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Spid

Spid, ancora troppi problemi da risolvere. E debutta ID Aruba

Mentre lo Spid fa i conti con tutte le cose che frenano la diffusione dell’identità digitale, debutta l’ Identity Provider di Aruba   Lo Spid in Italia non decolla. Poco interesse (forse) verso l’identità digitale da parte del cittadino, la lentezza degli Identity Provider pubblici e, sicuramente, la poca competenza italiana in fatto di digitalizzazione…

Mentre lo Spid fa i conti con tutte le cose che frenano la diffusione dell’identità digitale, debutta l’ Identity Provider di Aruba

 

Lo Spid in Italia non decolla. Poco interesse (forse) verso l’identità digitale da parte del cittadino, la lentezza degli Identity Provider pubblici e, sicuramente, la poca competenza italiana in fatto di digitalizzazione incidono non poco sulla diffusione dello Spid.

E mentre si cerca di capire cosa non va e cosa migliorare, debutta Aruba come un nuovo service provider, offrendo agli utenti ben tre modalità di riconoscimento (due elettroniche, gratuite, con l’uso di una tessera sanitaria precedentemente attivata o di una firma digitale. E un’altra, a pagamento, tramite riconoscimento online de visu attraverso una webcam). Ma partiamo dall’inizio.

Cosa è Spid

spidSPID è il sistema di autenticazione che permette a cittadini ed imprese di accedere ai servizi online della pubblica amministrazione e dei privati aderenti all’iniziativa attraverso un’unica identità digitale,costituita da credenziali (nome utente e password).
SPID può essere richiesto da tutti i cittadini italiani, o dotati di permesso di soggiorno e residenti in Italia, che abbiano compiuto il 18°anno di età.

I numeri dello Spid

Lanciato a marzo 2016 i numeri dello Spid sono davvero ancora troppo piccoli e poco soddisfacenti. A metà novembre 2016, le identità Spid fornite erano solo 161 mila. E a spingere le richieste è stato anche il “Bonus diciottenni”, da ottenere appunto solo tramite Spid.

E allora, se anche nelle settimane di fine 2016 c’è stato un certo aumento delle domande di richiesta, è vero anche che queto è legato ad un bisogno e non ad un trend oramai avviato.

I problemi dello Spid

Poca promozione

Ma cosa frena la diffusione dello Spid? Problemi tecnici a parte, a non far volare Spid è anche la poca spinta promozionale che sta dietro l’iniziativa: non c’è stata dopo il lancio nessuna campagna promozionale che potesse incentivare e incuriosire gli utenti, che spiegasse i vantaggi e accompagnasse la crescita digitale in Italia.

Lentezza infinita degli Identity Provider

A non far volate Spid è anche il fatto che gli Identity Provider hanno previsto diverse modalità di identficazione, tra cui anche il doversi recare in un ufficio specifico (cosa che di digitale ha poco e nulla), con procedure poco semplici e lunghe. A denunciare l’odissea per ottenere l’identità digitale è Nicola Casagli, docente all’Università di Firenze.

Il suo personale viaggio nella burocrazia digitale inizia il 3 maggio 2016, pochi mesi dopo il lancio ufficiale dello Spid. Il professor Casagli si affida ad un identity provider che offre servizio di riconoscimento gratuito a chi possiede  la carta nazionale dei servizi (CNS) attivata con PIN (cioè il tesserino sanitario della Regione).

Spid“Mi devo registrare sul servizio cloud con nuove credenziali, riempire moduli che chiedono sempre le stesse cose, acquistare (a costo zero per i primi 2 anni) una XXX-ID, scaricare un modulo PDF da firmare con firma digitale, chiamare il numero verde perché non ho firma digitale (né la voglio avere) ma ho solo la CNS con PIN, farmi spiegare che occorre scaricare un programma che si chiama Dike per usare la CNS come firma digitale, inserire la mia CNS in un lettore CNS per scoprire che non funziona, capire che Dike non fa proprio quello che dovrebbe fare” – scrive Casagli su AgendaDigitale.

Il professore dunque deve “scaricare altri due programmi che si chiamano CNS Manager e PIN Tool per scoprire che non servono a niente e funzionano male, chiamare un numero verde per farmi spiegare che devo chiamare il numero verde della CNS perché il problema è loro, chiamare il numero verde della CNS per farmi spiegare che devo chiamare il numero verde del provider perché il problema è loro, scoprire che la CNS è stata bloccata da Dike e che il PIN non funziona più nemmeno per accedere ai servizi sanitari della Regione, chiamare il numero verde della CNS per farmi spiegare che devo ottenere un codice PUK sul sito web della CNS per sbloccare il PIN, andare sul sito web della CNS per scaricare un certificato digitale che richiede un nuovo PIN, chiamare il numero verde della CNS per farmi spiegare che per riattivare la CNS devo andare fisicamente presso una farmacia o una ASL, andare in farmacia e ottenere un PIN tutto nuovo, verificare che anche con il nuovo PIN la CNS rimane bloccata, chiamare il numero verde della CNS per farmi spiegare che devo andare alla ASL perché solo lì possono sbloccare le CNS mentre i farmacisti possono rilasciare solo i nuovi PIN, andare alla ASL vicino a casa mia dopo aver verificato su Google l’orario di apertura e scoprire che invece è chiusa, andare a quella di Firenze sempre dopo aver verificato su web giorni e orari di apertura per scoprire che solo in alcuni giorni si possono sbloccare le CNS e oggi è uno di quelli no”.

