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Sharing economy, primi (timidi) segnali di crescita

Cresce la sharing economy in Italia con all'attivo 260 piattaforme collaborative di cui 160 dedicate allo scambio e alla condivisione, 40 all'auto-produzione e 60 alla raccolta fondi (14 in fase di lancio). Un'offerta numerosa a cui corrisponde una domanda ancora diffidente ma in crescita.

Secondo una ricerca di Duepuntozero Doxa, il 23% del campione intervistato ha sperimentato almeno una volta un servizio di sharing, il 10% si dichiara interessato, mentre il 59% conosce il fenomeno almeno per sentito dire. L’obiettivo del 2014 delle nuove realta’ imprenditoriali e’ far conoscere anche ai piu’ scettici che partecipare al consumo puo’ avvantaggiarli.

Sono 260 piattaforme collaborative nel nostro Paese In occasione delle vacanze di Natale 2013, BlaBlaCar ha registrato un +300% di posti in auto disponibili rispetto allo stesso periodo del 2012. Per far fronte alle richieste Airbnb ha dovuto aprire una sede a Milano per gestire la vorticosa ascesa del servizio nel nostro Paese (50.000 alloggi per una media di 12.000 ospiti al giorno). Car2Go, la piattaforma di carsharing promossa dal gruppo Daimler, lanciata a Milano ad agosto ha gia’ raggiunto quota 50.000 iscritti (un decimo di quanto il servizio registra nelle 25 citta’ al mondo in cui e’ attivo).

Sono 260 piattaforme collaborative nel nostro Paese. I principali interlocutori della sharing economy si sono ritrovati oggi a Forum PA per capire quali soluzioni mettere in atto e proporre una rivoluzione dei modelli di pubblica amministrazione. Tra le richieste emerse quella di regolare le nuove realtà collaborative trovando soluzioni per ammortizzare l’impatto su quelle categorie che da queste innovazioni possono perdere benefici (es. taxisti); formare il personale delle amministrazioni al nuovo ruolo di facilitatore e non più solo di gestore dei servizi; snellire la legislazione relativa alla mobilita’, in particolare gli articoli 82 e 84 del codice della strada e la legge 9/90 riguardante la dimensione assicurativa. Ma serve anche favorire la micro imprenditoria unbankable, cioè i soggetti considerati non idonei a fruire di servizi e/o prodotti finanziari, grazie all’intervento della PA a garanzia del credito concesso ai nuovi imprenditori; mappare i servizi collaborativi per conoscerli e ascoltare le nuove richieste e avviare tavoli di contaminazione tra categorie tradizionali e le start up.

 

 

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