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Tutti i recenti guai di Facebook

Dalle mail compromettenti diffuse dal Parlamento britannico alle critiche sulla numero 2 di Menlo Park fino al social network in down ieri. Tutti i dettagli della settimana nera di Facebook

Non si mette bene per Facebook. Il gruppo di Mark Zuckerberg è accusato dal Regno Unito di aver favorito alcuni inserzionisti (come Netflix e Airbnb) fornendo loro l’accesso ai dati personali degli utenti. Comportamento del tutto anticoncorrenziale. I dettagli di un’altra brutta settimana per il social network, già pietra dello scandalo con Cambridge Analytica.

L’INCHIESTA DELLA COMMISSIONE BRITANNICA

223 pagine di mail compromettenti. È quanto ammonta il carteggio di comunicazione interna del gruppo di Menlo Park pubblicato online mercoledì dai legislatori britannici. La commissione della House of Commons digital, culture, media and sport (Dcms) è infatti incaricata di ricostruire la vicenda Cambridge Analytica, la società britannica che ha usato i dati di 87 milioni di utenti di Facebook per tentare di condizionare le opinioni degli elettori in vista della Brexit e delle presidenziali americane del 2016.

La corrispondenza via mail scambiata tra il 2012 e il 2015 era in realtà sotto sigillo negli Stati Uniti, come parte di una causa intentata contro Facebook dallo sviluppatore di software americano Six4Three.

“Ritengo che vi sia un notevole interesse pubblico nel rilasciare questi documenti” ha affermato su Twitter Damian Collins, presidente della commissione parlamentare. “Essi sollevano domande importanti su come Facebook tratta i dati degli utenti, le loro politiche per lavorare con gli sviluppatori di app, e come esercitano la loro posizione dominante nel mercato dei social media”.

“Abbiamo bisogno di un dibattito più aperto sui diritti degli utenti dei social media e sulle aziende più piccole che devono lavorare con i giganti tech. Spero che l’inchiesta della nostra commissione possa difenderli” ha aggiunto Collins. “Non abbiamo di aver ricevuto risposte chiare da Facebook su queste questioni importanti, ed è per questo che stiamo diffondendo questi documenti”, pubblicati sul sito della commissione stessa.

DATI IN CAMBIO DELLA CRESCITA

I documenti divulgati dal Parlamento britannico mostrano che Facebook monitorava la crescita dei concorrenti e negava loro l’accesso ai dati degli utenti messi però a disposizione per altri sviluppatori. Questo accesso privilegiato ai dati sarebbe stato concesso alle società che avessero speso almeno 250 mila dollari in pubblicità sulla piattaforma, come Netflix, Airbnb e Lyft.

Sempre secondo il carteggio elettronico, nel 2014 la società ha stilato una lista di circa 100 app “amiche di Mark” o “amiche di Sheryl” riferendosi a Zuckerberg e al Chief Operating Officer Sheryl Sandberg. Il titolo si conquistava in base alla spesa per gli annunci suFacebook.

TWITTER? NO TU NO

Dalle email interne emerge però che non tutte le app potevano godere di questo privilegio. Di certo non le potenziali rivali. All’inizio del 2013 Twitter ha lanciato il servizio di video sharing Vine, che ha sviluppato una funzionalità che consente ai propri utenti di connettersi agli amici su Facebook. Allertato sulla possibile minaccia concorrenziale da un ingegnere che ha raccomandato di interrompere l’accesso di Vine ai dati di Facebook, Zuckerberg ha risposto alla mail con “Sì, fallo.”

Tempismo sospetto per Facebook che ha annullato la policy relativa al bando di Vine sulla piattaforma proprio martedì, il giorno prima della pubblicazione delle e-mail. “Come parte della nostra revisione in corso, abbiamo deciso di rimuovere questa politica obsoleta in modo che la nostra piattaforma rimanga il più aperta possibile. Pensiamo che questa sia la cosa giusta da fare man mano che le piattaforme e la tecnologia si sviluppano e crescono “, ha affermato la società di Menlo Park.

LA RISPOSTA DI MARK

A un post sul suo social Mark Zuckerberg ha fornito qualche chiarimento: “Dal momento che i documenti pubblicati sono solo parte del nostro carteggio, voglio condividere qualche contenuto in più rispetto alle nostre decisioni”. Il fondatore di Facebook spiega dunque che l’idea con cui era nata Facebook era di rendere tutte le applicazioni più social, ed è per questo che ha permesso per un periodo l’apertura dei dati che poi ha portato allo scandalo Cambridge Analytica.

https://www.facebook.com/zuck/posts/10105559172610321

 

“Quando la maggior parte delle persone usavano Facebook dal computer, abbiamo sostenuto la piattaforma mostrando le pubblicità di fianco le app degli sviluppatori sul nostro sito”. Un modello che ha funzionato sulla versione desktop, fino a quando il mobile è diventato il canale d’accesso privilegiato.

TUTTA COLPA DI APPLE

“Ma sul mobile, le policy di Apple ci hanno impedito di far funzionare altre applicazioni all’interno di Facebook”. Si giustifica Zuckerberg, illustrando la necessità di un modello alternativo. La società l’ha trovato nel lasciare libero lo sviluppo su Facebook ma consentendo agli sviluppatori di comprare pubblicità sul sito. Di qui i 250 mila euro per l’accesso privilegiato ai dati di cui si accusa Facebook: “Per essere chiari, questo è assai differente dal vendere i dati delle persone. Noi non abbiamo mai venduto i dati di nessuno”, precisa Zuckerberg.

I GUAI NON FINISCONO QUI

Nel frattempo che la polemica sulla tutela della privacy da parte del social network si è rinfiammata, Facebook deve difendersi anche su un altro fronte.

La numero 2 di Menlo Park, Sheryl Sandberg, è stata travolta da una bufera mediatica. Il New York Times ha rivelato che la Chief operation officer chiese al suo staff di indagare sul miliardario George Soros, da sempre critico con Facebook, per capire se le sue critiche al social network fossero dovute a interessi finanziari.

“Le azioni di Sandberg erano appropriate al suo ruolo di numero due”, sottolinea il cda di Facebook in una lettera inviata alla fondazione di Soros, che aveva chiesto delle scuse dopo che la stampa aveva rivelato che il social fondato da Mark Zuckerberg stava tentando di screditare l’imprenditore.

INTANTO FACEBOOK VA GIÙ

Sarà forse che tutti questi attacchi alla società di Mark Zuckerberg abbiano finito per indebolire anche la piattaforma? Fatto sta che dalle 14 circa di ieri il social network non è stato raggiungibile in gran parte dell’Europa, Italia inclusa. Secondo Downdetector, sito che traccia gli inconvenienti sulle maggiori piattaforme online, a oltre due ore dall’inizio degli inconvenienti, i problemi erano tutt’altro che risolti: si stanno riscontrando sia su app che tramite mobile e versione web. Alcuni utenti, oltre a segnalare di essere stati espulsi dalla piattaforma, avrebbero tentato di modificare la password senza riuscirci. Settimana iniziata un po’ malino Mark, sempre che non finisca peggio.

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