La beffa è che ora il professore universitario, appassionato di informatica, non ha lo SPID e nemmeno il PIN e la sua CNS è bloccata. E ancora.

Le avventure del professore con lo SPID non finiscono qui. Anche la moglie vuole la sua identità digitale per usufruire del “bonus professori”. Risultato? Dopo aver inserito i dati, a novembre 2016, e fatto richiesta di un appuntamento per il riconoscimento di identità, tramite Skype call, arriva lo Spid a febbraio 2017, dopo ben 4 mesi. E di quel “Il futuro va veloce”, slogan che ha accompgnato il lancio dell’identità digitale, resta davvero ben poco.

Anche noi di Start Magazine abbiamo provato a fare richiesta di Spid (come singole persone, ovvio), fermandoci però ancora prima di iniziare, quando abbiamo compreso che per essere identificati e usufruire di un servizio che doveva essere gratuito dobbiamo pagare o recarci ad uno sportello degli Identity Provider.

Italiani poco competenti in fatto di digitale

SPIDAi problemi di un sistema lento e troppo ancora burocratico, si somma anche la poca competenza degli italiani in fatto di digitale. Come denuncia il Desi 2016, il vero tallone d’achille dell’Italia è la mancanza di skill digitali (persone che abbiano conoscenza dell’evoluzione digitale) nella popolazione. Risultato? Il 31% degli utenti online manca di competenze digitali di base (e questo è anche uno dei motivi per cui non si diffonde la banda larga veloce). La percentuale di specialisti Ict è pari ad appena il 2,5% della popolazione. Dobbiamo ammetterlo, sul nostro Paese pesa (e non poco) la scarsa scolarizzazione, soltanto il 42% della popolazione ha un titolo di studi superiore a quello della scuola di secondo grado, e il gran numero di anziani.
Niente Spid per italiani all’estero

A frenare la diffusione dello Spid è anche il fatto che al servizio non possono accedere i cittadini italiani residenti all’estero. Sì, il Sistema pubblico di identità digitale permette di registrarsi soltanto a coloro che hanno un indirizzo di residenza nel nostro paese, penalizzando dunque uasi 5 milioni di persone, secondo i dati dell’Aire, ovvero dell’Anagrafe degli italiani all’estero.

A provare a trovare una soluzione a tutto questo è l’onorevole del Pd Marco Fedi, eletto all’estero e residente a Melbourne in Australia, che ha depositato un’interrogazione, rivolta al Ministro per la semplificazione e la Pubblica Amministrazione, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per chiedere le opportune modifiche al sistema.

Una pronta soluzione potrebbe anche rappresentare un’opportunità per tutte le imprese che, pur trovandosi all’estero, hanno rapporti con il nostro paese e con la Pubblica Amministrazione.

Il debutto di Aruba

Agli Identity Provider Poste, Tim, Infocert e Sielte, si aggiunge anche Aruba. É possibile richiedere l’Indentità digitale anche attraverso la  società italiana che offre servizi di web hosting, e-mail e registrazione di nomi di dominio. Il servizio sarà gratuito per due anni per i cittadini che ne faranno richiesta entro il 30 giugno 2017 e disponibile a un prezzo di 35 euro per gli utenti business.

Sono tre le modalità che Aruba offre agli utenti per il riconoscimento: due elettroniche, gratuite, che presuppongono per esempio l’uso di una Tessera Sanitaria precedentemente attivata o di una Firma Digitale . Nella terza modalità, il richiedente viene identificato tramite riconoscimento de visu online attraverso una webcam, in questo caso il servizio è a pagamento.

“Riteniamo Spid un passaggio importante per la digitalizzazione della PA ma anche per il diffondersi dei servizi in rete, nell’ottica della semplificazione e della loro usabilità per ciascun cittadino italiano”., commenta Simone Braccagni, amministratore delegato di Aruba Pec.
Aruba“Aruba crede ed investe nella crescita digitale del Paese e l’avvio di Spid è un ulteriore tassello in questa direzione – aggiunge Braccagni -. Abbiamo scelto di essere al fianco delle istituzioni portando avanti il valore essenziale della sicurezza in ambito digitale”. Con l’identità digitale, ricorda Aruba, è possibile accedere ai servizi online di Enti come Inps, Inail, Agenzia delle Entrate o anche del proprio Comune, nonché gestire l’iscrizione a scuola dei propri figli o accedere al proprio fascicolo sanitario elettronico. Oltre agli Enti menzionati, con Spid sono inoltre accessibili diversi servizi regionali e comunali, come il collegamento alla rete wi-fi cittadina. Non sarà così più necessario ricordare e annotare decine di nomi utente e password perché ne basterà solamente uno.

Pa digitale: vale un punto di Pil

Difficile dire se Aruba sarà di incentivo per le richieste di Spid, quel che è certo, però, è che l’Italia dovrebbe accelerare. Una  Pubblica Amministrazione digitale, infatti, potrebbe far  calare la spesa pubblica di 8 miliardi di euro, e far aumentare il Pil dello 0,5%, secondo quanto riportato in un Rapporto sull’e-government “Quanto costa all’Italia il ritardo nell’e-gov?”, pubblicato da Bem Research, istituto che monitora le prestazioni sul web di istituzioni pubbliche e società private. Proviamo a capirci qualcosa in più.

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