritmo di sviluppo, dall’altro contribuito a determinare un rallentamento del tasso di crescita demografico.

Alfred Sauvy, un grande demografo e sociologo francese, ne indicò la soluzione, per così dire, tecnica. Nel Terzo Mondo – fu lui che coniò quest’espressione – si fanno più figli, perché questi ultimi sono immessi fin dalla giovane età nel circuito produttivo, per contribuire al benessere familiare. Nei Paesi sviluppati, invece, la nascita di un figlio rappresenta un costo fino alla maggiore età. Le famiglie tendono, quindi, a ridurne il numero, comprimendo il tasso di natalità.

Nella geografia del Pianeta una parte dell’Africa è ancora Terzo Mondo. Poco contaminata dai processi della globalizzazione che, altrove, hanno consentito di superare questi confini. Siamo quindi di fronte ad un problema storico che potrebbe attualizzare le cupe profezie di Malthus. Esiste un possibile antidoto? Naturalmente l’Europa può tentare. Ben venga quindi l’ipotesi di un Africa Found, di contatti intergovernativi sempre più stretti, di regolamentare i flussi di immigrazione. Evitando, tuttavia, di pensare ad accoglienze generalizzate. Ma è come tentare di travasare il mare con un piccolo secchiello.

Lo sforzo per scongiurare Malthus non può che essere mondiale. Deve essere quindi affrontato in sede ONU, cui rimettere lo scettro. E’ pensabile ad esempio escludere da questi progetti un Paese come la Cina, la cui penetrazione, nel Continente nero, ha assunto le caratteristiche del moderno neo imperialismo? Poi vi sono le grandi compagnie internazionali che sfruttano le risorse di quell’immenso Continente. Le cui ricchezze naturali non hanno eguali. Lasciate sole, devono accordarsi con una famelica borghesia compradora. In molte capitali africane i jet privati sono più numerosi di quelli che stazionano nell’aeroporto di Nizza. La pressione internazionale può favorire una diversa distribuzioni delle royalties pagate in cambio delle relative concessioni.

Se la storia insegna che ciascun popolo è l’unico responsabile del proprio destino, la Comunità internazionale, tuttavia, qualcosa può fare. A condizione di mettere da parte le belle parole, utili solo per i sermoni domenicali, ed operare avendo consapevolezza della complessità dei problemi e delle possibili, seppur limitate, soluzioni.

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