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Censura 2.0: nuova stretta della Cina. Telco dovranno collaborare con Governo

Dal 2018, le Telco cinesi dovranno collaborare con il Governo per garantire la censura dei siti vietati   La Cina vieterà l’accesso libero ad internet. Già lo fa, in realtà, ma la Grande Firewall cinese, ovvero la muraglia cibernetica con cui Pechino blocca l’accesso al Web globale ai cittadini cinesi e a chi visita il…

Dal 2018, le Telco cinesi dovranno collaborare con il Governo per garantire la censura dei siti vietati

 

La Cina vieterà l’accesso libero ad internet. Già lo fa, in realtà, ma la Grande Firewall cinese, ovvero la muraglia cibernetica con cui Pechino blocca l’accesso al Web globale ai cittadini cinesi e a chi visita il paese, ha una falla: può essere aggirata tramite un Virtual Private Network, o VPN. Insomma, i cittadini cinesi hanno potuto accedere, nonostante il divieto a servizi internet vietati (Gmail, Facebook, e Twitter tra i tanti). Il Governo lo sapeva e ha fatto finta di nulla (o quasi).

Dal 2018, però, qualcosa cambia: le telco dovranno collaborare on il governo per impedire che cittadini (e visitatori stranieri) adoperino i Virtual Private Network. Aggirare la muraglia sarà difficilissimo, se non impossibile.

La Grande Firewall cinese

CinaNiente libera informazione in Cina, dove i cittadini non hanno accesso a servizi come Gmail, Facebook o Twitter o dove i quotidiani sono costretti a scrivere notizie “approvate dal Governo”. Il compito dei media nazionali Cinesi non è quello di informare, ma di “aiutare a forgiare le ideologie e le linee del partito” attraverso un “alto livello di uniformità con il partito”, come ha spiegato il presidente cinese, Xi Jinping.

Anche Google, fin dal suo sbarco nel 2009, ha avuto diversi problemi: nel 2009 Big G è stato vittima di un imponente attacco informatico (partito molto probabilmente dall’interno del Paese) e nel 2010 ha deciso di trasferire tutti i server a Hong Kong, aprendo la strada all’ascesa di Baidu.

Le restrizioni hanno avuto importanti ricadute anche su alcuni dei siti web asiatici più visitati, come Sina, Sohu e Netease, che sono stati chiusi nel corso del 2016 e che dovranno pagare importanti multe per avere “seriamente violato” le regole di internet sui contenuti pubblicati e avere causato “enormi effetti negativi”.

In realtà bastava utilizzare un Virtual Private Network, o VPN, per bypassare la muraglia. L’industria informatica ne è sempre stata a conoscenza, chiudendo un occhio. Nel 2015, però, molti dei servizi VPN utilizzati nel paese hanno smesso di funzionare, bloccati da nuovi filtri sempre più potenti.

Arriva la stretta

Cina hackerDal 2018, però, le cose cambiano. E China Unicom, China Mobile e China Telecom, i tre principali provider cinesi, dovranno collaborare con il governo per impedire che cittadini (e visitatori stranieri) adoperino i Virtual Private Network per sfuggire alle maglie del Grande Firewall. Le telco dovranno implementare la nuova direttiva entro il primo febbraio del 2018.

La censura si fa cosa davvero seria, se si pensa che la quasi totalità degli utenti cinesi utilizza un contratto di uno dei tre operatori.

Dal blocco, forse, si salveranno le multinazionali che operano nel paese, le quali tuttavia dovranno registrare presso il ministero l’uso di Reti Private Virtuali nei propri uffici, rischiando così di facilitare controlli e intercettazioni delle informazioni e dei dati scambiati con le proprie sedi all’estero.

Censura cinese, anche fuori confine

Sfuggire al controllo e alla censura cinese è impossibile. Come racconta Bloomberg, gli utenti della piattaforma di messaggistica istantanea Wechat sono controllati e censurati e non possono sfuggire al sistema anche se lasciano la Cina o decidono di passare a un numero di telefono d’oltremare.

Sì, secondo uno studio della University of Toronto Citizen Lab, gli account Wechat registrati con un numero di telefono cinese sono controllati in qualsiasi parte del mondo. Anche se cambiano numero (e mantengono lo stesso nome utente). Insomma, la Tencent Holdings Ltd. può espandere il servizio di messaggistica più popolare della Cina anche all’estero, pur rispettando i controlli governativi nazionali in materia di informazione.

“L’idea che non si può sfuggire ad un sistema di censura che viene imposto al momento della registrazione, è preoccupante”, ha detto Jason D. Ng, ricercatore presso il Citizen Lab.

Cina censuraWeChat conta 846 milioni di utenti attivi. L’azienda censura tutte le notizie e i messaggi ritenuti sensibili e blocca l’invio di tutti i testi privati che contengono determinate parole.

“Negli ultimi anni, Wechat ha subito numerose pressioni normative”, si legge nel rapporto. “Le normative sempre più severe ci hanno portato a sospettare che le comunicazioni su Wechat possono essere monitorate.”

E’ per questo che i ricercatori hanno testato 26.821 parole chiave che erano già state bloccate e censurate su altri siti web, tra cui Weibo Corp. e YY Inc Essi, scoprendo che ben 174 parole ed espressioni, come “Tibet libero” e “ISIS crisi” hanno innescato la censura. In pratica, se queste parole vengono rilevate dai server Wechat, in Cina, il messaggio non verrà inviato.

La censura, in Cina, non è certo una novità.  La Cyberspace Administration of China, l’ente statale di supervisione di internet, obbliga i più grandi portali web cinesi a non riportare più notizie originali. La Cina intende avere, come spiega Bloomberg, il pieno controllo delle informazioni che circolano online, censurando qualsiasi cosa che possa danneggiare l’immagine del partito comunista al potere.

Le restrizioni hanno avuto importanti ricadute anche su alcuni dei siti web asiatici più visitati, come Sina, Sohu e Netease, che sono stati chiusi negli ultimi giorni e che dovranno pagare importanti multe per avere «seriamente violato» le regole di internet sui contenuti pubblicati e avere causato «enormi effetti negativi». Di quali contenuti parliamo? Della notizia delle violente piogge che si sono abbattute sul nord-est della Cina nei giorni scorsi, provocando oltre 130 morti e centinaia di milioni di danni per almeno centinaia di milioni di dollari nella sola provincia dello Hebei (vicino Pechino).

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