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Perché Spotify non potrà emulare Netflix?

Opinioni a favore e contro alla scalata al successo di Spotify, per raggiungere il parallelo Netflix nel campo dello streaming Dopo l’esordio scoppiettante in Borsa di martedì scorso, il servizio di streaming musicale più famoso del mondo punta a essere la prossima Netflix, la numero uno delle piattaforme di video-streaming. Anche Spotify può considerarsi infatti…

Dopo l’esordio scoppiettante in Borsa di martedì scorso, il servizio di streaming musicale più famoso del mondo punta a essere la prossima Netflix, la numero uno delle piattaforme di video-streaming. Anche Spotify può considerarsi infatti un pioniere nel convincere la gente a pagare per un buffet di intrattenimento digitale. Non è stato nemmeno un caso che, in previsione della quotazione a Wall Street, la società di Stoccolma abbia voluto in squadra l’ex chief financial officer di Netflix Barry McCarthy.

IL NETFLIX DELLA MUSICA SECONDO IL GURU DI CNBC

“Quello che Netflix è per i video, Spotify è per l’audio” è la tesi di Jim Cramer, il famoso conduttore dell’ultradecennale programma Mad Money della rete americana Cnbc. Il guru di Mad Money è convinto che Spotify abbia tutte le carte in regola per farcela. A partire dai 159 milioni di utenti attivi di cui 71 milioni sono abbonati paganti – quasi il doppio dei 40 milioni del rivale Apple Music. Sempre a proposito di utenti, i numeri sono hanno segnato una rapida crescita: nel 2017, gli utenti mensili sono aumentati del 29% rispetto al 2016 e il numero di abbonati premium è aumentato del 46%.

L’entusiasmo di Cramer sulla piattaforma svedese fondata da Daniel Ek si ricollega al suo modello di business dirompente. Gli utenti possono ascoltare milioni di brani gratuitamente ma con spot adv occasionali oppure pagare 9,99 dollari al mese per streaming illimitato privo di pubblicità.

Prima che Spotify venisse creato, la pirateria online aveva messo in ginocchio il business discografico, in declino da 15 anni. “Dopo che il modello di business basato sulle iscrizioni a Spotify ha iniziato a guadagnare terreno, l’industria ha ripreso a crescere e non si tratta di una coincidenza”, ha evidenziato il conduttore di Mad Money, “Le persone che non hanno intenzione di sborsare 10 dollari per un album su iTunes pagheranno volentieri 10 dollari al mese per l’accesso a decine di milioni di canzoni”. “L’essenza di questa storia è che Spotify continuerà a espandersi nei mercati in cui è già operativa, ma si sta anche spostando con irruenza in nuove regioni”, secondo Cramer, “sta gradualmente conquistando il mondo e se addirittura Apple non riesce a raggiungerli, è difficile immaginare che qualcun altro si metta sulla loro strada”.

PERCHÉ SPOTIFY NON PUÒ FARCELA SECONDO BLOOMBERG

Meno roseo il futuro della piattaforma musicale secondo Bloomberg Businessweek. Per quanto Spotify assomigli a Netflix nello spirito e nell’approccio commerciale, i servizi divergono in un modo che rende il percorso di profitto della società guidata da Ek molto più complicato. Le spese di programmazione di Netflix non aumentano in quanto la piattaforma di video-streaming attira sempre più abbonati, stessa cosa non vale per Spotify, in quanto i costi della musica in streaming continuano a crescere e la società di Stoccolma non ha ancora raggiunto la redditività.

Su Spotify pende una spada di Damocle e si chiama royalties. Anche se la piattaforma guadagna 5 miliardi di dollari l’anno, paga più di tre quarti di quelle entrate in royalties a casa discografiche, produttori, cantautori e artisti. In poche parole, Spotify è alla mercé delle case discografiche. Le tre principali etichette musicali – Sony Music Entertainment, Universal Music Group e Warner Music Group – e un consorzio di indipendenti detengono i diritti su quasi 9 canzoni su 10 trasmesse. Se Netflix non è turbato dalla rimozione dal proprio catalogo dei film Disney nel 2019, stesso ottimismo non può permetterselo Spotify in caso di rottura con una delle Big 3 delle major discografiche.

Bloomberg conclude che la piattaforma di streaming musicale e le case discografiche sanno entrambe che l’una non può fare a meno dell’altra e viceversa e puntando su questo forse Spotify potrebbe ridurre i costi. Anche qui, Netflix ci ha visto lungo: negli ultimi anni ha iniziato a investire in produzione proprie di alto livello qualitativo raccogliendo un grande successo di pubblico (la serie diventata cult Stranger Things tanto per citarne una). Spotify potrebbe allora prendere spunto da Netflix e bypassare le etichette musicali producendo direttamente musicisti e canzoni. Ma al momento questa non è una un’ipotesi contemplata dalla società svedese. Spotify dovrà trovare altre fonti di reddito se vuole tentare di raggiungere – assai improbabile sorpassare – Netflix.

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