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Tutti i programmi della Cina per riportare a casa i colossi hitech quotati in America

La Cina vara un programma a tutto tondo per riportare a casa i colossi tecnologici quotati sulle Borse estere – fondamentalmente New York e Hong Kong  – e convincere le startup non ancora sui listini a scegliere l’Ipo cinese. Non è solo questione di ricchezza da redistribuire agli investitori nazionali: dietro le manovre di Pechino…

La Cina vara un programma a tutto tondo per riportare a casa i colossi tecnologici quotati sulle Borse estere – fondamentalmente New York e Hong Kong  – e convincere le startup non ancora sui listini a scegliere l’Ipo cinese. Non è solo questione di ricchezza da redistribuire agli investitori nazionali: dietro le manovre di Pechino c’è il testa a testa con gli Stati Uniti per acquisire la leadership tecnologica anche tramite il controllo sui consigli d’amministrazione e le informazioni interne – insomma, i segreti industriali e la proprietà intellettuale.

La storia che Pechino non vuole ripetere

I grandi dell’hitech cinese finora hanno scelto Ipo straniere. Il colosso Internet Tencent è quotato dal 2004 a Hong Kong. Baidu, la cosiddetta “Google cinese”, è stata nel 2007 la prima azienda della Cina a entrare sui listini del Nasdaq. Il campione nazionale del commercio elettronico Alibaba ha scelto Wall Street (nel 2014) e ne ha fatto una Ipo da record. L’anno scorso il valore delle azioni di Alibaba è cresciuto del 90%, portando a 495 miliardi di dollari la capitalizzazione di mercato del gruppo, a vantaggio di investitori non cinesi, perché il governo impone servi controlli sugli investimenti in azioni estere. Pechino non vuole ripentere l’errore. Primo strumento per riportare i big in patria saranno i Chinese depositary receipts (CDR), costruiti a imitazione degli American depositary receipts (ADR). Gli ADR sono certificati negoziabili sul mercato statunitense che rappresentano titoli emessi da società non statunitensi e agevolano l’acquisto, il possesso e la vendita di titoli stranieri da parte di investitori Usa. Analogamente i CDR, ha spiegato Bloomberg, sarebbero disegnati per permettere alle aziende cinesi quotate su mercati fuori dalla Cina di emettere certificati negoziabili per gli investitori della Cina continentale; sarebbero comprati e venduti in yuan sulla Borsa di Shanghai e quella di Shenzen.

Red chip e unicorni devono tornare

Si tratta di un progetto pilota riservato alle aziende quotate fuori dalla Cina con valore di mercato superiore a 200 miliardi di yuan: questo include certamente le “red chip” (aziende cinesi quotate all’estero con elevata capitalizzazione) Alibaba, Tencent, Baidu, JD.com e NetEase.ma. I CDR si rivolgono anche a società non quotate con sede legale all’estero, valore superiore a 20 miliardi di yuan (3,2 miliardi di dollari) e fatturato di almeno 3 miliardi di yuan nei 12 mesi passati – parametri sufficienti a inglobare, secondo i dati della banca di investimento China International Capital, una trentina di unicorni cinesi, le startup di maggior valore come Xiaomi e Ant Financial (parte di Alibaba).

Il mercato azionario della Cina continentale rappresenta un bacino importante per le imprese a caccia di capitali, visto che registra transazioni quotidiane per un valore di circa 73 miliardi di dollari contro i 13 miliardi scambiati giornalmente a Hong Kong, riporta Bloomberg. Diversi analisti pensano che le aziende hitech cinesi sono interessate a una seconda quotazione nazionale per ottenere nuove risorse finanziarie e un potenziamento del brand in Cina. Secondo UBS, gli investitori cinesi potrebbero spostare fino a 59 miliardi di dollari verso i quattro big Alibaba, Baidu, Tencent e JD.com se questi offrissero il 5% delle loro azioni in forma di CDR.

In tandem con i CDR Pechino sta considerando una modifica legislativa per permettere alle imprese cinesi di adottare una struttura azionaria dual-class, che dà più diritti di voto ai top manager. Si tratta di una struttura ampiamente usata dalle tech companies, tra cui Facebook, Alphabet (la capogruppo di Google) e Alibaba, ha spiegato  su Forbes Oliver Rui, professore di finanza della China Europe International Business School di Shanghai.

Proteggere l’hitech cinese anche nei Cda

La Cina “supporterà la quotazione delle sue aziende più innovative”, ha dichiarato a inizio marzo il premier Li Kequiang; pochi giorni dopo la Borsa di Shanghai ha pubblicato una nota affermando che le autorità avevano fatto visita alle sedi delle startup dell’hitech più promettenti illustrando a ciascuna le opportunità di una quotazione in Cina. Intanto il regolatore di Borsa China Securities Regulatory Commission (CSRC) ha dato vita a un comitato speciale per agevolare le Ipo cinesi degli unicorni (startup valutate oltre 1 miliardo di dollari).

Il ruolo delle startup è essenziale per acquisire la leadership dell’innovazione: i consulenti finanziari americani di CB Insights calcolano che in Cina hanno sede 55 unicorni a fine 2017, mentre negli Stati Uniti se ne contano 106, praticamente il doppio. E’ qui che Pechino vuole accelerare il passo: far crescere le sue imprese innovative e tenerle sui listini nazionali, così Pechino può controllare più da vicino i canali di finanziamento e le discussioni all’interno dei Cda, osserva Christopher Balding, professore di economia della Peking University HSBC Business School. Pechino vuole mettere i libri contabili e le informazioni finanziarie al riparo da severe audit indipendenti e difendere le imprese innovative che operano nei settori strategici (robotica, intelligenza artificiale, biotecnologie) dalla fuga di segreti industriali che includono la proprietà intellettuale e la lista dei clienti governativi, secondo Balding. “Le aziende quotate all’estero devono sottostare a regole di trasparenza molto più severe di quelle che valgono per le aziende quotate in Cina”, afferma il professore. Il tema chiave è solo uno: “La protezione delle informazioni”.

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